… dove “cellulare” ha a che fare con la telefonia, e non con i pezzi di vita di cui è fatto il nostro corpo.
“Per creare lavoro per 8 persone, basta mettere 4 persone a scavare una buca, e 4 persone a riempire le buche scavate” (J.M. Keynes)
Lo sciopero (sacrosanto) di Wikipedia mi impedisce di rintracciare la citazione autentica, l’ho riportata a memoria, quindi non fate i secchioni con le correzioni, oppure sì, fatelo e datemi la citazione corretta, così la sostituisco. Il buon vecchio John Maynard mi è tornato in mente ripensando alla mia breve ma passionale e tormentata relazione con Fastweb Mobile, descritta poc’anzi.
Stamattina sono andata in un negozio Vodafone One e sono tornata nelle confortevoli braccia del mio primo amore mobile: anzi, siccome tecnicamente sono “una che è passata a Vodafone”, sono tornata con apprezzabili incentivi tariffari. Mi dicono perfino che c’è gente che lo fa apposta: passa per una settimana con la concorrenza, e poi torna al vecchio gestore con lo sconto, che da cliente di vecchia data non riesce ad ottenere. E quindi la mia considerazione – che sto per esporvi – vieppiù si rafforza.
Alla fine, il gioco è a somma zero. Avevo un contratto con Vodafone, continuo ad averlo. Però quante energie sono state impiegate perchè tutto tornasse come prima?
1. gli impiegati del call center mi hanno braccato per alcuni mesi. Anche se non vogliamo considerare le tante telefonate che mi hanno fatto e che sono andate a vuoto, consideriamo solo l’ultima, quella con la quale mi hanno accalappiato: siamo stati a parlare forse un quarto d’ora (nel corso del quale a quanto pare io non ho fatto le giuste domande e il fiore calabro non mi ha dato le giuste informazioni, ma questo non c’entra). Comunque, tempo oggettivamente sprecato.
2. come ho raccontato, mi ha poi chiamato una seconda operatrice del call center, e io ho stessa li ho chiamati almeno quattro o cinque volte, prima perchè non mi erano chiari alcuni passaggi (purtroppo non quelli fondamentali, ok, non infierite), e dopo, per avere info sulla disdetta del contratto. Tempo sprecato.
3. ho fatto delle fotocopie di documenti d’identità. Ho spedito un fax. Mi è stato spedito un plico con corriere. All’interno del plico c’erano copie del contratto (che sono state stampate da qualcuno, che ha anche preparato il plico). Tutte operazioni che hanno un costo, che consumano energie, che fanno spendere tempo, influiscono sul bilancio ambientale, e sono tutte operazioni sprecate.
4. Sono andata di persona da Vodafone One, spendendo benzina, e un’ora della mia giornata. Lì sono stati stampati altri fogli per il nuovo contratto, e la signorina Vodafone mi ha dedicato una mezz’oretta. Risorse – materiali e immateriali – sprecate.
Tutto questo per cosa? Io ho un contratto con lo stesso gestore che avevo 10 giorni fa, e Fastweb ha conquistato e perso un contratto nel giro di dieci giorni. Io ho speso all’incirca 80 euro (ma potrei non aver speso nulla: i 30 euro di contratto mensile con Fastweb al momento non sono stati addebitati sul mio conto corrente, anche se dubito che vorrà regalarmi le telefonate che ho fatto e che farò finchè non subentra Vodafone; e i 50 euro di “anticipo conversazione” dati a Vodafone perchè io ho chiesto l’addebito in c/c avrei potuto risparmiarli se avessi chiesto l’addebito su carta di credito): ma quanto hanno speso Fastweb e Vodafone per tutte le operazioni che ho elencato sopra? Il tutto, ripeto, inutilmente, ai fini della modifica dello stato di cose nel mondo che ci circonda. Una entropia cellulare che trasforma cose in altre cose identiche alle precedenti, disperdendo però energia che non recupera più. Uno spreco.
Il sospetto, come ho scritto nel commento all’altro post, è che chi propone i contratti non approfondisca, se non su richiesta insistente dell’utente, i dettagli: tanto il recesso è una roba molto semplice, se ne occupa direttamente il nuovo gestore a cui ci si rivolge, non comporta particolari fastidi nè spese. E però nel frattempo il ragazzetto del call center ha messo un’altra spunta sul numero dei contratti che ha chiuso quel mese, che forse gli vale una piccola prebenda, chi lo sa.
Insomma, il sistema si autoalimenta gonfiandosi a dismisura e generando un (intollerabile, a mio parere) spreco di risorse, anche se probabilmente lo spreco è necessario per far lavorare più ragazzetti al call center, più signorine Vodafone, più rivenditori di toner delle fotocopiatrici e più corrieri. Più stampatori di circuiti: alla mia domanda a Fastweb: “Devo restituirvela, la SIM card?” l’annoiatissima ennesima signorina del call center con accento milanese mi ha risposto “Nossiora, può tranquillamente buttarla”. Dieci grammi di plastica che hanno avuto 7 giorni di vita (ma che l’ambiente, se la buttassi nel giardino sotto casa, ci metterebbe 700 anni a smaltire) [N.d.R.: senza Wikipedia, anche questa info è a memoria e approssimativa].
E’, per chi lo conosce, il paradosso di molti sistemi pubblici di formazione professionale: pochissimi allievi trovano lavoro grazie ai corsi seguiti, ma in compenso hanno sicuramente lavorato centinaia di docenti, tutor, segretari, coordinatori, consulenti, ricercatori e progettisti. Una macchina che si autoalimenta a prescindere dai risultati: se si facesse formazione ad aule vuote, paradossalmente, i risultati in termini di occupazione sarebbero pressappoco
gli stessi. Per motivazioni le più varie, che non dipendono quasi mai dalla qualità della formazione erogata.
Finchè le vacche erano grasse, andava tutto bene.
Ma adesso, possiamo ancora permettercelo?
Colonna sonora offerta da Faber / Cecilia Chailly – Inverno