Incontro un’amica che non vedevo da un bel pò. Mi invita a prendere un caffè, e mi confessa di avere due giorni di ritardo. So che ci stanno provando da tempo, lei ed il compagno, ad avere un figlio, quindi sono felicissima per lei, e incrocio l’incrociabile. Ma c’è qualcosa di più, stavolta: non so, sento un’emozione più forte, di cui ignoro il motivo, forse sono commossa dalla confidenza: mi vengono le lacrime agli occhi e allargo il cuore, nel bar vuoto, a quest’aria dorata da fine primavera, a questo respiro di vita dentro la vita, che ricorderò a lungo, con una acerba inspiegabile nostalgia.
Torno in ufficio. Passo davanti alla fotocopiatrice e vedo una collega. La vedo ogni giorno, più volte al giorno, ma stavolta qualcosa mi spinge a fermarmi e a chiederle come sta. In venti drammatici minuti mi racconta che è suo figlio, quello coinvolto a fine Luglio in questo incidente, assurto alle cronache nazionali per la sua assurdità, incidente che ricordo benissimo, ma non avevo mai focalizzato che uno dei feriti era proprio della mia città, e così vicino a me. La prognosi è ben più seria di quella raccontata dai giornali. La mamma parla a bassa voce, guarda a terra, muove gli occhi senza vedere niente, in realtà, ad ogni frase è sul punto di piangere. Racconta, con un tecnicismo che denota quotidiano studio, i dettagli dei tre interventi che il figlio ha subito, dei problemi psicologici post traumatici, del futuro incerto che lo attende.
Mi faccio un pizzico, mi scuso per aver qualche volta forse scherzato con lei, nei mesi precedenti, mormoro qualche frase di circostanza, l’abbraccio e me ne vado. Per
sfogare la tensione mi incazzo con la prima collega che mi trovo davanti per non avermi detto niente: cazzo, sta a due porte da me, le stronzate e i pettegolezzi piccanti circolano subito, in questo ufficio di merda, le cose serie, proprio quelle che necessitano di quotidiana solidarietà, restano sepolte.
La vita, dentro: quella che con tutto il cuore prego stia portando già a spasso la mia amica, quella che il figlio della mia collega deve ritrovare, nel freddo della sua anima incidentata.