La temperatura è salita a 32 gradi, in città; l’umidità è tenuta abbastanza a bada dall’altitudine, ma in un ufficio, si sa, si suda molto e quindi quando si entra la mattina sembra di essere nel Dolceforno. Lamenti stremati giungono, nel primo pomeriggio soprattutto, da tutte le stanze. Il frigorifero d’ordinanza è assediato come Fort Apache, e qualcuno arriva a spegnere la macchinetta del caffè perchè “riscalda”.
Il figlio del capo entra nella mia stanza e chiede: tu senti l’esigenza di un condizionatore? perchè stiamo valutando l’ipotesi di installare un sistema di condizionamento centralizzato. Questo in un sistema organizzativo nel quale si è predisposto un angolo apposta, durante la ristrutturazione, per la fotocopiatrice, e in quell’angolo nessuno ha pensato a far mettere una presa di corrente. Si è dovuto riscassare il muro, a trasloco avvenuto.
No, rispondo io. In effetti è quasi la verità. Un architetto fantasioso o forse maltrattato da bambino ha disegnato il palazzo nel quale c’è il nostro ufficio come un insieme di cubi rientranti e sporgenti, in cemento a faccia vista. La mia finestra è SOTTO un cubo sporgente, e quindi il sole, per questo e per l’esposizione nord – nordovest, non ci batte mai direttamente.
Si fa un rapido conto. Io e la mia collega di stanza no, il capo no perchè lui ha fatto il dopoguerra e quindi sa che vuol dire soffrire, l’architetto no perchè è comunista e se non lo sa lui cosa vuol dire soffrire, la segretaria no perchè è nella stessa situazione mia.
L’installazione viene bocciata a maggioranza. L’alternativa sarà un ventilatore nella stanza dei tecnici, non so. Finisco la giornata con la serena consapevolezza che, pur nel mio ruolo di unica co.co.co. dell’ufficio, ho salvato le mura da trivellazioni incongrue. Comincio ad affezionarmi, a queste mura.
Vorrei infine tranquillizzare quelli che hanno letto il mio primo post e hanno cominciato a farmi gli auguri: tranquilli, non sono incinta! Per il momento!