Era un addio

Per almeno due anni papà mi ha chiesto, soprattutto nei fine settimana ma non solo, di andare a fare giri in macchina. Di guidare non se la sentiva più, guidavo io e lui affianco. In silenzio, andavamo su e giù per le nostre strade preferite. Il silenzio non mi pesava affatto, ma ogni tanto lo rompevo per fare domande. In che epoca è stato costruito questo quartiere? E prima com’era? Cosa c’era al posto di via Mazzini? Mi racconti di nuovo la storia di quella che scappò all’estero con il grande amore della sua vita, e non tornò più? Era bella?Le risposte con mia sopresa non erano laconiche, nello stile di mio padre. Erano racconti. Erano favole della buonanotte. Erano forse il suo addio alla sua sua città, alle sue strade, alle persone che aveva conosciuto, alla vita che aveva fatto. Sei mesi prima di andarsene smise di uscire di casa, si reggeva in piedi a fatica e si vergognava del catetere, anche se avevamo trovato il modo di nasconderlo – non senza incidenti, che pesarono in modo definitivo sulla sua decisione di non uscire più.

“Torniamo a casa, idu'”. C’era sempre una punta di tristezza in queste tre parole. Non avevo bisogno di chiedere. La casa alla quale tornavamo era vuota, vuota soprattutto per lui che lasciavo in piazzetta mentre io andavo a parcheggiare in garage, per non costringerlo a fare una rampa di scale che non ce la faceva più a fare se non con enorme fatica. Entrava quindi a casa prima di me, aprendo con le chiavi e trovando solo il buio e il silenzio.

Lo stesso che trovo io ora, tornando nella stessa casa. Non ci si abitua se non con grande fatica, e quella punta di tristezza ora l’ho ereditata io. Stasera ho fatto un giro in macchina come lo facevo con lui, e per un attimo, fugace e prezioso, mi è sembrato di sentire la sua voce che raccontava la storia del pallone di cuoio arrivato dall’America. Mi manchi, papà.

Roba vecchia

La pioggia sul finire dell'estate quando fa ancora caldo, come oggi, mi richiama all'istante questa canzone.
Un riflesso pavloviano che ha una precisa radice.
Ha a che fare con l'avere 17 anni, la testa il cuore e quasi tutti gli altri organi interni ripieni di uno sprecatissimo ma totalizzante amore (a 17 anni, se non è totalizzante, che si ama a fare?), case di zii in vacanza, caldo e pioggia, e mezzi di locomozione diversi da un'automobile. Un odore che ricordo ancora ora, se ci penso. Non ci penso spesso, per fortuna.
Poi che fosse sprecato l'ho capito solo molti ma molti anni dopo, per cose che sono successe, appunto, molto dopo.

[io ancora non mi capacito: ma perchè non hai voluto salvare niente, neppure il ricordo, neppure la nostalgia? non sarebbe stato bello, adesso, avere qualcosa di cui parlare? non sarebbe stato bello, adesso, essere due che avevano qualcosa di molto speciale da ricordare? qualcosa di irripetibile: eravamo solo io e te, e per quanto tu ci abbia buttato sopra palate di merda, sempre e solo io e te resteremo]

Al momento mi sembrava meritatissimo, era ricambiatissimo

[questo, almeno, non me lo sciupare]

e ci rendeva, semplicemente, insensatamente felici di stare al mondo e felicemente ignari dell'esistenza di qualunque altra cosa al mondo che non fossimo noi.

Fabrizio De Andrè, Hotel Supramonte

 

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Mistero fitto

Sarebbe interessante cercare di capire quali misteriosi meccanismi accendono o spengono la voglia di scrivere. Io non lo so. Posso solo dire che ci sono giorni (talvolta molti giorni) nei quali mi pare di non avere nulla, ma proprio nulla da dire. E che in molti altri giorni qualcosina da dire al mondo ce l'avrei anche, però sono pigra e non ne ho voglia. E quindi trovo molto azzeccata la frase di quello che diceva che “scrivere è al 5% ispirazione, al 95% traspirazione“, nel senso che bisogna sudarci, sulle intuizioni, perchè diventino qualcosa di interessante da leggere. Io ogni tanto non ho voglia di spenderci sudore, è già tanto se mi annoto le intuizioni per buone volontà future.

E allora. Intuizione n. 1.

Fra i mei contatti FB c'è di tutto: colleghi, amici cari e meno cari, politici, scrittori, artisti, amici di tastiera. Ho ritrovato alcune amiche d'infanzia, delle elementari, per la precisione, che non avevo più visto esattamente da allora.

E' un trovarsi daccapo, non un ri-trovarsi.

Il tempo passato è troppo, è come se ci conoscessimo per la prima volta. Abbiamo solo qualche ricordo in comune: una indimenticabile maestra, i prefabbricati dove abbiamo fatto la prima e la seconda elementare, il libro di Pinocchio con le foto tratte dallo sceneggiato di Comencini. Le canzoni. Ma è tutto troppo sfumato e lontano.

E poi, ho fra i contatti FB alcune persone che avevano la casa al mare dove andavo anche io. Dove sono andata ogni estate fra i 15 e 24 anni. Amici del mare, che vivevano per lo più in un'altra città e che vedevo solo d'estate, però ogni estate, in quegli anni così diversi a quelli dell'infanzia. A 24 anni li ho persi di vista, e li ho ritrovati solo ora, via Facebook.

Un effetto completamente diverso.

Non sono sicura di riuscire a spiegarlo, ma questo è stato proprio un ri-trovarsi.
In un mondo del tutto diverso.

Nella nostra adolescenza la cosa più multimediale che esisteva era la cabina telefonica a gettoni. Ci siamo lasciati così e ci siamo ritrovati in un inimmaginabile futuro. Un effetto straniante: nel frattempo siamo maturati, abbiamo amato e sofferto, ci sono mogli, mariti e figli, ci sono lauree, lavori  e mestieri, ci sono perdite e dolori. Ci sono venti anni di buio che – vale per me, non so per loro – fanno un muro compatto dietro al quale però c'è quel posto di mare, quei vialetti profumati di gelsomino e glicine, quei campi da tennis, quella spiaggia, quei giochi, quei motorini e quelle nottate passate a giocare a Risiko. Odore di crema solare e pesce fritto, piccoli grandi amori, amplificati dall'estate. Risate. Un liguaggio comune, nonostante tutto.

In quei giorni, come avrei potuto sapere qual era l'inclinazione politica di uno di loro? E soprattutto, che mi importava di saperlo? Mi importava che mi invitasse al falò sulla spiaggia, piuttosto. Adesso la so. Ma per quali vie ci è arrivato? Quali maturazioni, esperienze, storie lo hanno influenzato? Come siamo passati dai Giochi Azzurri alla militanza politica, o all'avere due figli? E perchè questo salto mi emoziona e mi colpisce, molto più di quello – ben più lungo – che mi separa dalle compagne di scuola elementare? C'entra l'adolescenza, questa terribile meravigliosa palude che abbiamo attraversato insieme? C'entra l'estate, c'entra il fatto che in fondo non sapevamo granchè gli uni degli altri nemmeno allora, perchè li perdevo di vista il 1° settembre di ogni anno e li ritrovavo il 1° agosto dell'anno dopo? C'entra l'abisso di differenza, soprattutto tecnologica, che c'è fra il mondo che abbiamo lasciato – che ho lasciato – a 25 anni e quello di oggi?

Non lo so. Un mistero fitto. Sarei contenta se qualcuno mi aiutasse a capire.

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La festa, è quiiiiiiiiii!!!!!

“Martedì 14 ottobre, ad un anno dalle primarie che hanno segnato la nascita del partito democratico, il Pd della provincia di XXXX da avvio alla prima festa provinciale del partito dal titolo “la differenza la fai tu…” .
La prima serata, alle ore 19.00 presso la Sala YY, sarà dedicata all’inaugurazione di una mostra fotografica: “Immagini di una storia democratica” che raccoglie foto storiche della DC e del PCI. Lo spirito della serata è sintetizzato nel bel passaggio di Martinazzoli innanzi trascritto. L’iniziativa non vuole essere solo un momento dedicato alla memoria ma costituisce occasione di approfondimento dell’identità del nuovo partito.
La festa proseguirà poi nelle giornate del 17 e del 18 ottobre, come da allegato programma, (etc. etc.).”

Dove siete, tutti?
Perchè nessuno risponde?
Ho paura, è tanto freddo e buio, qui fuori …
Voglio tornare a casa …