E dunque, le vacanze / 2

Prima che mio fratello si metta a smadonnare lo rassicuro: la Sicilia è bellissima, il mare è azzurro, fondo, come

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piace a me, e ho fatto magnifici bagni che mi hanno ricordato quelli di Salvo Montalbano. E a tutte le ore, comprese le otto di sera e le sette del mattino. Anche perchè con 40° all’ombra, e scarsezza di ombra, buttarsi a mare era l’unica soluzione, a costo di farsi venire i calamaretti alle dita, come diceva mia mamma quando eravamo piccoli e cercava di tirarci fuori dall’acqua.

Fare mare con una cugina con la quale hai fatto mare tutte le estati da 0 a 25 anni, poi, aggiunge una sfumatura di nostalgia, di sorellanza, di bagaglio comune di ricordi, difficile da raccontare, ma che stende una patina dorata su tutta la vacanza. Che è stata composta anche da serali aperitivi alcoolici in bar coi tendoni, in taverne sul mare, da risate notturne, da interminabili partite a carte, da compleanni da festeggiare e un bambino da copertina da vezzeggiare. Una vera vacanza, insomma.

E veniamo alle note dolenti.
Sei ospite.
E se sei ospite, fa brutto dire che qualcosa non ti piace, quando te la mettono davanti. E la mangi. Se poi le cose che ti mettono davanti sono pure buonissime, le mangi anche molto volentieri, con espressione se non estatica almeno molto soddisfatta, correndo il rischio che te ne mettano davanti una seconda porzione. E mangi anche quella, in un loop a cui solo la decenza può porre un freno.

Risultato: 3 chili in più in 10 giorni. Che si sono sommati a quei 4-5 chiletti in più che avevo prima di partire, per un tondo orrifico totale che non ho manco il coraggio di dichiarare. E quindi da quando sono tornata sono a pane a acqua, anzi, parafrasando Totò in Miseria e Nobiltà, solo acqua.

E’ quindi per mera nostalgia che passo a descrivere sommariamente alcune delle cose che ho assaggiato, diciamo così, e che, pur già conoscendole, mi hanno ferito il cuore, e aggiunto allargata morbidezza alla curva dei miei fianchi.

Le granite: dimenticate, vi prego, l’insulsa triturazione di caffè ghiacciato che possono servirvi in qualunque altro posto del mondo. La granita siciliana è poesia, è arte, è morbidezza, è fredda ma non è fredda, è cremosa e voluttuosa, e scende giù per la gola in un abbraccio sensuale di gusti introvabili altrove, da cui è difficile staccarsi. Gelsi rossi, gelsi bianchi, fico, mandorla, cioccolato: un bicchiere di vetro riempito per tre quarti di queste delizie prende ben presto il posto della colazione. Il quarto restante è colmato con panna montata, rigorosamente NON industriale, densa, grassa, profumata. Il tutto DEVE essere accompagnato da una brioche calda di mezzo chilo, con la caratteristica forma a minna, che va intinta nel bicchiere e tirata fuori intrisa di granita e sporca di panna montata. Se ci penso, mi meraviglio che i chili che ho messo su siano solo tre.

Cito il resto per tigna: la caponata, la pasta con le melanzane, il pescespada alla ghiotta, l’alalonga con la cipollata, la zuppa di cozze piccante, le arancine di riso calde, i pitoni (panzarotti fritti riempiti di scarola, pomodoro, olive), il pesce fritto, ‘u pani cunzatu (focaccia morbida imbottita di formaggio, capicollo, pomodori secchi, carciofi sottolio, olive), la mozzarella in carrozza, i gelatini al pistacchio, la pasta di mandorle. Aiuto.

Sempre sperando che mio fratello non si incazzi, non posso non citare il viaggio di ritorno.
Traghetto, tutto bene: guardo la Madonnina del faro di Messina allontanarsi e un pò di magone mi prende.
Treno, tutto bene: ho aspettato due ore nella malandatissima sgarrupata stazione di Villa S. Giovani, ma è colpa mia, sono arrivata in netto anticipo. Nella mia carrozza funziona tutto, il treno è in orario.

Illusa.

A un’ora circa dal mio arrivo un vociare in fondo alla carrozza attira la mia attenzione. Personale in divisa e viaggiatori si affrontano in una animata discussione. Radio Eurostar mi porta la notizia: in due vagoni – di prima classe, si badi bene – l’aria condizionata non funziona per niente, e una signora si è sentita male. La signora viene fatta stendere su due sedili contigui, di cui uno – ma guarda un pò – il mio, ma che gli vuoi dire a una che si sente male? Arriva un medico, le prende il polso, le fa alzare le gambe, insomma tutto il kit del Primo Intervento. Arriviamo a Sapri. Il capotreno chiede all’incazzatissimo ed appena placato marito della signora se vuole farla scendere, chiamare il 118 e farla ricoverare in ospedale. Il marito risponde no, e allora il capotreno gli spiega che in questo caso il viaggio prosegue sotto la sua (del marito) respnsabilità, e che va compilato e firmato un modulo apposito. La scena successiva è la seguente: la signora stesa, marito e capotreno in piedi appoggiati allo schienale di uno dei sedili, con il capotreno che scrive e il marito che detta le generalità e alla fine deve “rilasciare una dichiarazione”. Il marito, purtroppo, è affetto da una visibilissima palatoschisi, e qundi metà delle cose che dice sono incomprensibili. L’effetto Totò e Peppino è devastante per tutti gli astanti, e tutti, me compresa, facciamo immani sforzi per non ridere. Nel frattempo, il treno carica acqua fresca direttamente dal bar della stazione, perchè le scorte, ma guarda un pò, sono finite.

Quando finalmente ripartiamo, il peggio sembra passato.
Errore: nel bel mezzo di una lunga galleria, il treno si ferma, si spegne proprio, come per un guasto all’alimentazione. Lo stremato capotreno ci informa che è questione di pochi minuti, il guasto è stato segnalato etc. etc.
L’aria condizionata continua a funzionare, e a me tanto basta. MA nel mio vagone, per un accidenti statistico, è capitata una giovane mammina con marito e neonata CHE SOFFRE DI CLAUSTROFOBIA. Tempo due minuti, ed è in piedi, agitatissima, pallida, sudata, che cammina su e giù per la carrozza piagnucolando che non ce la fa, non ce la fa, ha paura dei posti chiusi, oddio, si sente soffocare, oddio, oddio, oddio …. Il panico, si sa, è estremamente contagioso: in capo a 5-7 minuti i casi di soffocamento si moltiplicano, aggravati da alcuni simpatici psicoterroristi, che pronosticano che a breve, se il treno non riparte, mancherà anche il ricambio dell’aria. Io e la signora che si era sentita male in precedenza, adesso mia vicina di posto, ci confessiamo a vicenda di non aver alcun problema a stare chiusi in galleria, e quindi conversiamo amabilmente mentre intornoa noi la gente si ribalta e sviene e vomita (in bagno, per fortuna) per la tensione. Dopo dieci minuti il treno con un tossicchio asmatico si rimette effettivamente in moto, placando, dopo pianti liberatori, le ansie delle claustrofobiche.

Ritardo accumulato: appena venti minuti, che vengono recuperati fino a ridursi a dieci. Troppi, comunque, per il bus in coincidenza, che è già partito. Dopo alcuni smadonnamenti vengo recuperata dalla corsa di una beneamata e a me molto cara autolinea privata, i cui autisti conosco uno per uno, e dopo sole 10 ore di viaggio, di cui 3 di attese negli interscambi, giungo sana e salva a casa.

Peccato. Era bello, stare al mare.

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E dunque, le vacanze / 1

Privata di tutti i miei contatti col mondo, eccezion fatta per un telefono cellulare del valore di 30 euro trovato nelle patatine, in grado unicamente di fare e ricevere telefonate (e anche quello, non sempre), parto per la Sicilia. Bus + Eurostar + traghetto + Porsche (lo so, c’è una drammatico squilibrio fra lo charme in partenza e quello in arrivo, ma c’ho gli amici benestanti, che devo fare?).

Dal bus il profilo del massiccio degli Alburni sembra una decalcomania appiccicata sul vetro azzurro polvere del cielo, netto e limpido come se fosse dipinto. Resto a guardarlo finchè posso, è uno spettacolo che mi incanta sempre. Poi salgo sull’Eurostar, e l’incanto svanisce. Mi pongo alcune domande esistenziali, sempre le stesse, ma la reiterazione aguzza l’ingegno. Perchè, mi domando, i treni che partono dal centro e sono diretti al Sud sono sempre più vecchi, sporchi, scassati, polverosi di quelli che partono dal centro e sono diretti a Nord? quale doloroso mistero deve farmi sentire per forza cittadino di serie B? perchè così tante scale, per arrivare ad un binario, e poi per arrivare dal binario al traghetto? e che cazzo c’ho messo nella valigia, che pesa una tonnellata? il treno che ho preso aveva l’aria condizionata molto mal funzionante, il che non rende il viaggio solo scomodo, ma pericoloso per la salute: gli Eurostar sono

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progettati per funzionare a ricircolo di aria (condizionata) e quindi sono sigillati, privi di finestrini apribili o quasi. Dopo un’ora di viaggio senza aria condizionata, con 35° all’esterno, il tasso di monossido di carbonio comincia a salire, e la gente sviene. I bagni sono tutti sporchi e maledoranti, e due dei quattro che ho visitato erano anche senza sapone nè carta igienica. Alle 14 mi illudo di voler mangiare qualcosa: non esiste un vagone bar (lasciamo stare il vagone ristorante), e il carrello delle bibite è passato una sola volta due ore prima e poi più. Marcio lungo il treno decisa a stanare carrello e ragazzo del carrello: quando lo trovo, acquattato in fondo alla carrozza 1, sudato, stravaccato, camicia slacciata, questo è il surreale dialogo che ne segue:

Io: “Ha qualcosa da mangiare? Panini?”
Lui: “Finiti”
Io: “Tramezzini?
Lui: “No, mai avuti”
Io: “Biscotti? Caramelle? Sassi?”
Lui: “Crackers. Ne è rimasto un solo pacco”
Io: “Va bene, crackers. Da bere? Acqua?”
Lui: “Finita”
Io: “Cosa Cola? Sprite? Aranciata?”
Lui: “Finite. Birra.”
Io: “Bene. Crackers e birra.”
Lui: “Senza bicchieri, però. Non ne ho più”

Forte del mio luculliano pasto arrivo a Villa S. Giovanni. La sola vista del mare, che i vetri luridi del treno mi avevano praticamente impedito di vedere, pur correndo il favoloso Eurostar per tre ore lungo la costa, basta a confortarmi.

Mi piace attraversare lo Stretto. Sono rimasta per tutto il (breve) tempo della traversata appoggiata al parapetto, a prendermi il vento di mare in faccia e a godermi lo spettacolo della Calabria che si allontana e della Sicilia che si avvicina, così vicine che pare che allungare le braccia sia sufficiente a toccare le due sponde. Così lontane che pare ci vorrà un ponte, per unirle. A proposito: la prima cosa che vedo sbarcando è la scritta

“PONTE? ‘STA MINCHIA!!”

stampigliato in nero su tutte le superfici stampigliabili. Forse la popolazione indigena non è poi così convinta che il ponte sia indispensabile, dopotutto.

Nella prossima puntata: il cibo, i cavalier, l’arme, gli onori.

Soooono stata al mareeee ….

.. e mi sono dedicata al mio sport preferito: la sociologia occulta, ovvero osservare la fauna umana che mi circonda e cercare di capire che gli passa per la testa e come evolve o involve l’uomo in situazioni estreme (e la vita di un villaggio turistico E’ una situazione estrema).

Appunti sparsi.

Prima di partire.
Mia sorella: “Attenta a non scottarti, che lì il sole picchia forte
Mia mamma: “Hai comprato l’Autan? Ci saranno un milione di zanzare, laggiù
Mio padre: “Ho sentito che il mare da quelle parti è pieno di meduse“.
E vabbè. Mi volete predire pure la grandine, le cavallette, le piaghe del bestiame e la tramutazione dell’acqua in sangue?

**********

Forse per via dell’Armageddon previsto dai miei familiari, devo avere davvero uno sguardo truce se perfino gli animatori, incoscienti ventenni caricati a Duracell, rotti a relazioni umane con qualunque tipologia di vacanziero, mi si tengono a debita distanza. E parliamo di gente capace di cantare e ballare – con acconcia coreografia – almeno otto volte al giorno, sotto qualunque condizione atmosferica (sole a picco, notte fonda) e su qualunque superfice (sabbia, cemento), una “sigletta” composta dal seguente testo:

Io amo l’estate
I love summer
I giochi i sorrisi coi tuoi animatori
mi ricordano te
Io amo la notte
I love night
Sarà il tomentone di questa avventura
vissuta con te
Peperere-rere-rere
Peperere-rere-rere

Ho le prove.

**********

Al tavolo della sala di pranzo di fronte a me ci sono due persone. Un uomo più o meno della mia età, e una ragazzina di 13-14 anni. Palesemente padre e figlia, si somigliano, hanno la stessa forma degli occhi, lo stesso modo di camminare. Probabilmente lui è separato dalla mamma di lei, e questa settimana al mare è una delle poche occasioni che hanno di passare un pò di tempo insieme. I rapporti però non devono essere idilliaci, perchè per 7 giorni, 21 pasti, i due si siederanno a tavola, si serviranno al buffet, mangeranno, berranno, si alzeranno per andarsene senza mai rivolgersi la parola, senza mai sorridere, senza mai guardarsi in faccia. Angosciante. Stare seduti di fronte a qualcuno riuscendo a guardare dappertutto tranne che – appunto – di fronte richiede allenamento, e una fermissima volontà di evitare qualunque contatto umano con il proprio interlocutore. Forse la ragazzina odia il padre, per aver fatto soffire la madre? Forse l’alternativa a questa noiosissima vacanza con papà era andare in un posto dove c’era il fidanzato, o gli amici? Negli occhi di entrambi colgo un fondo di sofferenza, lei la maschera da strafottenza – che palle, tutti ‘sti bambini, i balletti, i giochi, io non sono più una bambina, vorrei essere dovunque tranne che qui – lui non riesce a mascherarla troppo bene. Io che li guardo preferirei che si prendessero a ceffoni ribaltando i tavoli, invece di stare così, muti, gli angoli della bocca in giù, le sopracciglia aggrottate, guardando altrove. E invece lui fosse vedovo? Se l’astio sprezzante che ogni tanto traspare negli occhi di lei, affossando l’indifferenza, fosse contro la vita, e non contro il padre? Perchè siamo qui, a cercare di divertirci, e lei invece non c’è più? E se fosse la prima estate che passano senza di lei?

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Le mamme, i bambini. Devo dare ragione a mia sorella che dice che lo stile della mamma italiana è inconfondibile, e diversissimo dallo stile, ad es. della mamma statunitense, che spesso rasenta l’incoscienza. I bambini italiani sono seguiti, assillati, torturati, tenuti da una invisibile briglia cortissima a base di dove vai? fermati! non ti allontanare! stai qui! dai la mano a mamma/papà/nonno! e soffocati da cure parentali probabilmente non necessarie, come sciacquare il bambino in continuazione perchè non si sporchi di sabbia (al mare??), portarlo in braccio se no si scotta i piedi (al mare??), aiutarlo – di più: fare in modo che non ci pensi neppure, a farlo da solo – a togliersi e mettersi magliettine, ciabattine, cappellini, calzoncini, anche se hanno più di 5 anni. Risultato: il bambino dell’ombrellone davanti al mio, che forse ha anche qualche problema in più della media, ha PAURA di girarsi di schiena sul lettino, di mettere i piedi nella sabbia, di fare il bagno a mare, di togliersi il costume. E paura significa che piagnucola terrorizzato finchè la mamma non lo prende in braccio e lo costringe. Prevedo un futuro da nevrotico, o forse da omosessuale.

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Il bambino di 6 anni si è tolto il costume – anzi, glielo ha tolto la mamma, ovviamente – per cambiarselo, e si avvia trionfante col pisellino di fuori alle docce. La bambina dell’ombrellone affianco, 5 anni, che rideva e giocava fino ad un attimo prima, ad un tratto tace, lo sguardo calamitato da questa del tutto inattesa e probabilmente traumatica scoperta. Fissa gli occhi dilatati dallo stupore sul pisellino, serissima, lo segue con lo sguardo per tutto il tragitto fino alle docce e ritorno, e

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si tocca il davanti del costumino, furtivamente, quasi ad assicurarsi che lei quella strana proboscidina non ce l’ha. Forse l’invidia del pene – ammesso che zio Sigmund ci abbia preso – comincia così.

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Le scoperte di quest’estate: l’immmenso silenzioso lungomare di N. la mattina presto, la granita di ananas corretta al rhum (modestamente, invenzione della sottoscritta), l’amore incondizionato che comincio a provare per l’attrezzo a due ruote e pedali, il piacere insostituibile di una compagnia di un certo tipo.

Last minute

Dopo brevi ma intense colluttazioni con un sito di offerte turistiche last minute, con la signorina Chiara addetta al call center della medesima organizzazione – che per la verità è stata gentilissima pazientissima, geniale nell’escogitare soluzioni e quasi felice per me, oserei dire, quando tutto si è concluso per il meglio – e con il signor L. impiegato della mia banca che in sole 4 ore (??) ha ottenuto per me l’aumento del massimale della mia carta di credito e mi ha perfino augurato buone vacanze, posso dirvi che dal 2 al 10 Agosto vi abbandonerò in questa valle di lacrime e me ne andrò al mare, in acconcia struttura turistico villaggesca, servita e riverita con schiavi muniti di ventaglio che mi fanno aria se ho caldo. O almeno, questa è la previsione, poi, come dice un mio amico, l’immaginazione non usa mai materiali scadenti, la vita sì, quindi vi saprò dire.

Vi preannuncio che nel pacchetto di servizi all inclusive c’è anche l’Internet point, quindi non è escluso che vi ammorbi anche in quei 7 giorni flagellando un pò di personaggi da villaggio. Hasta siempre.

Si parte?

Come forse qualcuno avrà acutamente notato, la circense è in vacanza. Però sono ancora a casa mia, al mare ci vado per una (sola, fottutissima) settimana a partire da lunedì. Intanto qualche aggiornamento:

1. ho cominciato a vedere un analista, mi ero rotta le palle di stare male e di non sapere perchè percome e perquando. L’ho scelto perchè ha lo studio a 150 mt. da casa mia. E’ un bioenergetico e almeno finora mi sembra siamo incanalati sulla stessa lunghezza d’onda, mi pare abbia capito i miei problemi e mi piace la via che ha suggerito per uscirne, basata sul recupero delle energie biodinamiche e insomma fisiche, respirazione, postura, rapporto con il corpo e tutte ‘ste belle cose qua. Insomma ascoltarsi, capirsi e stare bene con sè stessi. E io non chiedo di meglio.

2. a Ferragosto ho passato le 48 ore in assoluto più angoscianti e ansiogene della mia intera vita. Ma ho promesso di non parlarne e non lo farò. Comunque sono state anche quelle a dare la botta finale e convincermi che la scelta dell’analista è quella giusta.

Se non ho niente da raccontare fino a lunedì, la circense tornerà sui vostri schermi di pc ai primi di settembre, abbrustolita (io non mi abbronzo mai), rilassata – spero – e pronta per un nuovo anno di fatiche.

Siamo in ferie, richiamate

Sono tutti o quasi in ferie. Io ho abbandonato al suo destino l’ufficio pubblico, desolatamente vuoto e scenario perfetto per la scena del bambino sul triciclo di Shining. Mi sono concentrata sull’ufficietto privato, vorrei approfittare di questi giorni di tregua (no telefono, no questuanti, no colleghi tranne il giovane amministratore) per mettere a posto con calma un pò di carte.

In realtà passo almeno il 50% del tempo a giocare a Lemmings e a postare su vari forum. Vabbuò, pure le circensi hanno diritto a tirare il fiato ogni tanto. Può succedere però che il telefono squilli e sia dia il via a questi dialoghi surreali:

“XY Spa, buongiorno”
Buongiorno, c’è il Kapo?
“No, mi spiace, è in ferie”

Conosco il tipo. Prima che si metta a fare il giro di tutte le stanze on line rischiando sempre la stessa risposta lo blocco io.

“Sono tutti in ferie, in verità. Vuol lasciare un messaggio?”
E lei, come mai non è in ferie?
Ma che ti frega?
“Eh, ci vado fra poco”
“Ah, quindi poi non ci sarà nessuno-nessuno”

Ma perchè, hai intenzione di scassinare la porta e venire a fregarti le matite? O pretendevi dedizione totale il 16 Agosto?

“No, perchè c’era un bando in scadenza e volevo sapere se potevate darmi una mano …. magari potrei venire lì adesso e vederlo con lei … “

Mi si drizzano i capelli. Questo è uno che se ne viene il giorno prima della scadenza di qualunque cosa e pretende “un aiutino” per progetti complicatissimi dei quali ha abbozzato il titolo, e basta. Se mette piede in ufficio posso dire addio ai prossimi tre giorni e tre notti di pace.

“Ecc… in eff… non sap@*§ ghhefefegehtht …”
“Pronto! Non la sento! Pronto!
“Non sen**§ç  §§*ure io! La linea è disturbata! Bè, buone vacgdhdhdgdgfhfhf!”
“Pronto! Pronto!”

Clic.

Finalmente sola

Con grande trambusto di valigie, cellulari (regolarmente scarichi) e cose inutili infilate in borsa all’ultimo secondo, i miei vecchietti sono partiti per una settimana di mare, nella quale la sottoscritta sarà padrona assoluta dei destini di Via delle Acacie Selvatiche, 11, ovvero casa mia.

Conoscendomi, ho ideato una serie di soluzioni di emergenza per evitare di rimanere:

1. fuori casa (ho una certa tendenza a dimenticare le chiavi di casa dentro)

2. bloccata nell’ascensore (il palazzo è completamente vuoto, tranne un tecnico ospedaliero che occupa una delle mansarde, che però fa orari da Barbablù e non credo mi sarebbe di nessuna utilità per tirarmi fuori)

3. digiuna (mi sono assicurata che il servizio di consegna pizze a domicilio abbia ripreso a funzionare). No, dai, su quest’ultimo punto scherzo: io cucino benissimo, e mi piace, anche, bisogna solo vedere se ne avrò voglia, dipende dall’ora che faremo, fino a mercoledì.

Intanto fa un caldo assurdo già a quest’ora del mattino, e finchè loro non arrivano a Ischia sani e salvi sono un pò in ansia. Qualcuno me lo aveva detto che arriva un momento della vita in cui le posizioni fra genitori e figli si invertono, ed infatti eccomi qua a fare la mammina ansiosa mentre loro sono partiti sgarzoncelli e con occhiate piene di sottintesi che si scambiavano fra loro come fidanzatini che facevano la loro prima vacanza FINALMENTE SOLI. La mia posizione genitoriale è completata dalla circostanza che la vacanza l’ho pagata io

E sono sposati da 38 anni!

Vado a farmi la doccia.