Twitter, le cose che ho capito

Consapevole del fatto che le mie riflessioni sono datatissime e sono state già fatte eoni fa da tutti i geek del pianeta, procedo a testa bassa: come per tutti gli Arieti megalomani di questa terra, conta solo quello che capisco io, e quando lo capisco (tardi, in genere). In altre parole: scopro l’acqua calda. Lo so, non c’è bisogno di infierire. Stop.

Mentre su Facebook sono possibili solo due modalità di interazione (amico / non amico), su Twitter le modalità di interazione possibili sono quattro:

  • non ti seguo e tu non mi segui, ergo non ci conosciamo, non ci caghiamo e ci stiamo forse anche un po’ sui maroni. Ci ignoriamo felicemente, insomma;
  • io ti seguo ma tu non segui me: posizione detta anche del “piccolo fan”. Tu mi piaci, io leggo quello che scrivi perchè mi interessa, mi piace, mi diverte, però tu non ritieni di fare altrettanto. Probabilmente sei un personaggio famoso o semifamoso, mi guardi dall’alto in basso, non te ne frega una beneamata ceppa di sapere cosa scrivo io, ti basta sapere sapere che faccio parte del codazzo di millemila umani che leggono le tue esternazioni.
    E vabbè.
  • tu mi segui ma io non seguo te: io non sono un personaggio famoso o semifamoso. Se non ti seguo è perchè cerco di applicare una regola che mi ero posta per Facebook (e che su Twitter è del tutto vana, poi spiego perchè), ovvero che NON ti seguo se non ti conosco personalmente anche nella vita reale, oppure – corollario Twitter indispensabile – NON ti seguo se non sei una persona famosa o semifamosa  della quale mi interessa conoscere il parere, anche se non ti conosco di persona. Ma il fatto che il numero di seguiti e seguenti sulla mia bacheca sia pressochè uguale, significa che non sono poi così rigida, nella gestione di chi seguo.
    Corollario 1: su Twitter non puoi impedire di essere seguita da gente che non conosci, che ti sta antipatica, che non stimi o non apprezzi. Cioè, potresti, però è veramente antipatico e sgradevole cassare qualcuno, a meno che non ti abbia molestato o insultato in modo inequivocabile. Non ne ho la certezza, ma credo che se cancelli qualcuno dai tuoi followers lui lo venga a sapere, a differenza di quanto accade su Facebook, dove le cancellazioni degli amici sono stragi silenziose delle quali l’interessato si accorge forse dopo mesi, potendo pensare che il fatto che non legge più nulla di tuo dipende dal fatto che tu non stai scrivendo, perchè hai altro da fare. E un follower cancellato ci resta male e/o serba rancore, e non è bene. Insomma la regola su Twitter è “fare buon viso a cattivo gioco” con chi ti segue;
    Corollario 2: su Twitter occorre stare molto ma molto attenti a quello che si scrive. E questo per via di un altro diabolico gadget di Twitter, che è il retwit. Un mio follower può essere così colpito dalla stronzata che scrivo, da volerla diffondere al mondo. La retwitta, cioè la rende leggibile anche ai SUOI followers. Che io ovviamente ignoro chi siano, e che possono essere centinaia. Siccome il processo può essere ripetuto potenzialmente all’infinito, in teoria la mia cazzatina può essere letta da Barack Obama, o da un cinese che vive in Australia. O, molto più pericolosamente, dal mio collega del palazzo affianco che non ho fra i miei follower, e del quale ho appena scritto che puzza.  [N.B. l’esempio è fatto a caso, NON HO COLLEGHI CHE PUZZANO]. Quindi attenzione a non fare battute velenose su amici, su politici, a non divulgare questioni personali, notizie di lavoro riservate, giudizi su performances sessuali, insomma scrivete solo cose anonime, notizie di lavoro non riservate, cose che vedete voi ma vedono anche (molte, se possibile) altre persone, tipo commenti su una manifestazione in piazza o su un concerto pubblico.
  • tu mi segui e io seguo te: va tutto bene, ci vogliamo bene, ci stimiamo, ci commentiamo, ci seguiamo con affetto, talvolta discutiamo ma questo non mette in forse la nostra amicizia. Il passo successivo è il bacio in bocca.

Inoltre: a giudicare dai personaggi che sono su Twitter ma non su Facebook, mi sono fatta l’idea che Twitter sia considerato (anche) un mezzo di lavoro, serio, importante, dove si rilasciano dichiarazioni abbastanza serie ed importanti, mentre FB è considerato più un mezzo di puro cazzeggio, per ragazzini che vogliono mettere la foto a torso nudo. Un mezzo più megalomane, che consente di dire molte più cose su di sè con un linguaggio non esclusivamente scritto [le note biografiche, i gusti, le foto, i filmati] e quindi relativamente più facile. Un po’ la stessa differenza che c’è [adesso scateno una battaglia, lo so] fra il Blackberry e l’I-Phone. Col primo soprattutto si lavora, imho, col secondo soprattutto si cazzeggia.  :p

Infine, Facebook non ha limiti alle battute dei post, Twitter sì, e per dire cose degne di attenzione, o semplicemente per raccontare un fatto in 140 caratteri bisogna avere un grande dono della sintesi, e una conoscenza impeccabile, ricca e flessibile della lingua italiana. Bisogna spesso saper essere folgoranti, in altre parole, e non perdere tempo in premesse. Dettaglio che io amo, di Twitter, ça va sans dire.

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Pubblicità Progresso – la Basilicata vista con gli occhi di un cineasta irlandese di 25 anni, dopo 7 giorni passati in giro a filmare. Ci sono altri 6 video in giro, perchè i cineasti, tutti giovanissimi, provenienti da tutto il mondo, erano appunto 7. Lodevolissima iniziativa dell’APT di Basilicata.
Guardate in che posto meraviglioso vivo io, e rosicate.

Hic et nunc

E c’è un’altra cosa che non mi piace, di FB: esiste solo il presente. Ci avete fatto caso? Sarà per difficoltà dovute alla mole mostruosa di iscritti, al peso biblico dei byte che ognuno ci vomita dentro, a non so che, ma non esiste un modo veloce per potersi rileggere  le proprie cazzate, ad es., di un anno prima. Nessun motore, nessuna possibilità di impostare date, niente. Potete solo, con certosina pazienza, andare indietro, e poi indietro, e poi ancora indietro cliccando su “Post precedenti” in fondo alla vostra pagina. Ma se siete postatori assidui, ve lo dico io, che ci ho provato: massimo un paio di mesi a ritroso e già vi siete rotti le balle.

Sono molto stanca stasera e quindi non ho voglia di mettermi a fare le riflessioni filosofiche che la scoperta – si fa per dire – meriterebbe: roba tipo il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente è lo zero fra numeri positivi e negativi e quindi non esiste, insomma su FB il tempo non esiste? etc. etc. Eppure le foto che mettiamo sul nostro profilo, se Facebook resisterà, fra venti anni saranno diverse, diverse da quelle di oggi. Ecco, le foto: le foto forse sono gli unici componenti di FB che stanno lì a testimoniare con facilità di riscontro che il tempo, comunque, passa.

Va bene, vado a dormire.

L’elastico spezzato

Facebook, come ha detto qualcuno, molla l’elastico teso delle nostre vite, e le fa tornare bruscamente indietro, riavvolgendo il tempo, chiudendo cerchi. Talvolta con esiti rattristanti.

F. lo conosco da quando avevamo 14 anni, abitavamo a 100 mt. di distanza, facevamo parte dello stesso gruppo di adolescenti del parco, in cerca di mattoni per costruirci quello che sarebbe venuto dopo. Alto e snello, fico, una bella faccia, un incisivo accavallato che aggiungeva fascino al sorriso. Una montagna di ragazzine ai suoi piedi, me compresa, ovviamente. Solo che a quei tempi ero molto meno spudorata, e credo lui non l’abbia saputo mai. Mi giocavo la carta dell’amicizia, eravamo spessissimo insieme.
Spianare la terra battuta di un ex cantiere dietro casa per ricavarne un campo da pallavolo in mezzo a putrelle di gru abbandonate. Gare di bob rossi nella neve, a coppie, lui davanti, tutto il peso a valle, io dietro che spingevo i concorrenti per farli deragliare o cappottare (la correttezza olimpica non era proprio fondamentale, a 15 anni). Andare a tornare insieme da scuola in autobus, in motorino, talvolta a piedi. La gita scolastica a Venezia. Scrutare insieme i nuvoloni compatti, d’inverno, intravedere il colore rossastro del cielo a neve e sognare che 5 metri compatti potessero cadere tutti insieme, di colpo, sploff, e tutto sparisce, e domani usciamo di casa dai balconi.

Intorno ai 18 anni ci siamo persi di vista, era fisiologico. L’Università fuori sede, amori adulti che cancellano le infatuazioni da ragazzini, un fiume che scorre e trascina via.

Lo ritrovo qualche mese fa. E – shock violento – non è più lui. Non somiglia manco un pò al ragazzo che era, a cominciare dalla foto. Non è solo questione di invecchiare, è scavato dentro, mostra al mondo una facciata di solitudine amara e cattiva e tristissima, che non riconosco. Si difende da qualcosa, la paura, forse, ma in modo patetico ed isterico, con armi spuntate. Praticante ai limiti del beghinaggio. Apparentemente estremista di destra, offensivo quando si parla di politica, ma in modo infantile e superficiale, come fanno i bambini. Ora leggo che è

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sulla via del ripensamento, in nome di un’etica individuale che non riesce nemmeno bene a chiarire, in omaggio a principi interiori che sicuramente hanno a che fare con le cose che gli sono piovute addosso, alcune anche devastanti, che giustificano – per carità – molto del suo atteggiamento.

E infatti il punto non è che non lo riconosco, che non scorgo più neppure un barlume del mio amico F. delle corse in bob. Il punto è avere sotto gli occhi il modo violento con il quale il tempo e le esperienze negative possono deragliare e schiantare vite, senza che il mondo intorno se ne accorga. Percepire con la chiarezza di un teorema matematico che se lasci qualcuno al punto A quando vai a riprenderlo al punto B dopo 25 anni di silenzio puoi trovare un altro. Con un’altra faccia, un altro modo di pensare, che ti è del tutto estraneo.

Un altro.
Solo con lo stesso nome.

Colonna sonora gentilmente offerta da Zucchero ed Eric Clapton.

FaceBook / 2

FaceBook sta diventando una inquietante abitudine, anche perchè trascinata dall’onda anomala l’ho installato sul palmare. Uno solo il dettaglio che proprio non sopporto: la corsa ad iscriversi a quanti più gruppi possibile, che ho capito essere una cosa che viene fatta senza la benchè minima attenzione al contenuto del gruppo, si fa perchè si fa, come ci si soffia il naso quando fa freddo o si scansano le pozzanghere quando piove.

Altrimenti non si spiega come ci siano 2.802 persone apparentemente sane di mente iscritte ad un gruppo il cui nome è “IN VINO VERITAS, IN SCARPE ADIDAS, IN DOCCIA BADEDAS E IN CULO UN ANANAS”.  A cui mi sono iscritta anche io, sia chiaro, perchè voglio conoscere il fondatore capace di inventarsi un nome così geniale, sul quale ho riso per mezza giornata.

Piccole tecnodonne crescono

Prima il BlackBerry, poi Facebook, adesso ho scoperto pure GoogleTalk.
E pure a costo zero, per via della promozione che ho attivato. Aiuto.
Siccome resto convinta che una risata ci seppellirà, sarà il caso che mi venga in aiuto, per evitare sovraccarichi, il vecchio ma sempre valido Corrado Guzzanti.

 

Faceche?

Mi iscrivo a Facebook, perchè se devo toccare il fondo meglio quello virtuale che quello reale. A parte il Socio, fra le millemila facce che il sistema mi presenta come “persone che potresti conoscere” spunta il mio (ex) ginecologo, il breve ma intenso rapporto con il quale è rintracciabile QUI.

E subito vengo conivolta in una discussione sull’esistenza o meno del punto G. Starei per partire con il cazzeggio, quando mi rendo conto che è una discussione seriosissima fra addetti ai lavori,  con tanto di disegnini da libro di anatomia. Mi sarà abbastanza difficile incontrarlo per strada e non scoppiargli a ridere in faccia.