In fila per tre

Proviamo a fare un pò il punto della situazione, nell’attesa di prendere una mazza da baseball e irrompere negli uffici giusti in stile Columbine. E perchè è giusto che certe cose si sappiano.

Il mio contratto – ma nella mia precisa identica situazione ci sono almeno 13 persone – scade il 30 Novembre prossimo venturo. A quella data, avremo lavorato per questo Ente pubblico locale per 4 anni e 7 mesi. Occupandoci – in media 8/10 ore al giorno, 5 giorni alla settimana – di questione complesse e delicate, che hanno a che fare con i fondi comunitari, con l’Unione Europea, con i Ministeri. Avremo rappresentato l’Ente pubblico di cui sopra ai più disparati tavoli, anche (soprattutto) nazionali ed internazionali. Non me la tiro, ma insomma non abbiamo solo messo timbri o fatto fotocopie.

Che succede dal 1° Dicembre?  Due strade possibili:

1. un DDL di stabilizzazione dei precari che butta dentro chiunque, al livello contrattuale più basso possibile – quindi con molti meno soldi in busta paga – impone gli obblighi propri della dipendenza ma lascia intatto lo status di precario, perchè il massimo cui si può aspirare è un contratto di 3 anni a tempo determinato. E comunque il DDL non è stato approvato in Giunta, e comunque quando sarà approvato in Giunta andrebbe poi approvato in Consiglio, dopo di che partirebbero i concorsi. Tempo stimato da oggi alla firma di un eventuale contratto:  3-5 anni.

2. un avviso pubblico per selezionare esperti per l’assistenza tecnica per ciascuno dei fondi comunitari di cui ci occupiamo (esattamente quello che abbiamo fatto finora). Il FEASR l’ha fatto, il FESR l’ha fatto, il FSE (il fondo mio e di Stelvio) no. Perchè? Non si sa. Gli altri due avvisi pubblici, a cui pure potremmo partecipare, firmati dai rispettivi dirigenti, giacciono nella segreteria della Giunta da 20 giorni. Perchè? Non si sa. Tempo stimato da quando l’avviso verrà pubblicato alla firma di un eventuale contratto (con tutte le incognite del rifare un concorso): 1 anno.

Nelle more dell’attesa dei tempi necessari ad espletare gli avvisi pubblici, la legge consentiva una breve proroga dei nostri contratti, sei mesi circa. Soluzione penosissima, che la dice lunga sulla capacità istituzionale di fare programmi di sviluppo delle risorse umane della nostra amministrazione, ma tant’è. I soldi necessari vanno ricercati, ancora una volta, sui rispettivi fondi comunitari, ogni fondo per sè e i suoi consulenti. Eccoci quindi con in mano le foto dei bambini a chiedere alla Baccalajuola e al suo fantastico Capo di consentirci di pagare l’affitto ancora per sei mesi. Richiesta a cui si opporrà una risposta presumibilmente negativa, se si pone mente alla circostanza che Stelvio ed io abbiamo nei mesi passati evidenziato una certa tendenza all’autonomia di pensiero, dicendo, facendo e scrivendo cose non sempre in linea con la politica dipartimentale. Perchè così ci piaceva, certo, perchè condividevamo alcune altre posizioni, ma anche perchè ci veniva chiesto di farlo, dagli stessi che oggi, alla resa dei conti, alzano le spalle e ci dicono ci spiace, arrangiatevi altrove, perchè qui non è più aria.  Tutti bravi a fare i ricchioni col culo degli altri, come dice Stelvio.

Tenete conto, topolini all’ascolto, che i “non inquadrati” dell’Ente di cui parlo sono circa 250, ma essi non sono, ripeto NON SONO tutti uguali: ci sono i portaborse, ci sono quelli pescati nel mazzo delle numerosissime long list succedutesi nel corso degli anni, ci sono gli interinali, e ci siamo noi: i consulenti di eccellenza, quelli che hanno già – A DIFFERENZA DI TUTTI GLI ALTRI – sostenuto un concorso pubblico per entrare, quelli capaci di trovare soluzioni, quelli capaci di sostituire i dirigenti nelle contrattazioni comunitarie (portando a casa risultati), quelli che hanno gestito risorse per milioni di euro, quelli che si sono assunti responsabilità anche quando non gli competeva, quelli che si sono scritti da soli i contratti di rinnovo, gli avvisi pubblici, le delibere di Giunta.  Quelli che hanno lavorato alla stesura di progetti, piani, programmi, quelli che hanno avuto idee nuove, regolarmente rivendute ed apprezzate, dappertutto tranne che qui. Quelli che studiano.

Siamo sempre stati dalla parte sbagliata?
Lo sfascio istituzionale si gioca innazitutto sulla nostra pelle?

Può anche darsi che nelle ultime 24 ore utili, di fronte alla marea crescente di malcontento, si buttino dentro tutti, con un provvedimento urbi ed orbi, almeno per i famosi sei mesi. Ma la delusione e l’amarezza di essere confusi nella massa di quelli con il cappello in mano è veramente grande, perfino per i più duri fra noi.

Io, da parte mia,  mi venderò quel poco di credito professionale che credo di aver messo insieme in 14 anni di lavoro senza risparmio. Poi magari scoprirò che non vale nulla, ma a me, col cappello in mano a fare anticamera, non mi ci vedranno.

La colonna sonora del giorno è offerta da Edoardo Bennato.

Solidarnosc

Se io e Stelvio avessimo potuto avere 1,00 euro per ogni collega che ci ha detto “Ma non vi preoccupate!” di fronte al nostro pessimismo per il rinnovo del nostro contratto, avremmo i soldi per pagarci un anno di far niente.

Molto gettonata anche la variante “E che problema c’è?” detta con la noncuranza di chi ha il culo al caldo del proprio contratto a tempo indeterminato da venti anni.

Poi però passano a parlare d’altro. E nel frattempo, ad ogni buon conto, il Grande Puffo ci evita accuratamente. In compenso tanti ci hanno scritto  inverosimili mail di solidarietà che ai miei occhi significa che puzziamo già di cadavere.

Dei contratti

Quando ho fatto il mio trionfale ingresso nella struttura lavorativa che si onora di avermi fra i suoi lavoratori, c’erano due progetti che giacevano inerti da circa un paio di anni, più volte minacciati di abbandono, e continuavano – ma io questo l’ho scoperto dopo – ad arrivare fax e lettere dei partners, con varie sfumature di rimprovero.
Ero il capro predestinato ad accollarmi le sorti appiccicose dei due progetti, visto che ero appena arrivata, e per l’occasione mi vennero fatti ben due contratti ad hoc, con tanto di prescrizione dell’impegno orario, del compenso per ora, e della coincidenza della fine del mio impegno con la chiusura dei progetti. Quindi, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa “a progetto” della riforma Biagi, cioè finalizzati alla conclusione di un progetto per es. di ricerca, non sono una assoluta novità, per quello che mi riguarda.
Nel giro di tre o quattro mesi, ero l’orgogliosa responsabile di infinite rotture di scatole legate ai due famosi progetti, e di qualche piccola ma tangibile soddisfazione professionale (3 giorni a Parigi a spese dell’Unione Europea, ad esempio, di cui 0,5 utilizzati per lavorare e il resto per appropriarsi della città).
Da quel lontano giorno del 1999, più nessun contratto fra me e l’azienda ha avuto l’onore di vedere la luce, pur essendo nel 2000 finiti i famosi progetti iniziali: essendomi conquistata sul campo le stellette del “cane che non molla l’osso e porta a casa i risultati, a rischio di travalicare il suo ruolo” (cito testualmente dal mio capo, forse era un complimento) sono stata ritenuta parte integrante del personale, e quindi si è cominciata a dare per scontata la mia presenza in ufficio tutti i giorni, mattina e pomeriggio, anche se il co.co.co. per definizione dovrebbe “garantire la presenza (solo) il tempo necessario a condurre a termine il lavoro assegnato”.
Alle mie debolissime rare rimostranze venivo sempre guardata con uno sguardo che ricordava quello di Linus quando gli viene strappata la coperta, con gli angoli delle sopracciglia verso il basso e il messaggio “Ma come, non ti fidi?” stampato nel fumetto sopra la testa.
Risultato: non ho diritti (né scritti né orali), non ho doveri (scritti). Ma mi riesce così di rado di approfittarne