Quando ti romba nelle orecchie il fiume in piena.
Quando fai a te stessa promesse di ascesi che poi non riesci a mantenere, e come Christiane F. dello zoo di Berlino, dopo aver sudato sangue per superare le crisi di astinenza, ed esserci riuscita a prezzo di immani sofferenze, stai meglio, sei quasi fuori, poi dici: “Ma sì, dai, solo uno spadino piccolo, che vuoi che sia?” e dopo 1 giorno sei già a rota peggio di prima.
Quando il mondo perde un pò di colore, ma piano, e il blues è l’unica via di fuga, in tutti i sensi
c’è zio Sugar Fornaciari, che ti capisce, e ti culla. Domani andrà meglio.
E passa di qui, se ti capita.
… perchè poi alla fine può anche non succedere assolutamente nulla. Però questa levità, questa bellissima sensazione di galleggiamento solo a chiudere gli occhi e riportare alla mente qualche dettaglio, me li merito tutti.
AGGIORNAMENTO: mi dicono che appena me ne sono andata è successo di tutto: la brava presentatrice convinta che lo spettacolo fosse finito, dopo 35 minuti, ha interrotto l’attore semifamoso salutandolo e ringraziandolo. Gelo della pleta. Attore semifamoso incazzato come una iena che ha concluso lo spettacolo dopo aver massacrato la brava presentatrice con l’aiuto di alcune delle autorità presenti in prima fila.
Ma cazzo, me lo fate apposta, a far succedere queste cose dopo che me ne sono andata.
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Arrivo quando i discorsi istituzionali sono appena finiti, e vengo travolta dalla folla che esce dalla sala e si precipita verso il buffet. Poteva essere una semplice coda per mangiare qualcosina, ma dopo un quarto d’ora è chiaro a tutti che la situazione sta sfuggendo di mano: si arriva in vista dei tavoli in un tempo medio di 20 minuti.
Al 25′, i camerieri cominciano ad essere aggrediti a colpi di forchetta. Alcuni di loro vengono fermati armi in pugno nel tragitto dalla cucina ai tavoli e depredati dei vassoi carichi di insalata di riso. Al 35′, la gente sta mangiando i vassoi, che sono di cartone e quindi ben si prestano ad essere masticati. L’organizzazione prevedeva 360 posti a sedere e cibarie equivalenti, ma nella sala siamo forse in 700 e la gente comincia a sedersi l’una sulle ginocchia degli altri, anche se sconosciuti, anzi soprattutto se sconosciuti, favorendo nuove amicizie.
Al 45′ è l’Armageddon: i camerieri sono spariti, probabilmente chiusi in bagno a piangere, gli avventori si disputano forchette e chicchi di riso, le torte in mancanza di acconce posate sono sventrate con le mani.
Io al 15′ minuto ho capito la mala parata, mi propongo di evitare almeno lo tsunami di ritorno e sono tornata nella sala buia e vuota, dove si stanno facendo le prove per lo spettacolo che si aprirà di lì a poco. Unico protagonista, un attore semicelebre di origini locali, del quale ho modo di apprezzare paranoie e capriccetti che gettano il team di organizzatori nello sconforto. Mi piace stare lì nel buio anonimo a vedere persone che si agitano, risolvono problemi, ne creano di nuovi. Ogni tanto un walkie talkie gracchia e annuncia ad uno degli organizzatori come procede la Gehenna della sala buffet.
Altri dati salienti della serata:
1. le scarpe una misura troppo grandi della brava presentatrice, che tendono a scapparle dai piedi con effetto Minnie;
2. il trombettista che accompagna l’attore nel suo monologo, una perfetta imitazione del Maestro Fava di Fiorello, uguale anche la musica;
3. le fantastiche hostess, messe nel corridoio in prima fila per fare da filtro, visto che le prime due file sono “riservate alle autorità”. Il problema è che hanno 16 anni a testa, e quindi non hanno la più pallida idea di chi siano le “autorità”. Cionondimeno avrebbero il 50% di possibilità di azzeccarla, ma sono anche sfigate, e quindi sistematicamente bloccano “autorità”, beccandosi occhiatacce e reprimende e lei non sa chi sono io, e fanno invece passare chiunque altro. Siccome io sono seduta in terza fila, lato corridoio, la minigonna inguinale di una delle due mi oscilla davanti al naso e penso sia per questo che un gruppo di ragazzini ha preso posto affianco a me, sedendosi sulle scale basse che formano il corridoio, facendosi parare davanti tutto un mondo sconosciuto e facendo finire per sempre l’infanzia;
4. un curioso crampo che mi prende la bocca dello stomaco, che ha cominciato a manifestarsi appena arrivata, è andato peggiorando con il passare del tempo, e si attenuerà solo quando uscirò nell’aria fresca della sera, perdendomi un pezzo di spettacolo, per andare a finire la serata altrove.
“… Questo è l’amore. Una sorta di rottura di sè perchè l’altro lo attraversi. Non una ricerca di sè, ma una ricerca dell’altro, che sia in grado, naturalmente a nostro rischio, di spezzare la nostra autonomia, di alterare la nostra identità, squilibrandola nelle sue difese.
L’altro, infatti, se non passa vicino a me come noi passiamo vicino ai muri, mi altera.
E senza questa alterazione che mi spezza, mi incrina, espone, come posso essere attraversato dall’altro, che poi è il solo che può consentirmi di essere, oltre a me stesso, altro da me?
L’amore non è ricerca della propria segreta soggettività, che non si riesce a reperire nel vivere sociale.
Amore è piuttosto l’espropriazione della soggettività, è l’essere trascinato del soggetto oltre la sua identità, è il suo concedersi a questo trascinamento, perchè solo l’altro può liberarci dal peso di una soggettività che non sa che fare di sè stessa.
Per questo amore non è una cosa tranquilla, non è delicatezza, confidenza, conforto. Amore non è comprensione, condivisione, gentilezza, rispetto, passione che tocca l’anima o contamina i corpi.
Amore è violazione della integrità degli individui. La sola cosa capace di aprirci all’altro.”
(Umberto Galimberti, D – Supplemento di Repubblica, 28 Giugno 2008)
Ho letto e riletto il passo della Bibbia – oddio, trovato on line, chissà se è proprio quello originale – e non sono riuscita a capire quanti giorni hanno girato gli assedianti intorno alle mura nè perchè le urla e gli squilli di tromba hanno fatto cadere mura inespugnabili.
Forse la difficoltà di comprensione dipende dal fatto che stasera ho festeggiato con un bel gruppo di gente di dieci anni più giovane di me, tutti a brindare per Alessandra che parte, si traferisce a Parigi, un altro pezzo bello della mia vita recente che rischia di sparire in un gorgo. E così siamo andati avanti a prosecco e salatini ma soprattutto prosecco per un’oretta, quando me ne sono andata le bottiglie erano
Quindi non sono proprio perfettamente compos mihi, diciamo.
‘Mbriaca, sì.
A casa mi sono fatta prendere dalla pigrizia e invece di cucinarmi per benino le cosine fresche che mi piacciono tanto ho aperto una scatoletta di Cous Cous Prèt à Porter Nostromo.
Meglio la morte.
Per scacciare il sapore di cadavere e la tristezza che ancora albergava non mi è rimasto di meglio che cioccolato fondente e Pampero Aniversario, che non ha migliorato molto il grado complessivo di lucidità. Ergo, ora sono triste come prima e semiciucca, e piuttosto intenzionata a diventare ciucca del tutto.
E le mura di Gerico son sempre lì, alte, belle, splendenti nel sole, a ricordarmi che non vivo bene senza almeno un obiettivo sfuggente – se non impossibile – sul quale spaccarmi la testa a sangue.
Magari “felice” è una parola grossa.
Però certo questa leggerezza, questo solletico allo stomaco era un pò che non li sentivo.
Certo succedono cose strane, in forza di quella leggerezza.
Ad esempio succede che il tuo umore sia condizionato dai colori di palline sullo schermo, o da un “bling” quando non te lo aspetti. O che una mail di 1 rigo, 10 parole, di cui importanti 2, ti faccia viaggiare a due metri da terra per alcune ore.
Si sviluppano forme di feticismo.
Si prende in considerazione l’idea che “impossibile? chi l’ha detto?” con il suo corollario “ok è impossibile, ma sarà sempre meglio del deserto che ho attraversato“.
In forza di questa leggerezza, si normalizzano e amplificano anche i rapporti con i vecchi amici, quelli con i quali hai diviso tanto, tutto, che diventano di colpo, anzichè fonte di stress, una preziosa fonte di rilassamento, di confidenza, di rifugio, persone con cui passare una domenica mattina di sole a ridere e a fare colazione su un terrazzo.