Diario di bordo

Da qualche giorno in ufficio c’è un incremento della percentuale di politici locali in visita, a telefono, fuori della porta. Qualcosa nel megabando di cui non si sa più che scadenza avrà si sta muovendo, e dalla faccia del capo temo si stia muovendo contro di noi. E’ logico, ed anche intuitivo: le alleanze politico – strategiche non possono essere tenute in piedi per troppo tempo, e quella di cui parlo è stata stretta da più di un anno. Le proroghe non ci volevano, e chi le ha decise lo sapeva.

Alla lavoratrice atipica che indossa i miei vestiti frega abbastanza poco dei movimenti politici, però siccome un fondo di amor proprio, nonchè di consapevolezza del proprio lavoro, ancora c’è, sapere che mi sono fatta il cervello a frittatina per circa due mesi, e insieme a me i due colleghi di sventura, per qualcosa che forse non vedrà mai la luce, mi rode alquanto.

Ieri ho spedito un altro curriculum. Sto cominciando a pensare – bella scoperta del tubo – che i curricula mandati via posta elettronica vengano cestinati con un semplice movimento muscolare del dito indice della segretaria di turno. Forse cestinare un curriculum che arriva per posta richiede l’impegno di qualche altro muscolo in più, e magari scappa l’occhio su un dettaglio della mia vita professionale che può interessare .. ho bisogno di aggrapparmi a queste cabale, per non perdere del tutto la speranza.

E stamattina già mi sono depressa abbastanza scoprendo per caso che Buffy Davis, quella buffa bimba coi codini protagonista di un telefilm americano degli anni ’60 che citavo sempre perchè quando avevo tre anni ero assolutamente identica a lei, codini compresi, è morta di overdose a 16 anni.

Non so come ho fatto ad arrivare dal lavoro a Buffy, ma non mi voglio rileggere   oggi. E’ un’altra giornata rovente di lavoro, babies, e abbiamo finito pure le scorte di acqua. In compenso il caffè è tornato decente, e il bar di fronte, il cui proprietario non vi darebbe un bicchiere d’acqua nemmeno se state stramazzando al suolo, se non stringete fra le dita i 10 centesimi del suo costo, ha aumentato il numero di tavolini all’aperto, e ha imparato a fare il caffè shakerato.

Family day

Stamattina c’è una tensione che si taglia a fette, nel nostro radioso luogo di lavoro. Una lotta intestina e generazionale, dal momento che coinvolge il capo, i figli del capo, la futura nuora del capo. Sembra ci sia disaccordo sul modo di condurre in porto determinati incarichi, e questo punto di partenza travolge le barriere emotive e sentimentali per cui alla fine si rinfacciano pure quella volta che mi hai rubato il ciuccio quando avevo tre anni. La porta dietro la quale avviene la battaglia è rigorosamente chiusa, ma brandelli di urla filtrano e si sentono rumori di cancelleria sbattuta e attrezzeria malmenata. E queste sono le stesse persone che fanno battute sarcastiche, con riferimenti a mercati ittici, se qualcuno di noi chiama ad alta voce un collega da una stanza ad un’altra.
Noi, gli esterni, dipendenti o co.co.co. stiamo qui con la testa piegata sul nostro lavoro ma risolini aleggiano beffardi sulle nostre facce di staff. Anche i ricchi piangono, a quanto pare, e soprattutto finchè si scannano fra loro lasciano in pace noi, anche se dire qualunque cosa, oggi, può essere pericoloso.
Ogni tanto qualcuno dei contendenti esce dalla stanza, dopo aver doverosamente sbattuto la porta, e viene di qua, in cerca quasi sempre di documenti che avallino la propria teoria; appena varcata la soglia e ridisceso fra i comuni mortali, il qualcuno di turno cerca di spianare le rughe dell’ira con evidente sforzo muscolare e, dopo un rantolo, tenta di abbassare di due ottave la voce per chiedere ciò di cui ha bisogno. L’effetto è devastante per la nostra ridarella, ma occorre tenersi, e soprattutto occorre fare finta di niente, mentre dietro la porta continua la Casamicciola di cancelleria.
Adesso sembra che una tregua sia stata concordata, ma – come fra Abu Mazel e Sharon – non c’è da fidarsi troppo. Si può almeno sperare che, in altre irose faccende  affaccendato, l’ingegnere almeno dimentichi di spegnere la macchinetta del caffè.

Cerco lavoro (un altro)

Da qualche tempo, per motivi personali (vorrei trasferirmi in un’altra città) sto cercando lavoro. Giornali, e soprattutto Internet. Ho dieci anni circa di esperienza nel mio settore, un curriculum obiettivamente sostanzioso, parlucchio due lingue, l’informatica d’ufficio non ha segreti per me.

Eppure, non ho trovato un beneamato tubo, per usare un francesismo (che è appunto una delle due lingue che parlucchio).
Le considerazioni che via via sono venuta elaborando dentro di me su questo tema possono riassumersi come segue:
1. il 90% degli annunci di lavoro cerca venditori, a riprova che i consumi di massa sono in crisi; si va dall’onesto “cercasi rappresentante monomandatario” al subdolo “sales manager” che fa intravvedere scrivanie luccicanti, ficus benjamin e segretarie e invece è sempre un venditore/rappresentante; non mancano nemmeno gli “informatori scientifici del farmaco” (sempre venditori, comunque) e il “responsabile commerciale”, cioè un venditore più esperto.
2. quando ero una neolaureata senza arte nè parte, e il mio curriculum scritto grosso riempiva 3/4 di paginetta, cercavano personale esperto, con almeno 5 anni di esperienza; adesso, un buon 50% delle offerte di lavoro chiede “neolaureati” o “laureati max 25 anni”, il che vuol dire neolaureati, perchè  meno di non essere geni o di aver scelto una facoltà con 18 esami (esiste, fidatevi) sfido chiunque a laurearsi prima dei 24 anni.
Buone possibilità avrei anche se cercassi lavoro come saldatore, tubista, mulettista (?!) e ovviamente se sapessi progettare in uno qualunque dei linguaggi informatici, per lo più ideati da alieni, richiesti dal mercato.
Per la disperazione, sto cominciando a nascondere i titoli, a dimenticare una lingua, a limare gli anni di esperienza; specifico che sono disponibile a contratti atipici (la mia missione), anche part time, a collaborazioni free lance; sto cominciando a cercare non solo nella categoria “risorse umane” che sarebbe di mia pertinenza, ma anche in quella “organizzazione” e credevo di avere toccato il fondo quando ho risposto ad un annuncio per una “segretaria di direzione”.
Mi sbagliavo. Il fondo l’ho toccato quando non mi hanno risposto. Il SuperEnalotto comincia a sembrarmi una prospettiva più fattibile, e statisticamente più probabile.
Intanto oggi la temperatura è salita a 33 gradi, e anche nella mia di solito fresca stanza si boccheggia, e se si considerano le mie eroiche risposte dell’altro ieri, manco mi posso lamentare.  Così imparo a fare l’eroina.