Sogno / 4

Prequel: mi addormento con una maglietta di cotone pensando che basti. Mi sveglio intirizzita alle 4 del mattino, mi alzo, infilo una felpa più calda e mi rimetto a letto, addormentandomi di botto. Poi, sogno quanto segue.

Sono a Perugia. Siamo con la mia famiglia ed altre persone in un ristorante piuttosto di lusso dove sta per essere servita la cena. Mi rendo conto che sono in jeans e scarpe da montagna (col pelo), e penso di passare dall'albergo a cambiarmi. Mi avvio. E' sera, quasi notte. Conosco la strada per l'albergo ma non riesco ad imbroccarla. Comincio a girovagare fra strade, stradine, vicoli. Sbuco su strade diverse da quelle da cui sono entrata nel vicolo e mi rendo conto che mi sto allontanando dalla mia meta. Ragazzini giocano per strada, c'è una bella atmosfera da sera d'estate in cortile, ma io sono sempre più angosciata. Farò tardi, penso. Intravedo A., che abita da queste parti, vorrei fermarmi a salutarlo, farmi vedere, ma preferisco tirare dritto. Mi perdo sempre di più. Infilo scale che diventano salite sdrucciolevoli, scivolo nel fango, mi appoggio a ballatoi dove ci sono vecchette silenziose che non mi aiutano. Adesso ho scarpe con i tacchi alti che mi rendono ancora più difficoltosa la deambulazione. Mi squilla il cellulare (un modello che non ho mai posseduto): è M., che mi chiede dove sono, mi dice che sono in ritardo, io gli chiedo “Avete già cominciato? Mi sono persa, ma fra poco arrivo”.

Chiamo mia mamma, ma il cellulare squilla a vuoto. Provo più volte, sempre camminando lungo strade stradine vicoli sempre più bui e misteriosi e che percepisco lontanissimi dalla meta. L'ansia monta. Ad un tratto mi si fa incontro un Carabiniere, giovane, con il maglioncino d'ordinanza, quello blu scuro con le strisce rosse, e il cappello. Mi chiede se sono io Nome e Cognome, e comprendo che è venuto a cercarmi per riportarmi a casa, per farmi ritrovare la strada. Infatti dopo due minuti sono di nuovo nel ristorante di prima, ci sono tutti e sembrano fra l'incazzato, lo scocciato e il commiserativo, con me, una espressione del tipo “Sei sempre la solita, ci fai disperare”. Nesuno sembra preoccupato di cosa possa essermi successo. Protesto, rinfaccio a mia mamma che io l'avevo più volte chiamata e lei non ha sentito le mie telefonate, mi metto a urlare e a piangere, perchè non è giusto che ce l'abbiano tutti con me.

Mi sveglio, agitata, forse ho detto qualcosa nel sonno, forse ho pianto.
Steve Jobs è morto.
Sono felice di realizzare che è stato solo un sogno, anche se la sensazione di leggera ansia ce l'ho ancora addosso, e penso che decisamente, il tema di questi giorni sembra essere “trovare (o ritrovare) la strada”.

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Sogno / 3

Anche questo è ricorrente, meno di quello delle scale e delle stanze ma lo faccio spesso.

Lo scenario generalmente è questo, poi ci sono le varianti occasionali. Mare. Spiaggia. Ma niente di ampio, solare, rilassante. La spiaggia è stretta e così piena di gente ombrelloni sdraio carabattole che non si riesce a vedere la sabbia, fino alla battigia e talvolta oltre. Alle spalle dei bagnanti, attaccata a loro, c'è sempre qualche baracca di legno di quelle che vendono i gelati o e bibite d'estate, ma incombe. Quasi sempre è sera o tramonto, quasi buio, insomma, si vede poco. E io devo sempre andare da qualche parte ma ho difficoltà.

Nello spcifico, stavolta devo andare verso sinistra, per raggiungere non so cosa, ma appunto la spiaggia è così priva di spazio che l'unica soluzione mi pare quella di raggiungere l'acqua e camminare con le caviglie a mollo. Al mare lo faccio sempre, peraltro, mi piace camminare nell'acqua. Ma quando ci arrivo, saltando sopra la gente i secchielli le bottiglie le sdraio, al posto del mare c'è una specie di palude di piante acquatiche e la strada che vorrei fare io è un sentierino fangoso in mezzo alla palude. Mentre penso – e forse dico – che potrebbero esserci rospi e serpenti là in mezzo, quindi scordatavi che io metta i piedi in quella schifezza, mi sveglio.

La colonna sonora c'entra poco, ma mi piace tanto e tanto è sufficiente. Edoardo Bennato canta Faber, Canzone per l'estate

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Sogno / 2

Mi sveglio ed esco sul balcone. Durante la notte il tempo è peggiorato, ma tanto: le nubi e la foschia che si vedevano stando dentro casa, quando esco fuori si rivelano essere una pioggia fredda. Anzi, una pioggia mista a neve, o grandine. I gerani, la malvarosa e le altre piante che ho sul balcone sono sferzate dalla bufera e per buona parte coperte di questa poltiglia nevosa pesante, che le ha gelate, spezzate, semiseccate.

Sono stupita dal brusco cambiamento climatico, dall'inverno arrivato così presto, e sono mortificata: è il secondo anno – penso – che non mi rendo conto per tempo che sta arrivando l'inverno e lascio le piante al gelo. Mentre sto pensando di tagliare via quello che si è gelato e prendere materialmente le fioriere fra le mani per metterle dentro, mi sveglio.
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Abbastanza chiaro, il messaggio, stavolta.

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Sogno

Con poche varianti, è un sogno che faccio sempre. E sempre significa il 70% delle volte che sogno. Altro sogno ricorrente  – che però sembra aver perso smalto da qualche mese – è che mi rubano la macchina. Ma questo che io chiamo il sogno delle scale e delle stanze, o il sogno dell'albergo, è frequentissimo.

Sono in un palazzo antico di una grande città, tipo Roma. Seguo due persone di sesso femminile, due ragazze, due segretarie? che mi portano verso una grata (una ringhiera?) nel portone. Lì si apre un cancelletto e ci sono scale che scendono, in fondo alle scale si apre la porta di un appartamento, un ufficio, infatti dentro ci sono altre persone. Dobbiamo andare tutte lì. Le scale sono di ferro, tipo scale di sicurezza, ma più eleganti.

L'appartamento è grandissimo, elegantissimo, antico. I pavimenti sono coperti di tappeti persiani pregiati e coloratissimi: rosso, oro, blu, verde. Le pareti sono coperte di quadri antichi, ottocenteschi, con cornici dorate e lavorate, antiche anche quelle. Pochissimi mobili, antichi e barocchi pure quelli. Ai muri ci sono anche orologi antichi, pendole antiche che rintoccano. E scale. Siamo un gruppo di persone che in fila indiana deve provare ad uscire di lì. Non c'è ansia, solo una leggera impazienza. Proviamo una prima scala, sempre di ferro battuto, con ringhiere di ferro battuto ad eleganti volute, ma porta ad un minuscolo ballatoio, come se fosse un balcone stretto che però è all'interno dell'appartamento invece che all'esterno, e alla fine è chiuso. Io che sono la prima della fila dico “no, ragazzi, da qui non si passa, inutile” e torniamo indietro. Poi proviamo da un'altra scala, che porta dietro ad una delle pendole. Ci sono insetti morti e polvere, lì dietro, e noi siamo in fila su una scala che sale, uno dietro l'altro.
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Sono in ritardo, come farò a prendere in tempo il treno per Roma? arriverò tardi. Per fortuna so che la prenotazione dell'abergo poi vale anche per dormire a Roma (1)

Ho un foglietto di istruzioni scritte a mano per arrivare alla palestra (1) e infatti dopo un po' sbuchiamo in un ambiente che somiglia all'ingresso di un centro benessere, e chi è con me (una donna) apre una porta con una maniglia tipo magazzino, tipo cella frigorifera, e io penso “finalmente usciamo” ma poi il sogno finisce, mi sveglio soddisfatta e singolarmente serena, anche se non saprò mai se sono uscita o no, e se sono arrivata in orario a Roma.

(1) è un sogno, non è il caso di pretendere logicità e senso compiuto

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I have a (impossible) dream / UPDATE

Proseguono le indagini, con gli strumenti che mette a disposizione la tecnologia, che io sono vecchia e non sono nativa digitale ma 4 cose sul web 2.0 le ho imparate lo stesso. Il luogo dei miei sogni si vede con Google Maps, e sono abbastanza chiaramente visibili i segni di uno sbancamento. Lo stesso luogo si vede anche con Street View, che però è una tantum, e retrodatato rispetto alle rilevazioni satellitari, che sono invece prese con una certa cadenza (ogni sei mesi?). Da Street View si vede una vecchia fatiscente rodda, con affianco regolamentare baracchetta di lamiera ad uso pollaio e/o conigliera. Cosa ne deduco? Che credo che la costruzione non sia abusiva: quella in corso è solo una “ristrutturazione un po’ radicale”, come disse una persona che conosco, di un immobile già esistente, e presumibilmente già accatastato.

Per avere info ulteriori e definitive, sto testando la legge dei sei gradi di conoscenza, e per accelerarla ho coinvolto due persone diverse. Sono in attesa. Non so nemmeno io se preferirei sapere che non è in vendita o che lo è.

I have a (impossible) dream

I sogni vanno c

oltivati anche quando sono impossibili, anzi, soprattutto quando sono impossibili, se no è troppo facile.

Lago Pantano di Pignola, pista ciclabile. Alla curva UnoeOtto (ho dato i nomi alle curve, come nei circuiti di Formula Uno), sulla sinistra girando intorno al Pantano in senso orario, c'è una stradina che sale. Alzando lo sguardo, a metà circa della stradina si scorge, sulla collinetta che domina la pista, un rustico. Non una sfogliatina salata ripiena di ricotta, no: un rustico edile. Ovvero gli inizi di lavorazione di un fabbricato per civile abitazione. Monofamiliare. Elegante, pur nella sua incompletezza (ha le travi, pavimento e solaio, e il tetto, finito da poco). Una vezzosa forma ad elle con una intera facciata corta affacciata verso la pista. Intorno, solo verde, un grande prato verde dove nascono speranze, come cantava Gianni Morandi.

L'ho adocchiato agli inizi dell'inverno, per puro caso, come avviene in tutti i colpi di fulmine, e infatti è stato subito amore. Ogni santa domenica (e anche sabato) che sono passata di là, anche per avere un pensiero che distraesse dalla fatica della corsa, ho mentalmente elencato con dovizia di dettagli le cose che vorrei farci dentro.
Una palestrina privata.
Una cucina quadrata.
Iperconnessa (se si sogna, si sogna in grande).
Il bagno turco.
Nella mia testa quel rustico è stato finito, rifinito, impiantato, arredato, abitato. Da me, ovviamente. Un cane? ma si, anche un cane. Un pastore tedesco, come Blitz, o un labrador nero. So già a chi affiderei la progettazione, e a chi i lavori. Di che colore vorrei i bagni. Come ci passerei le giornate. Quali piante vorrei mettere nel giardino, e di che materiale farei il pavimento del patio. L'odore che vorrei sentire uscendo di sera d'estate in giardino.

Da quando l'ho adocchiata, niente si è mosso, e sono passati già alcuni mesi. Ipotesi probabili:

1. è un manufatto abusivo, e i lavori sono stati fermati dalla pubblica sicurezza;
2. il proprietario ha finito i soldi e aspetta di metterne da parte per continuare i lavori.

Domenica scorsa mi sono fatta coraggio – il vero amore comporta robuste dosi di timidezza, nell'approccio all'amato bene – e pur gocciolando per aver corso quasi un'ora sotto la pioggia battente, sono salita fino al cancello. Volevo saperne di più. Quando si ama, si vuol sapere tutto. Speravo (anzi temevo, per la verità) un cartello che mi dirigesse verso una delle due possibili ipotesi. Il cancello non è propriamente tale: è un pezzo di rete metallica, piuttosto contorta ed arrugginita, in verità, chiusa però con catena e lucchetto pesante. Non c'è un cartello che indichi – come di solito accade – proprietario, inizio e fine dei lavori, impresa edile. Però non ci sono nemmeno i sigilli dei Carabinieri. Dentro, un sentiero sconnesso, e infrastrutture da lavoro: ponteggi semi montati, laterizi vari. Sembra un posto abbandonato dopo una epidemia, piuttosto in fretta.

Vederla da vicino ha reso il mio amore struggente: è più grande di quello che sembrava, e ancora più bella. Allo struggimento si accompagna la nostalgia, e la disperata gelosia dell'amore impossibile: non sarà in vendita. E se anche lo fosse, ci sarà qualche magagna giuridica. E anche se non ci fosse, non avrò mai i soldi per comprarla – elemento direi decisivo. E anche se li avessi (insomma, si tratta di un rustico, in una località che non è propriamente Piazza di Spagna), non avrò mai i soldi per finirla come dico io. Insomma, il classico caso di amore impossibile (un altro? che palle).

Mi sono girata, sospirosa e gocciolante, per ridiscendere a valle, e mi si è mozzato il fiato: da lassù si vede il lago, quasi per intero. Uno spettacolo che sotto la pioggia ha assunto contorni magici, avrei voluto solo piantare lì una tenda e rimanerci fino alla vecchiaia.

Sigh.

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Interpellato zio Sigmund

E non mi dite che non significa niente.

Un gruppo ENORME di persone prova una sorta di spettacolo, nel quale l’attrazione principale sembra essere un coro, formato appunto da tutte quelle persone. E da me.

Quand’ecco che all’improvviso FABRIZIO DE ANDRE’ in persona – proprio lui, la sua faccia lunga e piagata, il suo bellissimo ciuffo, la sua inconfondibile voce – mi viene vicino, mi indica con un dito, e mi dice: “Ah ecco! Tu! proprio tu! Tu devi fare qualcosa da sola, sei brava, pensa a qualcosa da fare” e io penso: leggere una poesia? un monologo teatrale? se Fabrizio dice che posso farcela, POSSO FARCELA, eh!

Poi mi sono svegliata.

Tutte le facili interpretazioni che hanno a che fare con “uscire fuori dal coro” e “essere amata/stimata da chi ami/stimi” le ho già fatte. Se ve ne vengono altre, lo spazio commenti è a vostra disposizione.

La colonna sonora è decisamente inevitabile.  Grazie di essere venuto a trovarmi, Faber.

 

Second Life / 3

.. e poi naturalmente c’è la possibilità di realizzare sogni impossibili: il mio, per esempio, è stato quello di avere un avatar coi fianchi larghi, tettine minuscole, i capelli rossi, e indossare un miniabito di lamè argento e gli anfibi senza sembrare un insaccato o Cuccureddu.

Sogni di sostituzione

Seduto nella sua poltroncina colorata, mi ha chiesto se ho un sogno nel cassetto.

Al momento mi sono agitata sulla mia, di poltroncina colorata, e non ho saputo rispondergli. Poi ci sono andata pensando. Sono convinta che non è un caso che i 20 chili che ho preso in 5 anni siano tutti o quasi localizzati nella pancia e nello stomaco. La genetica non c’entra, io dico che c’entra il mio desiderio di maternità. Una specie di gravidanza isterica, insomma, aiutata dal mio rapporto scarsamente sereno, se vogliamo utilizzare un eufemismo, col cibo e la nutrizione in generale.

E allora il mio sogno nel cassetto è esattamente questo: buttare giù questi 20 chili di finta maternità ma non perchè ho fatto una dieta terribile – sacrifici – palestra – scondimenti etc. ma proprio perchè ho riacquistato un equilibrio fra me, il mio corpo, e il cibo che introduco, e mangio esattamente quello che mi serve per campare, e non di più, e senza pensarci/angosciarsi troppo. E senza perdere il gusto delle cose buone.

E poi, magari, sostituire la pancia finta con una pancia vera. Animata.