Ascoltavo questa canzone a ripetizione, durante il lockdown, mentre impazzivo – come tutti – per la forzata clausura e al tempo stesso per quelle rare uscite (fare la spesa, la farmacia, medici e ricette) perchè mia madre peggiorava di giorno in giorno e io, caparbia, non solo non me accorgevo ma non volevo accorgermene, e la rimproveravo perchè lei non voleva tirarsi fuori dal letto, lavarsi, non voleva mangiare e sputava o vomitava tutto quello che riuscivo a forza di preghiere e minacce a farle ingoiare.
Il primo di una lunga serie di sensi di colpa, averla trattata male mentre lei stava morendo.
Quella canzone, come fanno tutte le canzoni ben scritte, mi toccava corde profonde, la prima delle quali era una feroce nostalgia. Mi sembrava di vederlo, il “treno che costeggia il mare” delle vacanze della nostra infanzia, sulle coste tirrenica fra la Calabria e la Campania. Mi pareva di sentirlo, forte, nelle narici, l’odore del “fiato caldo dietro le persiane | nelle campagne gialle consumate” delle nostre estati a Dragonara, quando la noia serviva a farci pensare pensieri lunghi, immaginare il nostro futuro, inventare passatempi e non avevamo alcun device digitale che potesse farlo al posto nostro.
E poi “Verrà l’estate” in quel terribile inverno del 2020 mi sembrava una promessa di felicità, di normalità, una cosa della quale avevo disperato bisogno in quei disperati giorni fatti di guanti – mascherine – terapie antidolorifiche, attaccare e staccare flebo, sentire alla tv l’angosciante conta dei morti e nulla che ci facesse respirare un filo di sollievo. Eppure continuare a pulire, cucinare, fare la spesa, avviare la lavatrice e stendere i panni su un balcone affacciato sul silenzio. E sulle sirene delle ambulanze.
Quindi grazie, Pacifico e Malika Ayane.
Grazie per avermi fatto sperare, in uno dei periodi più bui della mia vita.