Discussioni

Sono reduce da una vivace discussione col capo che in altri tempi avrei anche potuto chiamare scazzo, ma ormai dato il caldo e il megalavoro che ci attende per i prossimi roventi giorni posso tranquillamente catalogare come scambio di idee.

Lui sostiene che l’orientamento politico della nostra regione sta lentamente ma inesorabilmente spostando il timone da centro – sinistra verso centro – destra, e che noi, che siamo struttura di servizio (e quindi vendibili al miglior offerente, N.d.A.) dobbiamo adeguarci. E lui infatti si sta adeguando, con telefonate rapporti relazioni pranzi cene micio micio e carezzine varie. Non ho niente da obiettare al riguardo, la nostra è una impresa che deve pensare al fatturato, e ognuno ci pensa come meglio gli riesce, e notoriamente la fedeltà ad una causa non è il modo migliore.

Il problema è che secondo lui questa operazione di fiutamento dell’aria e salita sul carro del prossimo vincitore è in qualche modo frenata dalla circostanza che lui è circondato (mi si perdoni l’allitterazione) di sporchi comunisti, fra i quali senz’altro si annovera la sottoscritta, i quali sono invitati immantinente a cambiare casacca e indossare camicie nere o cravatte azzurre, please, pena l’affondamento dell abarca con tutti i suoi topi a bordo.

E qui divergo. La mia opinione è che IO sono una dipendente – collaboratrice – tuttofare, chiamatemi come volete, ma comunque faccio parte, insieme ai miei compagni trotzkisti, dello staff tecnico, tenuto ad assicurare la qualità tecnica delleproduzioni. TU sei il capo, TU decidi che indirizzo dare alla baracca, poi dici a ME cosa devo fare, e io la faccio nel migliore dei modi possibili. Che poi il frutto del mio sudore vada a finire in mano a Forza Italia piuttosto che ad AN non sono cavoli miei, può dispiacermi ma tanto non porta la mia firma come persona, ma come impresa, collettiva, globale.

In forza di questo TU non puoi chiedermi di cambiare bandiera per il bene della società.

Tanto non l’avrebbe fatto nessuno, era solo una provocazione.

Chi ha ragione?

Pettegolezzi

La telefonata è arrivata. Confermata la SPLP per il 20 Agosto, con un sadismo istituzionale degno di Mengele. Prevedo piani ferie che coinvolgerano il fresco mese di Settembre, quest’anno, nel quale ovviamente pioverà a dirotto e ci saranno 12 gradi centigradi come temperatura massima, mentre ora stiamo bollendo come zucchine nel minestrone e il sole splende rovente e incurante dei lavoratori atipici curvi cui pc.

Ieri sera era il compleanno di una delle mie amiche di vecchia data, e ci siamo ritrovate in 4 femminucce virgola 5 (una delle 4 è incinta di 7 mesi, e aspetta appunto un’altra femmina) a fare uno sport che le donne meridionali di qualunque età adorano, ovvero il “taglia e cuci”. Ieri sera in particolare sono stati aggiornati i database, con una lunga elencazione di fidanzamenti, matrimoni, separazioni, divorzi, annullamenti, vedovanze, un sospetto di omosessualità in una persona finora catalogata come etero, vecchie coppie scoppiate che si ritrovano, numero di figli, figli in comunità di recupero, e via inserendo dati, correggendo quelli imprecisi, aiutandoci a vicenda su nomi e cognomi, parentele, rapporti vicini e lontani.

E qualche ricordo di gioventù, che inizia con la frase: “Chissà che fine ha fatto X, ve lo ricordate X?” e lì subito un’altra interviene dicendovi per filo e per segno che fine ha fatto X, e già che c’è anche Y e Z, ricordati per assonanza o affinità concettuale.

E’ stata avviata una indagine poliziesca da svolgere fuori città, restringendo il campo di indagine a miei concittadini che abbiano la casa al mare in un certo comune della costa, e che l’abbiano in quel palazzo dove c’è quel bar – ristorante – pizzeria.

Che volete, la città è piccola e la gente parla. Vi giuro, senza cattiveria. Ci credete?

Il caldo ammoscia

Stamattina cazzeggio, facendo l’equivalente informatico del disegnare fiorellini sui blocchi degli appunti ad una conferenza, mentre siamo tutti in calda e afosa attesa del verdetto finale per l’ormai mitica SPLP: Scadenza Progetto Leader Plus. Ci giochiamo ai dadi le due possibili opzioni: 8 Agosto, un rinvio del cazzo per il progetto ma perfetto per le vacanze, e il 21 Agosto, con caratteristiche inverse. Chi verrà a lavorare Sabato 16 Agosto?

I vacanzieri incalliti hanno già messo un muso lungo un chilometro. Io me la rido, perchè la mia situazione personale e sentimentale difficilmente mi consentirà – che culo, eh? – di andare in vacanza, e quindi ecco trasformata una sfiga cosmica in un’opportunità di fare la stakanovista e dare ad intendere che sono IO quella che lavora più di tutti qua dentro, ipotesi che mi fa ridere anche solo a vederla scritta. E poi ieri, con un colpo di teatro degno di Eduardo De Filippo, ci è stato accreditato lo stipendio di Giugno, quindi non abbiamo molte scuse per non lavorare indefessamente fino al 20 Agosto, quando presumibilmente ci verrà accreditato lo stipendio di Luglio.

La stampante principale dell’ufficio, che fa cose che voi umani non potete neppure immaginare, è andata misteriosamente in blocco, o meglio, non funziona più il collegamento di rete che la unisce con cordone ombelicale informatico ai nostri terminali, per cui da qualunque stanza vogliamo stampare fronte/retro a 2.000 pagine al secondo le nostre cazzate, possiamo farlo. Potevamo farlo. Oggi ci tocca accontentarci delle stampantine personali, che pure abbiamo sontuosamente in dotazione, peraltro anch’esse tutte in rete, quindi la regola che ne viene fuori è che ognuno stampa su qualunque stampante gli giri, purchè non sia la propria, così ha una scusa per alzarsi e andare in un’altra stanza.

Le scorte alimentari, che d’inverno riempiono cassetti e armadietti nascosti, e che sono altra motivazione sufficiente per migrazioni verso altre stanze più fornite (“hai qualcosa da mangiare?” è la frase che apre ufficialmente un break) tendono curiosamente verso la carestia; nel frigo c’è solo acqua e uno yogurt aperto scaduto il mese scorso. Ho messo su un CD con canzoni degli anni fra il 1974 e il 1977, per ricordarmi che pure io ho avuto estati di un’adolescenza passabilmente felice, se non altro perchè totalmente priva di brufoli ed herpes, per una fortunata alchimia ormonale, che purtroppo si è vendicata regalandomi quei 10 chili di sovrappeso che non sono mai più riuscita a seminare (“cerco di perdere peso, ma lui continua a trovarmi”, diceva una scritta su un ciappino americano per i tegami ).

E su questa musica d’antan aspettiamo che il telefono squilli e ci dica esattamente di quale morte dobbiamo morire …

Il Vesuvio in mostra

Ah, sì: i questuanti da ufficio. Me l’ero scordato perchè ho ancora negli occhi il week end. Sono andata al Museo Nazionale di Napoli a vedere “Storie da un’eruzione”, che mette in mostra reperti trovati in scavi programmati e casuali (quelli del raddoppio dell’Autostrada) fra Ercolano, Oplonti e Moregine, che attualmente corrispondono alle periferie fra Terzigno e Torre Annunziata. Sono rimasta senza parole. Gli ercolanesi in fuga scappavano portando con sè quello che che di più prezioso possedevano, per lo più gioielli e monete. Ercolano non fu bombardata da lapilli e pomici, come Pompei, ma “solo” sepolta da una serie di “surge”, ovvero di velocissima impalpabile cenere rovente mista a gas venefici, che non ha fatto crollare gli edifici, visitabili in situ in tutti i loro tre piani di altezza, e ha calcinato in pochi secondi non solo i corpi (si possono leggere macabri dettagli quali aumento in pochi secondi della temperatura corporea fino a 400 gradi con conseguente ebollizione del sangue e esplosione di crani) ma anche gli oggetti. Per non so bene quale fenomeno chimico – fisico, dunque, a Ercolano si sono ritrovati anche materiali organici, che a Pompei sono stati distrutti dal fuoco, come stoffe, legno, cesti di vimini, ossa.

I calchi dei corpi sono impressionanti, è stato possibile ricostruire perfino le espressioni dei visi che stanno guardando in faccia una morte orribile, e vi assicuro che è scioccante. C’è il famoso calco del bimbo che tenta di ripararsi sotto le vesti del padre, della fanciulla che cerca di ripararsi con un lembo di abito, del marito che cerca di riparare la moglie.

Ma quello che veramente mi ha lasciato senza fiato sono stati i gioielli, ritrovati assolutamente intatti e tornati a risplendere come duemila anni fa. Bracciali a forma di serpenti intrecciati, fra cui uno con all’interno la commoventissima leggibilissima incisione “Dominus ancillae suae”, “Il padrone alla sua schiava”, che la dice lunga sui rapporti affettuosi e semi familiari che potevano intercorrere fra padroni e servi; bracciali fatti di semisfere d’oro accoppiate, catene di foglie d’edera in oro massiccio, anelli con castoni di pietre preziose incise, oggetti di fattura, oltre che squisita, modernissima.

All’ingresso, una riproduzione filmata con effetti speciali vi introduce alla tragedia: i mosaici riproducenti scene di vita quotidiana e di civiltà opulenta si spaccano al rombo terrificante del terremoto che ha preceduto l’eruzione e la musica da flautata diventa drammatica. All’uscita, potete sedervi ed ammirare un contributo filmato che ha messo insieme tutti gli spezzoni di film, anche muti, nei quali vi siano scene relative alla vita quotidiana di Pompei e alla sua tragica fine.

Questuanti da ufficio

Voci di corridoio incontrollate ma affidabili parlano dell’ 8 Agosto come la data più probabile per la nuova scadenza del megaprogettone. A me a alla buddista sono crollate le teste sulle scrivanie, con un unico BONK sincronizzato e alquanto doloroso. Otto Agosto è domani, significa non potersi rilassare manco un giorno. Unica consolazione, andarsene il vacanza il nove e riparlarne a Settembre.

Mentre riflettiamo sul nostro amaro destino, bussano alla porta, che che viene regolarmente aperta senza possibilità di filtro. Se Jack lo Squartatore decidesse di fare una strage di atipici e regolari, potrebbe cominciare dal nostro ufficio: chi lo ferma? Ci è andata bene, per oggi: non è Jack lo Squartatore, ma solo “il napoletano”. Questa locuzione sta ad indicare uno dei protagonisti di un fenomeno molto meridionale: i questuanti da ufficio.

Trattasi di persone che vanno in giro vendendo mercanzie di varia origine e natura, per lo più inutile, e ben sapendo che nelle case private non gli aprirebbe nessuno, vanno per uffici, preferibilmente pubblici, studi professionali e sedi di associazioni, senza disdegnare banche e altri esercizi commerciali, il che costituisce il massimo della sfrontatezza.

Noi siamo perseguitati da due di questi truffatori: il “napoletano”, appunto, un giovane di circa 30 anni, con una moglie perennemente incinta e un numero di figli spropositato che aumenta di una unità ogni sei mesi (qualcosa non quadra), e vende ogni genere di carabattole “per la casa”, dagli strofinacci alle candele di citronella ai deodoranti ambientali ai sacchetti per congelatore e spazzatura (da non confondere fra loro). Il prezzo che chiede è ovviamente da rapina, ed è pagabile solo se si entra nell’ordine di idee che si sta facendo un’opera di bene allo stuolo di figli veri o presunti che siano.

Il secondo caso è più delicato: trattasi della “vecchietta”. Ottantaquattro anni dichiarati, capelli bianchi col tuppo e le forcine, abiti neri dimessi, morbo di Parkinson ad uno stadio finale che rende impossibile capire quello che dice e difficoltosi i movimenti: non è la descrizione di mia nonna, ma di una persona che dovrebbe stare tranquilla a fare le calzette a casa propria, ed invece le calzette la fa, ma poi pretende di venderle in giro per la città. Non c’è niente che la fermi: quando riesce ad entrare, non c’è verso che se ne vada se prima non ha venduto un utilissimo paio di babbucce di lana, o un irrinuciabile colletto ricamato. I cassetti della mia scrivania traboccano di centrini all’uncinetto, bordi ricamati per asciugamani, scarpine da neonato, frutto degli ultimi tre anni di rapine della rapace ottuagenaria, che quando capisce di avere rotto, si tramuta in vecchina sperduta nella neve e oltre alle decine di euro che lucra per i suoi capolavori riesce a scroccare pure caffè, acqua, l’uso del bagno, l’accompagnamento in ascensore perchè ha paura. Messa alle strette un giorno che avevo tempo da perdere, mi ha montato una balla fantastica, e cioè che lei non ha bisogno e nemmeno i suoi figli, ma i soldi che raggranella li porta alla parrocchia; dichiarazione grazie alla quale i miei pensieri socio assistenziali nei suoi confronti sono diventati subito omicidi.

Solo il capo è riuscito a metterla fuori combattimento, con l’infallibile tecnica della follia: quando la vecchietta è comparsa sulla sua porta, il capo, restando seduto alla scrivania, ha cominciato a ringhiare e poi ad abbaiare. La vecchietta è fuggita segnandosi.

Diario di bordo

Da qualche giorno in ufficio c’è un incremento della percentuale di politici locali in visita, a telefono, fuori della porta. Qualcosa nel megabando di cui non si sa più che scadenza avrà si sta muovendo, e dalla faccia del capo temo si stia muovendo contro di noi. E’ logico, ed anche intuitivo: le alleanze politico – strategiche non possono essere tenute in piedi per troppo tempo, e quella di cui parlo è stata stretta da più di un anno. Le proroghe non ci volevano, e chi le ha decise lo sapeva.

Alla lavoratrice atipica che indossa i miei vestiti frega abbastanza poco dei movimenti politici, però siccome un fondo di amor proprio, nonchè di consapevolezza del proprio lavoro, ancora c’è, sapere che mi sono fatta il cervello a frittatina per circa due mesi, e insieme a me i due colleghi di sventura, per qualcosa che forse non vedrà mai la luce, mi rode alquanto.

Ieri ho spedito un altro curriculum. Sto cominciando a pensare – bella scoperta del tubo – che i curricula mandati via posta elettronica vengano cestinati con un semplice movimento muscolare del dito indice della segretaria di turno. Forse cestinare un curriculum che arriva per posta richiede l’impegno di qualche altro muscolo in più, e magari scappa l’occhio su un dettaglio della mia vita professionale che può interessare .. ho bisogno di aggrapparmi a queste cabale, per non perdere del tutto la speranza.

E stamattina già mi sono depressa abbastanza scoprendo per caso che Buffy Davis, quella buffa bimba coi codini protagonista di un telefilm americano degli anni ’60 che citavo sempre perchè quando avevo tre anni ero assolutamente identica a lei, codini compresi, è morta di overdose a 16 anni.

Non so come ho fatto ad arrivare dal lavoro a Buffy, ma non mi voglio rileggere   oggi. E’ un’altra giornata rovente di lavoro, babies, e abbiamo finito pure le scorte di acqua. In compenso il caffè è tornato decente, e il bar di fronte, il cui proprietario non vi darebbe un bicchiere d’acqua nemmeno se state stramazzando al suolo, se non stringete fra le dita i 10 centesimi del suo costo, ha aumentato il numero di tavolini all’aperto, e ha imparato a fare il caffè shakerato.

Cell’ho!

Se per caso stavate facendo la coda in libreria e/o alla Posta per comprare e spedirmi “Io uccido” di Faletti, presi da un accesso di bontà per la povera piccola fiammiferaia lavoratrice atipica che non l’ha comprato, il libro, perchè costa troppo, potete fermarvi: me l’ha regalato la mia mamma :))

Ho spazzolato le ultime 200 pagine in 24 ore e ora, sazia e soddisfatta, so non solo chi è l’assassino, ma come hanno fatto a prenderlo e perchè era diventato un serial killer. Se fate i bravi, tra qualche giorno potrete leggere la mia recensione su www.ilportoritrovato.net.

Aggiorno, anche oggi

1. LE FERIE – la megascadenza del 21 luglio salta, dopo essere saltata già quella del 21 giugno; se la prossima che il nostro massimo Ente Locale, nella sua infinita lungimiranza, vorrà fissare, sarà al 21 Agosto, ci siamo tutti o quasi fottute le vacanze; peggio ancora, ovviamente, se la scadenza viene fissata, che so, al 5 settembre o giù di lì.

2. LA TEMPERATURA – contrariamente che nel resto d’Italia, a giudicare da quello che si legge e si sente, qui la temperatura non supera i 28 gradi e l’umidità non supera il 35%; quindi notti fresche, sudori sotto controllo, sistemi di condizionamento da ufficio profumatamente pagati che restano del tutto inutilizzati (yek, yek, risatina da Cattivik :))

3. IL CAPO NON C’E’  – e quindi i topi ballano. Io per esempio sto meditando di andare nella mia libreria preferita a chiedere se è uscita l’edizione economica di Io Uccido di Giorgio Faletti. Ho iniziato a leggerlo venerdì scorso a casa di mia zia e nonostante i miei ritmi di lettura notoriamente forsennati non sono stata in grado di digerire le 670 pagine fino a domenica sera, data nella quale ho dovuto abbandonare il malloppo che la zia non poteva prestarmi, damned. Quindi ora sono nella terrificante condizione di avere letto 4/5 di un ottimo thriller e NON POTER SAPERE come va a finire, ovvero chi è l’assassino, senza mettere mano alla sacca e sborsare circa 18 euro, che già sono stata restìa a spendere finora, e sono vieppiù restìa a spendere oggi, che ho già letto quasi tutto il libro ….

4. LA MACCHINETTA DEL CAFFE’ – qualcuno, anonimo per definizione, non so con quanta premeditazione e/o coglionaggine, ha messo l’acqua MINERALE nella vaschetta all’uopo destinata. Il risultato è che adesso la macchinetta fa il caffè con una schiuma esagerata, che riempie il bicchierino in un amen, si dissolve dopo 10 secondi netti e lascia un fondo di caffè ottimo per concimare le piante.

Studiate, crape!

Per lavoro, mi capita di dover studiare la legge 28 Marzo 2003, n° 53, archiviata anche come “Riforma del sistema scolastico”. Ne discuto con il mio compagno, che è un insegnante. La conclusione a cui arriviamo si può riassumere come segue: 

1. l’istruzione è un diritto/dovere fino al raggiungimento di una qualifica, purchè entro i 18 anni;

 

2. il diritto all’istruzione e alla formazione è assicurato per “almeno dodici anni”, nei quali sono compresi i 3 anni della scuola d’infanzia, i 5 di scuola elementare, i 3 di scuola media, per un totale di 11 anni; quindi fino al compimento del 15° anno, si ha diritto ad andare a scuola, oltre il quale poi si può optare per proseguire con l’istruzione liceale,  quella tecnico – professionale o ad una cosa ibrida scuola/lavoro, regolata dalle Regioni;

 

3. alla fine del periodo infanzia/scuola primaria, ovvero fino ai 14 anni, ovvero dopo 11 anni di scuola dell’obbligo statale, si può optare per un regime qualsiasi fino ai 18 anni, oppure chiudere con una qualifica anche prima del 18° anno, solo che, mentre si quantifica la durata massima della qualifica (quattro anni), non si  quantifica la durata minima (un anno?) per completare i dodici e ritenere soddisfatto l’obbligo all’istruzione (art. 68 comma 2 lettera pag. 15).

 

Tradotto in italiano:

 

1. fino ai 14 anni siete pregati di non fare un cazzo e di non rompere le scatole;

 

2. dai 14 ai 18, se volete PAGARE per frequentare l’Università, venite al Liceo Statale dove vi faremo un culo così solo per entrare, ovvero sborsate i SOLDINI e andate ad una delle tante scuole cattolico/private che istituiremo per far arrivare soldi alla malavita locale.

 

3. tutta la monnezza che attualmente non vuol fare un cazzo e che si iscrive ad es. agli Istituti Tecnici, si accomodi cortesemente alle discariche comunal… pardon, regionali, che almeno verranno usate come alibi per far arrivare tangenti e finanzamenti ai politici locali….

Avvocà, voi dovete capire

Il personaggio di oggi non appartiene alla schiera di eletti che fanno parte in modo stabile di questo radioso ufficio. Però lo vediamo abbastanza spesso. E’ il cosiddetto ” ‘ntravelatonze “, parola difficilina da pronunciare del mio pesante dialetto e che alla lettera viene tradotto  con “intorbidatore di pozzanghere”, ovvero colui il quale, smuovendo l’acqua di una pozza piovana, riesce a non farne vedere più il fondo. Il sarcasmo è sottile, ma si coglie: si sottintende anche che l’uomo in questione è una scartina che si atteggia però a pezzo da novanta, appunto confondendo le acque.

Il Nostro è un uomo politico locale, di professione avvocato, celebre fra noi per i seguenti atteggiamenti:

1. quando entra nel nostro ufficio, a qualunque ora, in qualunque giorno, è sempre incollato al cellulare, nel quale parla a voce altissima; dal momento che è statisticamente impossibile che riceva SEMPRE una telefonata nel momento preciso in cui bussa al nostro campanello, sospetto che si faccia chiamare apposta o che la telefonata sia finta, appunto per dare l’impressione della massima vitalità politico – gestionale;

2. quando telefona, alla cortese risposta ufficiale “Azienda X, buongiorno”, sospira un secondo e poi con tono baritonale e rassegnato pronuncia il nome di battesimo del nostro capo. E basta. Senza nemmeno una intonazione di domanda. Senza mai sognarsi di dire “Sono Y, potrei parlare con X?” o una qualunque delle centomila formule di cortesia utilizzate da chi chiama in un posto diverso da casa propria. La cosa mi fa talmente incazzare che quando capita a me di rispondere uso una delle seguenti formule: “Qui non lavora nessuno con quel nome, mi dispiace” ( e metto giù); “EHHH?????” (col tono di chi vuole dire “ma che cazzo stai dicendo?”)  oppure “Ma lei chi è, scusi?” abbaiato col tono di Condy Rice durante l’antirabbica.

Il rimestatore di pozzanghere porta un doppiopetto coi bottoni dorati, un cellulare che ha una suoneria da discoteca, la barbaccia e capelli medio lunghi da finto ex rivoluzionario ora convertito al verbo dell’Unto; fa parte di uno di quei partitelli del cazzo che non contano niente, nemmeno in sede locale, ma fa credere che senza di lui il mondo politico regionale crollerebbe come un castello di carte durante il terremoto del 1980.

A suo merito posso dire che pur avendomi indentificata come la risponditrice folle, mi sorride complice e  mi strizza un occhio ogni volta che passa davanti alla mia stanza (parlando al cellulare, ovviamente). Non manca un pò di senso dell’ironia, al ragazzo, oppure si diverte alle mie risposte e esordisce apposta così.

Che sia innamorato? 🙂