E dunque, le vacanze / 1

Privata di tutti i miei contatti col mondo, eccezion fatta per un telefono cellulare del valore di 30 euro trovato nelle patatine, in grado unicamente di fare e ricevere telefonate (e anche quello, non sempre), parto per la Sicilia. Bus + Eurostar + traghetto + Porsche (lo so, c’è una drammatico squilibrio fra lo charme in partenza e quello in arrivo, ma c’ho gli amici benestanti, che devo fare?).

Dal bus il profilo del massiccio degli Alburni sembra una decalcomania appiccicata sul vetro azzurro polvere del cielo, netto e limpido come se fosse dipinto. Resto a guardarlo finchè posso, è uno spettacolo che mi incanta sempre. Poi salgo sull’Eurostar, e l’incanto svanisce. Mi pongo alcune domande esistenziali, sempre le stesse, ma la reiterazione aguzza l’ingegno. Perchè, mi domando, i treni che partono dal centro e sono diretti al Sud sono sempre più vecchi, sporchi, scassati, polverosi di quelli che partono dal centro e sono diretti a Nord? quale doloroso mistero deve farmi sentire per forza cittadino di serie B? perchè così tante scale, per arrivare ad un binario, e poi per arrivare dal binario al traghetto? e che cazzo c’ho messo nella valigia, che pesa una tonnellata? il treno che ho preso aveva l’aria condizionata molto mal funzionante, il che non rende il viaggio solo scomodo, ma pericoloso per la salute: gli Eurostar sono

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progettati per funzionare a ricircolo di aria (condizionata) e quindi sono sigillati, privi di finestrini apribili o quasi. Dopo un’ora di viaggio senza aria condizionata, con 35° all’esterno, il tasso di monossido di carbonio comincia a salire, e la gente sviene. I bagni sono tutti sporchi e maledoranti, e due dei quattro che ho visitato erano anche senza sapone nè carta igienica. Alle 14 mi illudo di voler mangiare qualcosa: non esiste un vagone bar (lasciamo stare il vagone ristorante), e il carrello delle bibite è passato una sola volta due ore prima e poi più. Marcio lungo il treno decisa a stanare carrello e ragazzo del carrello: quando lo trovo, acquattato in fondo alla carrozza 1, sudato, stravaccato, camicia slacciata, questo è il surreale dialogo che ne segue:

Io: “Ha qualcosa da mangiare? Panini?”
Lui: “Finiti”
Io: “Tramezzini?
Lui: “No, mai avuti”
Io: “Biscotti? Caramelle? Sassi?”
Lui: “Crackers. Ne è rimasto un solo pacco”
Io: “Va bene, crackers. Da bere? Acqua?”
Lui: “Finita”
Io: “Cosa Cola? Sprite? Aranciata?”
Lui: “Finite. Birra.”
Io: “Bene. Crackers e birra.”
Lui: “Senza bicchieri, però. Non ne ho più”

Forte del mio luculliano pasto arrivo a Villa S. Giovanni. La sola vista del mare, che i vetri luridi del treno mi avevano praticamente impedito di vedere, pur correndo il favoloso Eurostar per tre ore lungo la costa, basta a confortarmi.

Mi piace attraversare lo Stretto. Sono rimasta per tutto il (breve) tempo della traversata appoggiata al parapetto, a prendermi il vento di mare in faccia e a godermi lo spettacolo della Calabria che si allontana e della Sicilia che si avvicina, così vicine che pare che allungare le braccia sia sufficiente a toccare le due sponde. Così lontane che pare ci vorrà un ponte, per unirle. A proposito: la prima cosa che vedo sbarcando è la scritta

“PONTE? ‘STA MINCHIA!!”

stampigliato in nero su tutte le superfici stampigliabili. Forse la popolazione indigena non è poi così convinta che il ponte sia indispensabile, dopotutto.

Nella prossima puntata: il cibo, i cavalier, l’arme, gli onori.

Ho visto cose che voi umani … /1bis

A grande richiesta del mio fan club faccio una piccola digressione sul tema “prese elettriche nell’Eurostar Roma – Taranto”.

Il treno in oggetto, fisicamente, è un ETR 450, il vecchio, onesto Pendolino: è uno dei primi Eurostar che sono stati immessi su rotaie, e risale forse ad un paio di decenni fa. Ostenta, poverino, una forma aereodinamica e un colore bianco e rosso vagamente simile a quella degli ES e AV che viaggiano da Eboli in su, ma nell’animo è rimasto un rapido, risalente a quando c’erano i rapidi, gli accelerati e la terza classe. Parliamo dello stesso treno che, in direzione Taranto, all’altezza di Buccino si è più volte fermato perchè a pieno carico in salita il motore non ce la fa: si scende tutti, e si trasborda su un pullmann, e si arriva a casa con un paio d’ore di ritardo.

Dentro tale portento ci sono posti a sedere un pò scorticati, rivestiti di tessuto grigio blu con testiere bianche con il logo delle FFSS. I sedili hanno – avvitata allo schienale del sedile davanti – una ribaltina di plastica blu con il fermo a gancio, un pò (ma molto un pò) come i tavolini degli aerei. Se lo si apre, la parte di schienale di sedile che resta nuda mostra un anello di plastica, che sollevato può servire a fermare una lattina o un bicchiere.  Anche la ribaltina, uan volta aperta, ha una specie di avvallamento tondo a destra che può servire a fermare – con molta minore efficienza – una lattina o una bottiglietta d’acqua. A fianco del sedile, in basso, avvitato alla paratia del treno, c’è un cestino di metallo blu.  E con questo finiscono i servizi offerti dall’ES Roma – Taranto A/R.

Le uniche prese elettriche presenti sono situate:
1. all’inizio e alla fine di ogni vagone, in basso vicino ad uno dei due posti singoli, vicini alla porta: ma sono al 90% sfondate, o non funzionanti;
2. in prossimità del vano bagagli, anch’esse per lo più non funzionanti. E se anche ne trovate una che funziona, mettere un cellulare a ricaricare lì significa restare in piedi nel vano di passaggio fra il vagone e i cessi per il tempo necessario alla ricarica, perchè abbandonare un cellulare in quel punto significa che non vi serve più, vista la fauna non sempre rassicurante che popola il descritto miracolo dell’ingegneria ferroviaria italiana.
Visto il tragitto relativamente breve coperto, non ci sono prese elettriche nemmeno nei bagni, ed in ogni caso sostare in quei bagni più del tempo necessario a soddisfare bisogni fisiologici urgenti è esperienza che sconsiglio a stomaci deboli.

Tanta puntigliosa (e saccente, me ne rendo conto) conoscenza del mezzo mi deriva dalla circostanza che, soprattutto dal 2002 in poi, sono salita su quei treni con cadenza pressochè settimanale, e ho speso in quei treni sicuramente molto più tempo di quanto ne abbia speso, che so, a cucinare, o ad accompagnarmi ad individui del sesso opposto al mio con reciproca sodisfazione. 

(mentre non mi pare che chi sostiene l’esistenza di prese elettriche in TUTTI gli Eurostar abbia mai, e per sua fortuna, messo piede sull’ES 9363 in partenza da Roma Termini e diretto a Taranto (e viceversa).