Facebook, come ha detto qualcuno, molla l’elastico teso delle nostre vite, e le fa tornare bruscamente indietro, riavvolgendo il tempo, chiudendo cerchi. Talvolta con esiti rattristanti.
F. lo conosco da quando avevamo 14 anni, abitavamo a 100 mt. di distanza, facevamo parte dello stesso gruppo di adolescenti del parco, in cerca di mattoni per costruirci quello che sarebbe venuto dopo. Alto e snello, fico, una bella faccia, un incisivo accavallato che aggiungeva fascino al sorriso. Una montagna di ragazzine ai suoi piedi, me compresa, ovviamente. Solo che a quei tempi ero molto meno spudorata, e credo lui non l’abbia saputo mai. Mi giocavo la carta dell’amicizia, eravamo spessissimo insieme.
Spianare la terra battuta di un ex cantiere dietro casa per ricavarne un campo da pallavolo in mezzo a putrelle di gru abbandonate. Gare di bob rossi nella neve, a coppie, lui davanti, tutto il peso a valle, io dietro che spingevo i concorrenti per farli deragliare o cappottare (la correttezza olimpica non era proprio fondamentale, a 15 anni). Andare a tornare insieme da scuola in autobus, in motorino, talvolta a piedi. La gita scolastica a Venezia. Scrutare insieme i nuvoloni compatti, d’inverno, intravedere il colore rossastro del cielo a neve e sognare che 5 metri compatti potessero cadere tutti insieme, di colpo, sploff, e tutto sparisce, e domani usciamo di casa dai balconi.
Intorno ai 18 anni ci siamo persi di vista, era fisiologico. L’Università fuori sede, amori adulti che cancellano le infatuazioni da ragazzini, un fiume che scorre e trascina via.
Lo ritrovo qualche mese fa. E – shock violento – non è più lui. Non somiglia manco un pò al ragazzo che era, a cominciare dalla foto. Non è solo questione di invecchiare, è scavato dentro, mostra al mondo una facciata di solitudine amara e cattiva e tristissima, che non riconosco. Si difende da qualcosa, la paura, forse, ma in modo patetico ed isterico, con armi spuntate. Praticante ai limiti del beghinaggio. Apparentemente estremista di destra, offensivo quando si parla di politica, ma in modo infantile e superficiale, come fanno i bambini. Ora leggo che è
sulla via del ripensamento, in nome di un’etica individuale che non riesce nemmeno bene a chiarire, in omaggio a principi interiori che sicuramente hanno a che fare con le cose che gli sono piovute addosso, alcune anche devastanti, che giustificano – per carità – molto del suo atteggiamento.
E infatti il punto non è che non lo riconosco, che non scorgo più neppure un barlume del mio amico F. delle corse in bob. Il punto è avere sotto gli occhi il modo violento con il quale il tempo e le esperienze negative possono deragliare e schiantare vite, senza che il mondo intorno se ne accorga. Percepire con la chiarezza di un teorema matematico che se lasci qualcuno al punto A quando vai a riprenderlo al punto B dopo 25 anni di silenzio puoi trovare un altro. Con un’altra faccia, un altro modo di pensare, che ti è del tutto estraneo.
Un altro.
Solo con lo stesso nome.
Colonna sonora gentilmente offerta da Zucchero ed Eric Clapton.
