Dimmi perchè

Post intimista.

Volevo lamentarmi un po’, ma mentre scrivevo ho pensato che c’è gente che non aspetta altro, e allora vaffanculo no. Sto benissimo. Tiè.

Passo i minuti prima di addormentarmi ripassando dialoghi. Aggiungo una parola, la tolgo, la rimetto, cambiata di posizione. Mi allontano di un passo per vedere come pare. Lucido il tutto e conservo. Può tornare utile, prima o poi. E poi è un esercizio che favorisce un sonno sereno, ed è molto meglio che scorrere la rubrica del cellulare, come facevo quando dovevo combattere il panico. Quindi vuol dire che sto abbastanza bene, tutto sommato.

Gli eventi mi hanno incastrato in una posizione scomoda nella quale mi sono adattata, ma sempre scomoda rimane. Ma che dovevo fare? costringerlo a fucilate?

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(“tu chiamami se vuoi Sarah Palin“, come dice una mia amica). E poi dicono il potere delle donne. Di altre, forse, non so. O forse sono io che non mi accontento. Cos’altro ti serve ancora? cantava Daniele Silvestri, a me è bastata un’ora. Eh, anche a me.

Vabbè. Domani è un altro giorno, e tutto può ancora succedere.
La colonna sonora non è il finale di Via col vento (troppo facile) ma una meno banale Malika Ayane. Bella, questa. E adatta.

Aggiornamenti di mezza estate

La prima delle molte vie possibili al lavoro futuro si è chiusa. Al bando per l’AT FSE 2007 – 2013 siamo arrivati quarti, con un distacco sonoro dai primi. Immagino ci siano molte motivazioni di ordine politico a questa scelta. Io però non ho potuto non sentirla come una severa bocciatura del mio e dell’altrui lavoro per 5 lunghi anni. Una bocciatura che non mi pareva di meritare, in tutta onestà. Stelvio è in ferie e quindi stamattina è toccato a me andare a sedermi al mio posto come se nulla fosse, pur nella consapevolezza che il mio corpo assume da oggi consistenze diafane di fantasma. E infatti, complice anche l’aria di ferie, sono stata tutta la mattina chiusa nella mia stanza senza che alcuno venisse a disturbarmi, nè di persona, nè telefonicamente. Non c’è ancora il segno degli appestati sulla porta tracciato a lettere nere, ma non ci manca molto.

In compenso, mi sono classificata quinta, su 4 posti disponibili, nella graduatoria dell’assistenza tecnica per i fondi agricoli. Se scorrono la graduatoria, potrei andare ad occuparmi di ruralità. E magari è meglio.

E siamo poi in attesa di sciorinamento delle pratiche per l’assistenza tecnica dei fondi per lo sviluppo industriale, del mega concorsone pubblico, e – udite udite – anche di una proposta di legge per la stabilizzazione dei precari. Nella suddetta legge è stato inserito un articolo 4-bis (inquietantemente somigliante al 41-bis, l’articolo del carcere duro per i mafiosi) che consentirebbe di stabilizzare i precari che hanno già almeno tre anni di contratto negli ultimi cinque, e hanno sostenuto prove selettive per entrare. Siamo in 20, in questa situazione: un numero palesemente troppo ristretto per fare scena, e quindi bocciatissimo dai sindacati. E anche da molti consiglieri regionali, tanto è vero che non si riesce a rintracciare la paternità di questo articoletto spurio.

Beh, sappiatelo: a me di questa stabilizzazione non me ne frega nulla. Mi conosco: tranquillizzata dalle magiche parole “a tempo indeterminato”, a stipendio pressochè dimezzato, scivolerei prestissimo lungo la china del rispetto pedissequo dell’orario e delle mansioni assegnatemi,

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e quindi lungo la china dell’impiegato pubblico che vede il cartellino marcatempo e il giorno 27 del mese come unici regolatori della sua vita lavorativa. Finite le sfide, finiti i progetti sperimentali, finita la rete di contatti professionali, finita la gioia di lavorare, finito tutto quello che esula dalla scrivania e dalla tredicesima a Natale. Io non ho una famiglia da mantenere, devo bastare solo a me stessa: voglio viverlo, il lavoro, non sopravviverlo. Ed è uno dei motivi per i quali mi incazzo quando vengo inserita nel novero dei “precari”: non sono precaria, cazzo, l’ho scelto io, di fare il consulente della Pubblica Amministrazione, e ho anche sudato, per poterlo fare. Basta con questa lagna e basta con l’essere messi nello stesso mazzo degli interinali scelti dall’Assessore di turno. Voglio consulire, ed essere ben pagata per farlo.

Potrei chiudere gli aggiornamenti della settimana raccontando al mondo intero come la gente può essere tanto più tamarra quanto più si dà arie di superiorità intellettuale. Una scoperta non nuova, ma sempre sorprendente. Ma chissenefrega, alla fine: mi limito ad allungare serenamente la lista del club dei marchesi del grillo, e a ripulire gli archivi. Baci a tutti.

Innamoratevi!

La

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poesia, il valore del linguaggio, il piacere delle parole, l’amore che è felicità e sofferenza, la vita che è amore per sè stessi, la capacità di mischiare tutte queste cose assieme, e restituirle al mondo. Questo Benigni mi assomiglia così tanto da rasentare la sconvenienza.

Innamoratevi!

L’amore ai tempi del BB

Ovvero, come ampliare le proprie sofferenze senza alcuna necessità, e per di più con uno strumento nato per facilitarci la vita, non per complicarla. Si, si, lo so: la tecnologia è neutra, se serve per farci felici e connessi o infelici e muti, è solo colpa nostra, bla, bla…

Il dramma – nonchè l’esaltante caratteristica, d’altra parte – del BB (sta per BlackBerry, mica c’è bisogno che ve lo spieghi, VERO?) è che siamo sempre in onda. Il mio mi consente di ricevere notizie dal mondo esterno attraverso ben 6 canali, diversi e autonomi fra loro. Se dall’altra parte del nostro orizzonte emotivo c’è qualcuno con gli stessi mezzi, uguali e speculari, ecco che la gioia dell’iperconnessione si fa strada nel nostro cervello per raggiungere organi interni diversi da esso, e situati a diverse altezze. L’idea che a qualunque ora del giorno o della notte si possa comunicare con il gradito oggetto delle nostre fantasie, è meravigliosa, e degna del secolo dei lumi (si vabbè, si fa per dire) che stiamo vivendo.
Intendiamoci, sui 6 canali arriva pure un sacco di robaccia, spam, promozioni varie, richieste e comunicazioni di C.M. inviate alle 3 (le tre!!) del mattino, cazzeggi inutili, fuffa di ogni genere.
Vabbè. E infatti, quando i messaggi arrivano, con regolarità, alata gioia ci invade l’animo. Sentiamo il filo rosso della complicità unirci, sentiamo che tutto è possibile, che yes, we can, che voliamo nel blu dipinto di blu.

Ma.

Se i detti canali sono aperti come cateratte, come le cascate del Niagara, facendo sentire lo stesso scroscio di acqua che scorre, e nulla accade, ovvero, nessuno scritto compare, nessuna spia si illumina, ecco che l’emozione della connessione diventa immantinente ansia della connessione. Un sentimento di cui avremmo fatto volentieri a meno, e che solo 10 ma anche 5 anni fa ci sarebbe stato del tutto estraneo: al massimo potevamo ossessivamente consultare una casella di posta elettronica, il che voleva dire avere un pc, avere un modem, avere 10 minuti di tempo. Così invece il dubbio ci coglie mentre attraversiamo la strada, mentre compriamo la pasta sfoglia al supermercato, mentre parliamo con l’idraulico che è venuto a sturarci il lavandino, mentre siamo seduti ad ascoltare un congressista che ci parla del suo ultimo libro, un capo che ci dice cosa dobbiamo fare, un amico che ci racconta un problema. 

Non ne parliamo poi se il messaggio, timido e incerto come un foglio di carta chiuso in una bottiglia, lo abbiamo mandato noi, e non ci arriva alcuna risposta, o peggio ancora, tragedia delle tragedie, se qualcuno dei canali, inopinatamente e senza spiegazione alcuna, si chiude: si passa dall’ansia all’arrovellata angoscia, al loop di domande senza risposta, allo sbattimento di mosche impazzite nella nostra scatolina cranica – vuota, a questo punto occore confessarlo – che ci fanno perdere il sonno e la joie de vivre e la concentrazione (la fame mai, purtroppo).

E andiamo avanti così, facendoci (un pò) male.

La tentazione di staccare tutto e tornare al telefono col filo, anzi, meglio, alle lettere di carta, con la busta e il francobollo, è sempre più intensa.

Libri che ho letto / L’animale morente

PHILIP ROTH – L’ANIMALE MORENTE, ed. Einaudi

Tutto il mondo grida al miracolo, con Roth, e quindi non sarò io – non prima di un seconda rilettura – a fare il bastian contrario. Ad una prima lettura, però, almeno questo libro non mi ha convinto.

David Kepesh è un professore universitario americano che ha deciso di vivere praticando fino alle estreme conseguenze i dettami della libertà totale esplosi negli anni ’60. La regola vale a maggior ragione per ciò che riguarda i legami sentimenali, la coppia, il sesso. Il protagonista sembra non riuscire mai a focalizzare l’idea che tra i due estremi (il sesso amorale e fine a sè stesso, puro sollazzo della carne, e la soffocante tetra prigione borghese della vita coniugale e di coppia in genere) ci possano essere infinite sfumature e variazioni. Per scegliere la prima via, David si è lasciato alle spalle un matrimonio e un figlio severo e rancoroso, destinato a ripetere gli errori paterni senza però il coraggio (omicida) di uscirne.

La nemesi arriva sotto le statuarie sembianze di Consuelo Castillo, giovane studentessa del suo corso, figlia di ricchi esuli cubani, per la quale il maturo professore perde la testa in un modo che non avrebbe mai immaginato e che fa piazza pulita di decenni di relazioni puramente carnali ed insignificanti. Con lei David sperimenta tutte le gioie ma anche tutte le ansie del desiderio di possesso totale ed esclusivo: la gelosia, anche retroattiva, la competizione, la misurazione della differenza di età, l’angoscia della perdita. Con la realistica misurazione della propria età, e dell’pavanzare della vecchiaia, david si rende conto che forse anche lui “non desidera più essere libero”. Sembra un abbozzo di innamoramento, eppure anche stavolta è il corpo, la fisicità, ad essere elemento centrale dell’attrazione: Consuelo non è particolarmente brillante, nè ha qualità degne di nota, se si eccettua un fisico perfetto, con una particolarità che per il protagonista diventa ossessione.

Ed è proprio quell’elemento fisico, alla fine, a segnare l’epilogo tragico della storia. E’ proprio la carnalità, il fisico, ad essere minato, a significare l’opposto della vitalità propria della pratica sessuale. Del resto, amore e morte si sono già incontrate, lungo la storia, al capezzale di un amico che moribondo tenta furiosamente un ultimo approccio fisico con quanti lo circondano, come per un ultimo sussulto vitale. Il sesso è l’unico modo possibile di intendere i rapporti con le donne: pure, andando verso un epilogo che non potrà che essere tragico, David, forse senza neppure rendersene conto, tende ad un riscatto di una vita così anaffettiva e amorale correndo, contro una voce interiore che lo sconsiglia, perchè così “non sarebbe più libero”, a prestare conforto a Consuelo spaventata e sola.

Mi è piaciuto abbastanza lo stile in cui il libro è scritto: in particolare, mi è piaciuto che il testo sembri registrare in presa diretta i pensieri del protagonista, i suoi dialoghi interiori, l’andirivieni delle opinioni discusse con sè stesso; e ho trovato interessante la ricostruzione del clima della liberazione sessuale negli ambienti universitari americani negli anni ’60. Per il resto, l’ho trovato un guazzabuglio deprimente e cupo, che non lascia spazio alla speranza e alla pulizia, e che non mi ha entusiasmato.

The fighter still remains

In the clearing stands a boxer
And a fighter by his trade
And he carries the reminders
Of ev’ry glove that layed him down
Or cut him till he cried out
In

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his anger and his shame
“I am leaving, I am leaving”
But the fighter still remains

Libri che ho letto / La verità è che non gli piaci abbastanza

“LA VERITA’ E’ CHE NON GLI PIACI ABBASTANZA” di Greg Behrendt e Liz Tuccillo, Salani ed., 8,00 euro

copt13Se un uomo desidera una donna, probabilmente le permetterà di capirlo; se così non è, si nasconde dietro mille scuse. E se non ci pensa lui a giustificarsi, purtroppo ci pensano le donne, arrovellandosi, ossessionando le amiche, sprecando lacrime e sonno: “Forse non vuole rovinare la nostra amicizia”, “Non è colpa sua, ma della sua famiglia”, “È troppo preso dal lavoro”, “Ha paura di soffrire ancora”.

Questo piccolo grande libro, consigliatomi da mio fratello, che quando si tratta di prendermi a sberle per il mio bene non ci pensa due volte, vuole insegnare a riconoscere le giustificazioni vere da quelle false e a non perdere altro tempo con inutili illusioni.

Gli autori, due sceneggiatori della serie televisiva Sex and the City, insegnano come riconoscere le giustificazioni vere da quelle false: un botta e risposta fra donne in crisi e l’esperto, consigli, rivelazioni (“Gli uomini sanno come funziona un telefono”), divieti, aneddoti personali ed esercizi pratici, per non perdere altro tempo e smettere di farsi illusioni.

Un piccolo grande manuale per smascherare le scuse che le donne si autoraccontano, e purtroppo, talvolta, si autobevono.

Holding back the years

Nevica, sottile e vischioso.

Le nuvole bassissime e gonfie di qualcosa hanno cancellato metà panorama: scomparso il massiccio della Sellata, scomparsa Pignola, scomparso il crinale del centro storico.

Una indefinita malinconia mi pesa addosso, sono metereopatica e do la colpa al tempo.  Atmosferico, meglio specificare, che pure quello cronologico non è che c'entri poco. Conto in avanti e conto alla rovescia: due conti diversi che si incrociano e mi spingono a praticare con urgenza forme artificiali ma efficaci di divertimento, a seppellirmi di amici e chiasso e telefonate e giri di carte e risate.  Mi distraggo. Anestetizzo.

Dio è morto e occorre elaborare il lutto, attività nella quale sono professionista affermata.

Perchè poi alla fine arriva la stanchezza.
E insieme alla stanchezza arriva la consapevolezza che comunque una simile gelida abissale anaffettività non avrei potuto modificarla nemmeno di un soffio, perchè ci sarebbe voluta una volontà di ferro per fare il primo passo, per tendere una mano, il che a sua volta avrebbe presupposto il riconoscimento della necessità di un cambiamento, e la ferma volontà di avviarlo.

Fantascienza. Roba che manco a Lourdes.
E comunque io miracoli non voglio più provare a farne.

La colonna sonora di oggi è gentilmente offerta da Mike Hucknall & Simply Red.

 

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Sabato, 20 Dicembre 2008

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