La Mucca

La Mucca è tracagnotto e pelato come una palla da biliardo, e nel complesso somiglia molto a Lino Banfi all’epoca in cui faceva i film soft core con Edvige Fenech.  Poi apre bocca, e ti rendi conto che è un CLONE di Lino Banfi, comprese le “e” al posto della “a” e il tono stridulo in mezzo alle frasi. Peccato che a differenza di Lino Banfi La Mucca è simpatico come una crisi di emorroidi. Entra nelle stanze senza bussare, usa i computer degli altri senza chiedere permessi e soprattutto alza spessissimo la voce soprattutto quando sta concionando di quanta esperienza lui abbia e di quanto tutti noialtri misera pula da ventilatore non possiamo assolutamente combetere con l’avvocheto La Mucca.

E’ riuscito lì dove altri avevano tutto sommato fallito, ovvero farsi prendere sugli zebedei da TUTTO, ma veramente tutto il Dipartimento, compresi colleghi miti e innocui sempre rintanati nelle loro stanze che appena lo vedono adesso arrotano i denti come rottweiler e ringhiano.

Ovviamente anche lui, come molti nuovi arrivati, nasconde – e manco tanto – una severa incompetenza di fondo, che lo ha già portato a formulare avventate dichiarazioni con tono cattedratico risultate poi prive di fondamento, in altre parole delle emerite stronzate.

Gira una preoccupante voce, e cioè che potrebbe diventare il Dirigente responsabile della programmazione.
Si salvi chi può.

Ineccepibile

Stamattina mi viene dato l’incarico di prenotare una saletta riunoni per il giorno 10 Novembre. Vorrei far notare che fra le sei stanze che compongono la nostra fetta di ufficio pubblico ce n’è una destinata ad una SEGRETARIA,  un essere di età indefinita con gli occhi perennemente sbarrati da un indefinibile terrore e non mi vorrei sbagliare ma fra i compiti delle segretarie POTREBBE esserci anche quello di prenotare una saletta riunioni, soprattutto se la saletta in oggetto è sul nostro stesso piano, non è che dobbiamo prenotare la Royal Albert Hall, eh??? No, devo farlo io. Vabbè. Pierre Cosso si offre di accompagnarmi dall’UomoChePrenotaLeSaletteRiunioni, un piano più sotto.

Arriviamo davanti alla sua porta alle ore 10:12, muniti di regolare domanda scritta formata timbrata e tutte le madonne santissime che la burocrazia impone. A uan mia precisa richiesta di mandargli na mail mi ha rispsoto che non si può, “serve il documento cartaceo. E ah, signorì, arrivate SUBITO, perchè se nel frattempo mi arriva un altro documento cartaceo io devo dare la precedenza a quello.” Oh Madonna. 

Lui non c’è. Alle 10:18 cediamo alla fatica e ci sediamo sul divano del corridoio. Alle 10:25 arriva. Presentazioni, bla bla, passaggio di carta. Esamina la domanda lettera per lettera, non mi preoccupo perchè le parole contenute sul foglio di carta, intestazione compresa, saranno forse 20. Ci fa ripetere tredici volte, nonostante siano scritti bene in chiaro, giorno e ora della riunione. Si piazza davanti al computer e armeggia e smanetta per circa 10 minuti. Esita prima di dare invio a qualunque cosa come se temesse che invece di lanciare, chessò, una stampa, stesse comandando l’apertura degli hangar di sicurezza a Cape Canaveral e il successivo lancio di missili nucleari su Cuba.

Quando alla fine (ore 10:42) ci rilascia quella che potrebbe sembrare una ricevuta, scopriamo trattarsi invece di UNA COPIA (sembra un dettaglio trascurabile, ma non lo è) del calendario di occupazione della ormai famosa saletta, una griglia di Excel con tre colonne: data,  ufficio che chiede l’utilizzo della sala, orario per il quale si chiede l’utilizzo. La SECONDA COPIA, il solerte impiegato la prende con sè. Si alza e attraversa tutto il corridoio, sale un piano di scale e attacca il foglio A4 con due puntine sulla porta della saletta. L’operazione, ci dice con malcelato orgoglio, viene compiuta OGNI VOLTA che qualcuno chiede l’utilizzo della sala ed essa viene accordata. Quindi, se nella giornata ci sono dieci richieste, anche per date successive di un mese o due, lui si alza, percorre tutto il corridoio, sale un piano di scale, appiccica, ridiscende un piano di scale, ripercorre il corridoio e torna trionfalmente al suo posto. Pronto al prossimo aggiornamento.

Ora. Bambini, un momento di attenzione, prego.

Se tirassimo una ipotetica linea di frazione, e al denominatore mettessimo il tempo in minuti impiegato per compiere l’operazione, e al numeratore un numero indice che indica l’importanza, per i processi produttivi dell’azienda – ente pubblico, dell’output ottenuto (in questo caso il numero indice oscilla fra 0,000 e 0,001) ne ricaviamo un secondo numero indice che potrebbe essere scritto a caratteri cubitali sulla porta di ciascuno degli impiegati, in modo da farne oggetto di pubblico ludibrio e malevoli commenti da cesso. Eeh?

Ah, per concludere: il nome dell’ufficio a cui appartengo, richiedente la saletta, sulla ricevuta, è sbagliato.

Pierre

Aggiungo un altro personaggio alla galleria degli orrori del mondo nel quale lavoro: L., il p.p.p., piccolo pierre della politica (locale). Nessuno sa cosa faccia per guadagnarsi da vivere, e il capo, interrogato sull’origine di questo misteriosissimo personaggio, ha glissato signorilmente. Il suo compito, apparentemente, è: farsi notare dai dipendenti della società in cui lavoro, compresa la sottoscritta, per le sue conoscenze altolocate e la sua capacità di organizzare appuntamenti altrimenti impossibili.

Conosce perfettamente il numero di cellulare del mio capo, però chiama lo stesso in ufficio chiedendo di lui, sapendo benissimo che non c’è, e sapendo che per puro senso del dovere chi di noi risponderà farà la fatidica domanda: vuol lasciare un messaggio? Il messaggio sarà sempre vagamente surreale, e il nostro si irriterà se costretto a tornare alla dura realtà concreta.

Tipica conversazione telefonica con L.:

“Buongiorno, sono L. C’è il dottor X?”

“No, mi spiace, è fuori fino a domani. Deve provare sul cellulare. (sospiro) Vuol lasciare un messaggio?”

“Si, ecco, dovrebbe dire al dottor X che avevamo un appuntamento a Bari con il Presidente della Provincia Y per domenica alle 13:30. Il Presidente mi ha chiamato e mi ha detto che è impossibilitato a venire. Quindi non facciamo più il pranzo, ma abbiamo anticipato ad un aperitivo. Alle 11:30. Sempre a Bari.”

“Mi scusi, a Bari dove?”

“A Bari. Un aperitivo. Alle 11:30”

“Beh, Bari è un pò vago” cerco di tornare su questa terra, già mi vedo il capo girovagare per Bari fermandosi in tutti i bar a chiedere se hanno visto L.

“Il dottor X sa dov’è il posto” (irritato, nervoso).
Pausa.

“Comunque poi lo chiamo sul cellulare e glielo ricordo”

Passano 22 minuti.

“Buongiorno, sono L. C’è il dottor X?”

(oh Madonna) “No, è fuori città, fino a domani. Deve chiamarlo sul cellulare”.

“No, perchè volevo dirgli che io sono a Matera, se lui potesse passare in tarda mattinata, devo comunicargli che anche l’aperitivo è saltato. Bisognerà prendere un altro appuntamento con il Presidente Y, magari coinvolgendo anche l’onorevole Z. Può dirlo al dottor X?”

“Certo. Niente più appuntamento a Bari, nè per il pranzo, nè per l’aperitivo”.

“Esatto. E che io sono a Matera, se potesse fare un salto qui, magari nel pomeriggio”

“Questo non sarà possibile, COME LE DICEVO il dottor X è fuori città fino a domani”

Va bene. Magari lo chiamo sul cellulare e concordiamo un altro appuntamento” (ahhhwwnn!!!)

E così via, ogni giorno, più volte al giorno, da circa due mesi. Cambiano i posti, gli orari, i nomi delle persone, ma il dramma umano di L. è sempre lo stesso: cercare di far incontrare 3 o 4 persone, fra cui il nostro capo, senza riuscirci mai. E facendocelo sapere con dovizia di dettagli.
Chi sei, L.? Sei un disturbato mentale? Riusciremo mai a vederti in faccia? E quado ti vedremo, resisteremo alla tentazione di fissare un appuntamento con te?