Fine dei giochi

Siamo tornati al lavoro da una settimana circa, non posso più continuare a menarla con le vacanze. Poi mi pare di avere raccontato tutto quello che c’era da raccontare. Resterebbe la descrizione di un paio di posti, per esempio Piazza del Soccorso a Forio, bianca, vuota, affacciata per tre lati sul sul mare, spazzata dal vento, indimenticabile. Culmina in una chiesa a strapiombo sui flutti, sicuramente visibile dai pescatori anche durante le tempeste (da qui il nome, suppongo); la mia immaginazione ha visto anche tre o quattro donne vestite di nero, gli scialli che sbattono nel vento, aspettare un ritorno sul sagrato guardando l’orizzonte e pregando. Oppure i profili di Procida e della terraferma (Monte di Procida, la costa puteolana, il Vesuvio) che si accavallano in sfumature diverse di celeste, sempre più sbiadito fino a confondersi col cielo, in un tramonto con la tramontana (perdonate l’allitterazione).

Il ritorno mi ha fatto malissimo, sono nervosa come un gatto durante un tornado, non riesco a concentrarmi e ho ricominciato ad accusare malesseri e dolori psicosomatici. Oggi per esempio ho la nausea, matefora neppure troppo oscura di quello che il mio inconscio pensa della mia attuale situazione lavorativa e personale.

Mi resta da trascrivere un’ultima puntata del diario di guerra, e poi ricominceremo con le storie da lavoratrice atipica. Sono tornati tutti, tranne la buddista che ha problemi di salute più seri dei miei ed è convalescente da un intervento chirurgico. Sono venuti anche i due questuanti da ufficio, col napoletano sono riuscita ad essere più o meno civile ma la vecchietta rompiballe oggi l’ho quasi buttata fuori di peso. Mi sarei meritata che in un lampo turchino e uno sbuffo di fumo fosse scomparsa per ricomparire come principessa degli Elfi che mi avesse detto che per punzione della mia malvagità sarei andata errando raminga per tutti gli uffici della Terra a vendere matite senza punta.

Insomma, raga, un duro ritorno.

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