Prequel: mi addormento con una maglietta di cotone pensando che basti. Mi sveglio intirizzita alle 4 del mattino, mi alzo, infilo una felpa più calda e mi rimetto a letto, addormentandomi di botto. Poi, sogno quanto segue.
Sono a Perugia. Siamo con la mia famiglia ed altre persone in un ristorante piuttosto di lusso dove sta per essere servita la cena. Mi rendo conto che sono in jeans e scarpe da montagna (col pelo), e penso di passare dall'albergo a cambiarmi. Mi avvio. E' sera, quasi notte. Conosco la strada per l'albergo ma non riesco ad imbroccarla. Comincio a girovagare fra strade, stradine, vicoli. Sbuco su strade diverse da quelle da cui sono entrata nel vicolo e mi rendo conto che mi sto allontanando dalla mia meta. Ragazzini giocano per strada, c'è una bella atmosfera da sera d'estate in cortile, ma io sono sempre più angosciata. Farò tardi, penso. Intravedo A., che abita da queste parti, vorrei fermarmi a salutarlo, farmi vedere, ma preferisco tirare dritto. Mi perdo sempre di più. Infilo scale che diventano salite sdrucciolevoli, scivolo nel fango, mi appoggio a ballatoi dove ci sono vecchette silenziose che non mi aiutano. Adesso ho scarpe con i tacchi alti che mi rendono ancora più difficoltosa la deambulazione. Mi squilla il cellulare (un modello che non ho mai posseduto): è M., che mi chiede dove sono, mi dice che sono in ritardo, io gli chiedo “Avete già cominciato? Mi sono persa, ma fra poco arrivo”.
Chiamo mia mamma, ma il cellulare squilla a vuoto. Provo più volte, sempre camminando lungo strade stradine vicoli sempre più bui e misteriosi e che percepisco lontanissimi dalla meta. L'ansia monta. Ad un tratto mi si fa incontro un Carabiniere, giovane, con il maglioncino d'ordinanza, quello blu scuro con le strisce rosse, e il cappello. Mi chiede se sono io Nome e Cognome, e comprendo che è venuto a cercarmi per riportarmi a casa, per farmi ritrovare la strada. Infatti dopo due minuti sono di nuovo nel ristorante di prima, ci sono tutti e sembrano fra l'incazzato, lo scocciato e il commiserativo, con me, una espressione del tipo “Sei sempre la solita, ci fai disperare”. Nesuno sembra preoccupato di cosa possa essermi successo. Protesto, rinfaccio a mia mamma che io l'avevo più volte chiamata e lei non ha sentito le mie telefonate, mi metto a urlare e a piangere, perchè non è giusto che ce l'abbiano tutti con me.
Mi sveglio, agitata, forse ho detto qualcosa nel sonno, forse ho pianto.
Steve Jobs è morto.
Sono felice di realizzare che è stato solo un sogno, anche se la sensazione di leggera ansia ce l'ho ancora addosso, e penso che decisamente, il tema di questi giorni sembra essere “trovare (o ritrovare) la strada”.