Ed è così che in una fresca mattina di Giugno mi avvio speranzosa verso l’ufficio passaporti. Parcheggio lontano che più lontano non si può, ma che mi importa, vado ad affrontare con animo giulivo una pura formalità, quale quella di rinnovare il documento che mi attesta cittadina italiana e mi consentirà di girare il mondo. Quando arrivo davanti allo sportello, ci sono già, in simpatica attesa, quelle sei o sette persone, ma che fa, la mattina è fresca, aspettare è piacevole, poi sono le 9:20, alle 9:30 lo sportello apre, farò in fretta, giusto?
Alle ore 9:45 la vostra beniamina marcia spedita all’interno dell’ufficio vicino a quello passaporti, che risulta essere l’ufficio immigrazione, e fendendo una folla multietnica chiede con tono solo leggermente alterato al poliziotto in divisa dietro al vetro cosa minchia sta aspettando il suo collega dell’ufficio passaporti, visto che l’ufficio è ancora chiuso e la folla si è raddoppiata. Miracolo, dopo 1 minuto si aprono le porte.
Il responso, quando finalmente tocca a me, è che per rinnovare il passaporto mi servono:
1. domandina precompilata
2. marca da bollo per passaporti da euri 40,29
3. 2 foto tessera su sfondo bianco 4 x 4 cm
4. un versamento fatto sul c/c postale del Ministero del Tesoro da euri 42,50
(pregasi notare l’assurda presenza di spiccioli dopo la virgola, a riprova del fatto, secondo me, che la Polizia di Stato pensa ancora in lire)
Esco più che mai giuliva dall’ufficio passaporti. Sono le 10:15. Che vuoi che sia mettere insieme questi tre documenti in un’ora? L’ufficio passaporti chiude alle 12:00, sarò senz’altro in grado di portare già oggi tutto ciò che occorre, e guadagnerò un giorno sui tempi tecnici occorrenti alla solerte poliziotta (donna, a proposito) per rinnovarmi il passaporto.
E infatti, mentre torno alla macchina passo davanti ad un tabaccaio. E taaaac, la marca da bollo è acquistata. Dopo manco dieci metri passo davanti ad un fotografo che porta scritto in vetrina “si fanno foto tessera”. Prodigio delle macchine digitali, taaaac, dopo 5 minuti ho le mie belle fotine. Belle, insomma: sono io. Diciamo carine, va.
Cosa manca? ah si, solo il versamento alle Poste. E che sarà mai? canterello fra me e me. Sono le 10:25, ho più di un’ora. Mi informo garbatamente dagli indigeni ove posso trovare l’ufficio postale più vicino, che mi viene prontamente indicato. Lo raggiungo.
E qui il sole viene appannato da una leggera nube.
Circa 40 persone si accalcano all’entrata dell’ufficio postale, e non sono di buonumore. Chiedo al codaiolo più esterno a cosa è dovuta tanta ressa, e mi spiega che i terminali sono in tilt, non funziona neppure l’eliminacode, si ricorre al vecchio sistema “signora guardi che c’ero prima io” di italica memoria.
Mi arrenderò per così poco? ma no, perbacco: questo periferico ufficietto postale è in tilt, andiamo altrove.
Ore 10:45, ufficio postale di via Verrastro: chiuso per impallamento terminali, circa venti pensionati fanno la posta alla porta automatica sperando nel miracolo. A ragion veduta, perchè sulla porta un cartello dice “Causa nuovo sistema operativo, le operazioni potrebbero subire qualche rallentamento. Gli uffici riapriranno alle ore 10:00“. I pensionati mi informano che uno sportello che sembra funzionare è quello di via Messina.
Ore 11:00, ufficio postale di via Messina: in effetti lo sportello funziona. E’ l’unico in una città di 60.000 abitanti. In virtù di questo, l’ufficio postale è farcito di carne umana, che è in parte (una larga parte) debordata all’esterno. Prendo il numeretto e ho un leggero appannamento della vista: servono il n. 150, io ho il n. 509. Il mio ottimismo comincia a venire meno. Decido di tornare dove ero prima, prima di arrendermi del tutto: magari hanno aperto, e si tratta di mettersi in coda a venti pensionati, che mi pare prospettiva migliore che affrontare la Gehenna di via Messina.
Ore 11:15, ufficio postale di via Verrastro: niente, chiuso, sprangato. L’unica differenza rispetto alla mia visita precedente è che una mano pietosa ha cancellato “ore 10:00” al termine della frase “Gli uffici riapriranno alle”. Il messaggio mi pare chiaro: che ne sappiamo, quando riaprirà? io me ne vado nel mio, di ufficio, e nelle due ore e tre quarti successive le tento tutte: pagare attraverso gli sportelli Lottomatica, pagare attraverso il sito delle Poste, pagare attraverso il mio conto corrente on line. Tutti tentativi inutili.
Apprendo che l’Armageddon delle Poste Italiane è dovuto al lancio di un nuovo sistema operativo, che pare bloccare misteriosamente tutti i terminali, e a singhiozzo, per di più. Un problema nazionale, apocalittico, non c’è ufficio del Paese che non stia affrontando gli stessi marosi. Perchè giustamente i nuovi sistemi operativi si testano in concomitanza con il pagamento delle pensioni e dei versamenti per le dichiarazioni dei redditi, e non, per esempio, ad agosto. Si testano nel periodo più caldo dell’anno, quando maggiore è l’affluenza di persone anziane, forse sperando di farne fuori qualcuna. Pensare a questo e invocare Baffone è tutt’uno.
Quando esco dall’ufficio, alle 14:00, decido di provare di nuovo a via Messina, hai visto mai che la gente sia andata a mangiare.
ore 14:15, ufficio postale di via Messina: la marea umana si è leggermente diradata. Servono il numero 250, io chissà dove ho buttato il biglietto vecchio, ne prendo uno nuovo: n. 625, una roba così. Sono disidratata e coi nervi preoccupantemente limati. Aspetto, giusto per non dargliela vinta, un quarto d’ora, poi colgo una voce dalla folla (la direttrice dell’ufficio) che invita a recarsi negli altri due uffici che paiono funzionare, ovvero quello di via Pretoria e quello di via Grippo. Scarto via Pretoria pensando che manco a quest’ora da siesta troverei parcheggio, e mi avvio a via Grippo.
ore 15:00, ufficio postale di via Grippo: qui l’Armaggedon ha assunto sembianze caravaggesche. I terminali sono bloccati, e quindi ci sono ben 7 sportelli, ognuno col suo bravo impiegato/a diligentemente posizionato dietro al vetro sulla sua sediolina: chi si lima le unghie, chi telefona a casa, chi fa le parole crociate, chi chiacchiera col vicino. Davanti, nessuno. Perchè stravaccati sulle sedie, sulle panche, in piedi, fuori, appoggiati ai muri, seduti a terra, gli utenti, in gruppi teatrali, aspettano. Un silenzio irreale regna nella stanza. Con sincero terrore chiedo ad una delle impiegate un bollettino postale vuoto, temo mi pianti una matita nella mano come Nikita con il poliziotto. Aspettare il proprio turno è pesante, ma aspettarlo quando la fila non va avanti, e non si sa se ci andrà mai, è folle. Abbandono il quadro di Caravaggio (“Ufficio postale in un giorno di tilt del sistema“, olio su tela) e i gruppi marmorei, e torno a casa a mangiare, sconfitta e triste.
Mi riposo, anche, un pochino.
Prendo un caffè.
Alle 17:00 circa, decido che un Ariete non si arrende mai.
Ispirata dai miei numi tutelari (Paul Newman, Aragorn, Red Canzian) e con la testa circonfusa di luce, torno all’ufficio postale di via Messina.
ore 17:15, ufficio postale di via Messina: ormai la signora che abita al piano di sopra dell’ufficio postale mi saluta quando mi vede passare, e sospetto stia per offrirmi un caffè. Servono il numero 515. Prendo il numero dalla macchinetta: 650. Mi dispongo con ferrea pazienza ad attendere il mio turno, dovessi stare là fino alle otto di sera. Apro la borsa per riporre chiavi della macchina e cellulare, e dalla tasca interna spunta un pezzetto di carta. Lo tiro fuori trepidante: è il biglietto col 509, quello della mattina, che non avevo buttato, ma protetta da Paul Newman avevo cacciato nel primo posto utile.
Quindi – l’emozione mi appanna la vista e mi fa tremare le gambe – toccherebbe a me.
Anzi, toccava a me circa 7 utenti fa.
Non posso perdere l’occasione.
Individuo lo sportellista maschio giusto: giovane, in maniche di camicia. Speriamo sia etero. Sbottono il secondo bottone della camicia e quando si libera, prima che chiami la vecchietta successiva, mi avvicino allo sportello. Occhio da Bambi, leggermente sgranato. Miagolo con voce flebile il permesso di pagare il mio bollettino, “mi scusi, mi sono allonatanata un attimo, non credevo faceste così in fretta…“. Di fronte ad una frase del genere lo sportellista che sta lavorando da circa 9 ore senza pause immerso nel marasma umano potrebbe anche uccidermi a colpi di forbice senza manco alzarsi dalla sedia, invece per fortuna scoppia a ridere. Si è nel frattempo avvicinata la vecchietta in possesso del biglietto 517. Ha in mano un bastone e lo sguardo di chi non si è fatto spaventare dai nazisti, figuriamoci se si perde d’animo davanti ad una coda alle poste. Il mio miagolio diventa pigolìo, mi profondo in scuse, rassicurazioni e ringraziamenti che sembro Bondi davanti a Berlusconi, e la vecchietta cede, dopo aver constatato che le farò perdere pochissimo tempo.
Esco dall’ufficio postale alle ore 17:30, con in mano la mia ricevuta del versamento. Ci ho messo circa 7 ore, e avrò speso venti euro di benzina, fra tutti gli andirivieni, oltre ad un consistente pezzo di fegato.
Ma ce l’ho fatta e per quello che mi riguarda adesso le Poste Italiane possono pure esplodere, con tutti i vecchietti dentro.
No, vabbè, coi vecchietti no.
Solo le Poste.