Cerco lavoro (un altro)

Da qualche tempo, per motivi personali (vorrei trasferirmi in un’altra città) sto cercando lavoro. Giornali, e soprattutto Internet. Ho dieci anni circa di esperienza nel mio settore, un curriculum obiettivamente sostanzioso, parlucchio due lingue, l’informatica d’ufficio non ha segreti per me.

Eppure, non ho trovato un beneamato tubo, per usare un francesismo (che è appunto una delle due lingue che parlucchio).
Le considerazioni che via via sono venuta elaborando dentro di me su questo tema possono riassumersi come segue:
1. il 90% degli annunci di lavoro cerca venditori, a riprova che i consumi di massa sono in crisi; si va dall’onesto “cercasi rappresentante monomandatario” al subdolo “sales manager” che fa intravvedere scrivanie luccicanti, ficus benjamin e segretarie e invece è sempre un venditore/rappresentante; non mancano nemmeno gli “informatori scientifici del farmaco” (sempre venditori, comunque) e il “responsabile commerciale”, cioè un venditore più esperto.
2. quando ero una neolaureata senza arte nè parte, e il mio curriculum scritto grosso riempiva 3/4 di paginetta, cercavano personale esperto, con almeno 5 anni di esperienza; adesso, un buon 50% delle offerte di lavoro chiede “neolaureati” o “laureati max 25 anni”, il che vuol dire neolaureati, perchè  meno di non essere geni o di aver scelto una facoltà con 18 esami (esiste, fidatevi) sfido chiunque a laurearsi prima dei 24 anni.
Buone possibilità avrei anche se cercassi lavoro come saldatore, tubista, mulettista (?!) e ovviamente se sapessi progettare in uno qualunque dei linguaggi informatici, per lo più ideati da alieni, richiesti dal mercato.
Per la disperazione, sto cominciando a nascondere i titoli, a dimenticare una lingua, a limare gli anni di esperienza; specifico che sono disponibile a contratti atipici (la mia missione), anche part time, a collaborazioni free lance; sto cominciando a cercare non solo nella categoria “risorse umane” che sarebbe di mia pertinenza, ma anche in quella “organizzazione” e credevo di avere toccato il fondo quando ho risposto ad un annuncio per una “segretaria di direzione”.
Mi sbagliavo. Il fondo l’ho toccato quando non mi hanno risposto. Il SuperEnalotto comincia a sembrarmi una prospettiva più fattibile, e statisticamente più probabile.
Intanto oggi la temperatura è salita a 33 gradi, e anche nella mia di solito fresca stanza si boccheggia, e se si considerano le mie eroiche risposte dell’altro ieri, manco mi posso lamentare.  Così imparo a fare l’eroina.

Condizionare & rinfrescare

Sempre ottimista, avevo parlato di “acquisto di un ventilatore” per la stanza dei tecnici, che comprende la figlia del capo, il figlio del capo e la sua fidanzata (roba di famiglia, insomma). Ingenua: ieri è arrivato di corsa un installatore e oggi un condizionatore ultimo grido fa bella mostra di sè nella suddetta stanza, oltre ad un gelo siberiano. L’installatore è stato pagato con un prontezza della quale la co.co.co. che vi scrive si è non poco stupita, se si considera che i nostri compensi hanno pressappoco la stessa cadenza della cometa di Halley.

Dei contratti

Quando ho fatto il mio trionfale ingresso nella struttura lavorativa che si onora di avermi fra i suoi lavoratori, c’erano due progetti che giacevano inerti da circa un paio di anni, più volte minacciati di abbandono, e continuavano – ma io questo l’ho scoperto dopo – ad arrivare fax e lettere dei partners, con varie sfumature di rimprovero.
Ero il capro predestinato ad accollarmi le sorti appiccicose dei due progetti, visto che ero appena arrivata, e per l’occasione mi vennero fatti ben due contratti ad hoc, con tanto di prescrizione dell’impegno orario, del compenso per ora, e della coincidenza della fine del mio impegno con la chiusura dei progetti. Quindi, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa “a progetto” della riforma Biagi, cioè finalizzati alla conclusione di un progetto per es. di ricerca, non sono una assoluta novità, per quello che mi riguarda.
Nel giro di tre o quattro mesi, ero l’orgogliosa responsabile di infinite rotture di scatole legate ai due famosi progetti, e di qualche piccola ma tangibile soddisfazione professionale (3 giorni a Parigi a spese dell’Unione Europea, ad esempio, di cui 0,5 utilizzati per lavorare e il resto per appropriarsi della città).
Da quel lontano giorno del 1999, più nessun contratto fra me e l’azienda ha avuto l’onore di vedere la luce, pur essendo nel 2000 finiti i famosi progetti iniziali: essendomi conquistata sul campo le stellette del “cane che non molla l’osso e porta a casa i risultati, a rischio di travalicare il suo ruolo” (cito testualmente dal mio capo, forse era un complimento) sono stata ritenuta parte integrante del personale, e quindi si è cominciata a dare per scontata la mia presenza in ufficio tutti i giorni, mattina e pomeriggio, anche se il co.co.co. per definizione dovrebbe “garantire la presenza (solo) il tempo necessario a condurre a termine il lavoro assegnato”.
Alle mie debolissime rare rimostranze venivo sempre guardata con uno sguardo che ricordava quello di Linus quando gli viene strappata la coperta, con gli angoli delle sopracciglia verso il basso e il messaggio “Ma come, non ti fidi?” stampato nel fumetto sopra la testa.
Risultato: non ho diritti (né scritti né orali), non ho doveri (scritti). Ma mi riesce così di rado di approfittarne

Caldo, caldo, caldo

La temperatura è salita a 32 gradi, in città; l’umidità è tenuta abbastanza a bada dall’altitudine, ma in un ufficio, si sa, si suda molto e quindi quando si entra la mattina sembra di essere nel Dolceforno. Lamenti stremati giungono, nel primo pomeriggio soprattutto, da tutte le stanze. Il frigorifero d’ordinanza è assediato come Fort Apache, e qualcuno arriva a spegnere la macchinetta del caffè perchè “riscalda”.
Il figlio del capo entra nella mia stanza e chiede: tu senti l’esigenza di un condizionatore? perchè stiamo valutando l’ipotesi di installare un sistema di condizionamento centralizzato. Questo in un sistema organizzativo nel quale si è predisposto un angolo apposta, durante la ristrutturazione, per la fotocopiatrice, e in quell’angolo nessuno ha pensato a far mettere una presa di corrente. Si è dovuto riscassare il muro, a trasloco avvenuto.
No, rispondo io. In effetti è quasi la verità. Un architetto fantasioso o forse maltrattato da bambino ha disegnato il palazzo nel quale c’è il nostro ufficio come un insieme di cubi rientranti e sporgenti, in cemento a faccia vista. La mia finestra è SOTTO un cubo sporgente, e quindi il sole, per questo e per l’esposizione nord – nordovest, non ci batte mai  direttamente.
Si fa un rapido conto. Io e la mia collega di stanza no, il capo no perchè lui ha fatto il dopoguerra e quindi sa che vuol dire soffrire, l’architetto no perchè è comunista e se non lo sa lui cosa vuol dire soffrire, la segretaria no perchè è nella stessa situazione mia.
L’installazione viene bocciata a maggioranza. L’alternativa sarà un ventilatore nella stanza dei tecnici, non so. Finisco la giornata con la serena consapevolezza che, pur nel mio ruolo di unica co.co.co. dell’ufficio, ho salvato le mura da trivellazioni incongrue. Comincio ad affezionarmi, a queste mura.
Vorrei infine tranquillizzare quelli che hanno letto il mio primo post e hanno cominciato a farmi gli auguri: tranquilli, non sono incinta! Per il momento!

Benvenuti a Precarioland

Ho 37 anni, lavoro da sempre con contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Una gallinella, insomma. Co.co.co.,  co.co.co. … La situazione non è sempre così tragica come viene descritta. Scopo di questo diario è descriverla, questa situazione tragicomica, giorno per giorno o quasi, per aiutare i poveri sbandati alla ricerca di informazioni su cosa vuol dire VERAMENTE, al di là della fredda norma di legge, essere un lavoratore atipico. Soprattutto ora che le gallinelle, grazie al compianto Marco Biagi, stanno per sparire e al loro posto fioriranno non si sa bene quale altri strani generi di lavoratrici.
Il riferimento è fatto al femminile, perchè femmina son io, ma grazie a dure battaglie fatte dalle nostre nonne e mamme, ora non c’è più la benchè minima differenza.
O quasi.
Temo infatti che tra qualche tempo dovrò affrontare il tema: lavoro atipico e maternità.

Inizio oggi, ergo il mio primo post

Inizio oggi a scrivere su questo nuovo meraviglioso strumento perfetto per incensare il proprio ego, dal momento che non prevede dibattiti ma solo meravigliosi monologhi con i quali autoconvincersi che non si stanno dicendo stupidate.
Sono troppo emozionata dalla scoperta (e dalla facilità di accesso, lo ammetto: tre minuti netti ed ecco il mio blog pronto per essere pubblicato, con una veste grafica dignitosa e uno strumentario ampio e molto friendly) per avere intenzione di scrivere altro, per stasera.