Meritocrazia!

La ferma volontà politica di stabilizzare i precari si estrinseca in due atti, entrambi ufficiali: una delibera di Giunta e una risposta scritta, sempre del Presidente della Giunta, ad una interrogazione consiliare di 4 mesi fa che chiedeva, detta brutalmente, che fine fanno i 13 sfigati esperti di fondi comunitari che vi hanno per lo più salvato le chiappe negli ultimi 4 anni.

Il combinato disposto dei due documenti non lascia adito a troppi dubbi: i 13 sfigati? cazzi loro. Noi faremo un megaconcorsone tanto per salvare la faccia, già piuttosto compromessa, nel quale ci sarà posto per tutti, dal lavoratore socialmente utile con la quinta elementare (sia detto con il massimo del rispetto), passando per quelli pescati nel mazzo dopo attente procedure di comparazione dei curricula, e arrivando a voi, i 13 superesperti che hanno già fatto un concorso per poter essere sfigati proprio titolari, con il timbro “sfigato” scritto in fronte. Che lavoriate in questi sacri uffici da un giorno o da quattro e passa anni, che siate neolaureati o in possesso di dieci anni di esperienza, che abbiate fatto finora fotocopie o abbiate in più occasioni salvato il culo della Pubblica Amministrazione, e di chi la rappresenta, nei confronti dell’Unione Europea, non ce ne pò fregà de meno: siete tutti precari, e tanto ci basta per sputarvi un pò in faccia.

Scusate lo sfogo, ma andate pure a cagare, però.

Mah ..

“… e chissenefrega se sei venuto apposta da un paese della Provincia, è vero, ti avevo chiamato io, ma il documento non è pronto, torna domani, dopodomani, torna tutti i giorni, pianta una tenda qua davanti fino a che io non deciderò che è il caso di smuovere il culo dalla sedia e mettere una stracazzo di firma”   [tempo occorrente: secondi netti 2]

Non è stato detto proprio così, ma il senso era quello.

Se questo è un funzionario pubblico, sia chiaro che io non lo sono e non lo sarò mai.

Ruolo chiave

Da quando sono rientrata dalle ferie natalizie, ovvero 4 giorni circa, ho avuto tutto il tempo di sistemare la posta, ricambiare gli auguri di buon anno, fare un backup dei dati del mio pc, intervenire smodatamente in quasi tutti i numerosi forum a cui sono iscritta, aggiornare il blog, giocare a Solitario e a Campo Minato e prendere il caffè con le colleghe.

Il telefono è squillato 4 volte, e due volte era mia mamma. Alla porta hanno bussato in 2.

Non so, a me non pare un bel segno dell’importanza strategica che la mia figura professionale riveste in questo ufficio.

Problem solving

Io: Ciao, mi daresti un CD vuoto, per favore?
La Segretaria del Dipartimento: A che ti serve?
Io: Devo archiviare dei dati e …
SD: Posso darti un floppy
Io: Non va bene, il floppy è troppo piccolo, la roba da archiv…
SD: Te ne do due

Risolto, no?

Coffee time

Nel nuovo ufficio le stanze sono in fila. E Stelvio e io abbiamo da una parte la maga dei computer, dall’altra la responsabile del personale dipartimentale.

La signora – uno gnomo tondo con i capelluzzi ricci biondi – ama il caffè. Il caffè con la moka, per il quale disdegna schifata la macchinetta automatica del terzo piano (oddio, magari fa bene). Ma – mi direte voi che abitate a Varese – e come si fa ad avere il caffè della moka in un ufficio, per di più pubblico?

E che problema c’è. Per sciacquare e rimpire d’acqua il serbatoio della moka, c’è il bagno. Poi. La signora ha disposto i mobili della sua stanza in modo tale che vi sia un angolo un pò nascosto dietro il fax e la stampante, non ben visibile dalla porta, dietro il quale ha piazzato un tavolino, una piastra elettrica, e tutto il necessario per fare il caffè: la moka, ovviamente, un barattolo di zucchero, uno di caffè Kimbo, bicchierini di carta, cucchiaini di plastica. E – tocco da maestro – un foglio A4 elaborato in Excel nel quale ci sono i nomi di tutti gli abitanti del piano, i mesi dell’anno, e il contributo versato da ciascuno per le spese di zucchero e caffè. L’abbonamento ha un importo modicissimo: 2,00 Euro al mese. Ma si può contribuire in natura, portando, che so, cioccolatini, cornetti mignon, o una crostata fatta dalla mamma, o una fetta di dolce avanzato dal compleanno. Il trasporto della moka dal bagno alla stanza della collega avviene mediante un innocente sacchettino di carta plastificata rosso, tipo confezione regalo, con scritto fuori “Gioielleria Manzoni”.

Due euro al mese per avere un bicchierino di caffè dalla moka – e magari un cioccolatino, se vi dice culo – ogni volta che la collega lo fa, il caffè. E come si fa a saperlo, direte voi. Per chi lavora – diciamo così – nelle immediate vicinanze, è facilissimo: basta seguire l’odore di caffè. Per chi sta più lontano, funzionano il telefono interno, la voce che si sparge, l’orario (la collega si fa venire la voglia ad orari più o meno fissi).

Le colleghe che prendono il caffè a gruppetti di 4 o 5 ovviamente chiacchierano fra loro. Tutte donne, quasi sempre. Un paio hanno una voce che trapana i muri e Ballarò e Porta a Porta e Amici e L’Arena hanno ormai insegnato che non conta il valore dell’argomentazione, conta chi riesce a urlare più degli altri, riuscendo a mantenere la concentrazione per ripetere sempre la stessa cosa finchè l’altro non si tace.

Stamattina il tema era: è giusto attendere l’assenza di figli adolescenti per frugare nei loro armadi e buttare via tutti gli indumenti che a giudizio della mamma non sono più mettibili? Al momento in cui scrivo, la discussione è ancora aperta.

E’ lecito da parte mia augurare loro una morte lenta, soffocate da un cucchiaino di plastica?

Troppo veloce

Il mio problema è che io non ho ancora imparato a ragionare come una dipendente pubblica.
Questo almeno secondo la collega Senza Collo che si è precipitata inferocita nella mia stanza per lamentarsi delle pressanti richieste da parte di un utente che chiede quando, oh! quando verrà firmata da Crimilde la convenzione che lo riguarda.

Nota: l’utente è stato – diciamo così – mio cliente per la gestione di un progetto dell’anno scorso. Chiuso da tempo, regolarmente liquidato.

> è colpa tua
> … ???
>  sei stata TROPPO VELOCE, l’anno scorso. Mò questi si sono viziati e pretendono TUTTO e SUBITO

Una chiosa: Senza Collo, pur lavorando da circa venti anni nella pubblica amministrazione, ignora con grande stile le differenze fra i diversi provvedimenti amministrativi, con gran diletto dei colleghi della ragioneria che si vedono presentare documenti improponibili da rispedire al mittente, con gran gioia a loro volta degli utenti che vedono passare i mesi senza avere uno straccio di risposta.

E intanti porcaloca nevica.
Proprio adesso che mi ero decisa a ricominciare a fare jogging.

Ineccepibile

Stamattina mi viene dato l’incarico di prenotare una saletta riunoni per il giorno 10 Novembre. Vorrei far notare che fra le sei stanze che compongono la nostra fetta di ufficio pubblico ce n’è una destinata ad una SEGRETARIA,  un essere di età indefinita con gli occhi perennemente sbarrati da un indefinibile terrore e non mi vorrei sbagliare ma fra i compiti delle segretarie POTREBBE esserci anche quello di prenotare una saletta riunioni, soprattutto se la saletta in oggetto è sul nostro stesso piano, non è che dobbiamo prenotare la Royal Albert Hall, eh??? No, devo farlo io. Vabbè. Pierre Cosso si offre di accompagnarmi dall’UomoChePrenotaLeSaletteRiunioni, un piano più sotto.

Arriviamo davanti alla sua porta alle ore 10:12, muniti di regolare domanda scritta formata timbrata e tutte le madonne santissime che la burocrazia impone. A uan mia precisa richiesta di mandargli na mail mi ha rispsoto che non si può, “serve il documento cartaceo. E ah, signorì, arrivate SUBITO, perchè se nel frattempo mi arriva un altro documento cartaceo io devo dare la precedenza a quello.” Oh Madonna. 

Lui non c’è. Alle 10:18 cediamo alla fatica e ci sediamo sul divano del corridoio. Alle 10:25 arriva. Presentazioni, bla bla, passaggio di carta. Esamina la domanda lettera per lettera, non mi preoccupo perchè le parole contenute sul foglio di carta, intestazione compresa, saranno forse 20. Ci fa ripetere tredici volte, nonostante siano scritti bene in chiaro, giorno e ora della riunione. Si piazza davanti al computer e armeggia e smanetta per circa 10 minuti. Esita prima di dare invio a qualunque cosa come se temesse che invece di lanciare, chessò, una stampa, stesse comandando l’apertura degli hangar di sicurezza a Cape Canaveral e il successivo lancio di missili nucleari su Cuba.

Quando alla fine (ore 10:42) ci rilascia quella che potrebbe sembrare una ricevuta, scopriamo trattarsi invece di UNA COPIA (sembra un dettaglio trascurabile, ma non lo è) del calendario di occupazione della ormai famosa saletta, una griglia di Excel con tre colonne: data,  ufficio che chiede l’utilizzo della sala, orario per il quale si chiede l’utilizzo. La SECONDA COPIA, il solerte impiegato la prende con sè. Si alza e attraversa tutto il corridoio, sale un piano di scale e attacca il foglio A4 con due puntine sulla porta della saletta. L’operazione, ci dice con malcelato orgoglio, viene compiuta OGNI VOLTA che qualcuno chiede l’utilizzo della sala ed essa viene accordata. Quindi, se nella giornata ci sono dieci richieste, anche per date successive di un mese o due, lui si alza, percorre tutto il corridoio, sale un piano di scale, appiccica, ridiscende un piano di scale, ripercorre il corridoio e torna trionfalmente al suo posto. Pronto al prossimo aggiornamento.

Ora. Bambini, un momento di attenzione, prego.

Se tirassimo una ipotetica linea di frazione, e al denominatore mettessimo il tempo in minuti impiegato per compiere l’operazione, e al numeratore un numero indice che indica l’importanza, per i processi produttivi dell’azienda – ente pubblico, dell’output ottenuto (in questo caso il numero indice oscilla fra 0,000 e 0,001) ne ricaviamo un secondo numero indice che potrebbe essere scritto a caratteri cubitali sulla porta di ciascuno degli impiegati, in modo da farne oggetto di pubblico ludibrio e malevoli commenti da cesso. Eeh?

Ah, per concludere: il nome dell’ufficio a cui appartengo, richiedente la saletta, sulla ricevuta, è sbagliato.