Domenica sera

E’ sempre così: quando la salita finisce, dietro la curva, comincia una nuova curva, nell’altra direzione, ma pur sempre in salita.  E come dice il terzo corollario di Murphy sulla Sfiga, “Dietro un problema grande ce n’è uno più piccolo che sta lottando per venire fuori”.

Vi aggiorno sulla questione rinnovo contratto. Non ci sarà, questa è la novità. La fulgida Amministrazione per la quale lavoriamo ha pensato intensamente a noi ed ha partorito dopo mesi – MESI – di elucubrazioni un disegno di legge per la stabilizzazione dei precari, che comunque non ci riguarda. E non ci interessa, vi dirò. In subordine, un contratto di consulenti per accedere al quale bisogna rifare un concorso. E se non proprio un terno, è un ambo al lotto, comunque, perchè le incognite sono tante.

Come sempre.

Entrare nelle stanze dei bottoni brandendo un’ascia e spaccare tutto sembra all’improvviso una possibilità, per ottenere qualcosa di più.

Update:

ora che ci penso, ieri non ho passato la giornata solo a commiserare il mio destino professionale. Ho fatto anche altro. Per esempio, ho cambiato una tavoletta del water a casa dei miei genitori: smontata la vecchia, montata la nuova, con annesso sdraiamento stile meccanico sotto la tazza. Ora, è vero che io adoro i lavori manuali, ma non vorrei che fra le due cose che mi hanno tenuta impegnata ci fosse una stretta correlazione.

Concorso pubblico

La notizia è giunta, come sempre, circondata da un alone di particolari contradditori e sospetti: stamattina stessa c’è stata selezione in infermeria; la percentuale è stata del sette per cento del totale, del trenta, del cinquanta per cento dei malati. A Birkenau il camino del Crematorio fuma da dieci giorni. Deve essere fatto posto per un enorme trasporto in arrivo dal ghetto di Posen. I giovani dicono ai giovani che saranno scelti tutti i vecchi. I sani dicono ai sani che saranno scelti solo i malati. Saranno esclusi gli specialisti. Saranno esclusi gli ebrei tedeschi. saranno esclusi i Piccoli Numeri. Sarai scelto tu. Sarò escluso io.
(da Primo Levi, “Se questo è un uomo”)

Lo scenario è infinitamente meno drammatico, ma non so perchè mi sono tornate in mente queste parole, ieri, mentre su un gigantesco piazzale insieme ad altri 1.100 candidati circa, aspettavo di entrare a fare le selezioni per un concorso pubblico. Ascoltavo i loro discorsi e le infinite piccole certezze che ogni canddiato aveva di essere escluso o di essere ammesso sulla base di considerazioni poco più che cabalistiche. Mi guardavo intorno e vedevo tutto il campionario del caso: trentenni con la faccia seria gli occhiali e le dispense che ripassavano freneticamente le ultime nozioni, ragazze della provincia infagottate e immusonite, quaranta-cinquantenni in cerca solo di una collocazione diversa oppure con in faccia la disperazione di una vita da precari. Una tristezza, insomma.

Poi siamo entrati e come al solito la lente dissacrante e ironica che mi porto sul naso ha preso il sopravvento.

La società che ha vinto l’appalto per gestire il mega-concorsone pubblico ha assoldato una quarantina di giovani interinali per la sorveglianza e per la bassa manovalanza. C’è il naziskin, nerissimo di carnagione, rapato a zero, porta 5 anelli all’orecchio destro in bella evidenza e quando indirizza i candidati verso i banchi abbaia con evidente piacere come se stesse indirizzando gli ebrei alle camere a gas. Ci sono tre o quattro signorine che con tutta evidenza aspirano a fare le veline, jeans aderenti a vita bassa, pancino scoperto, capello lungo che ad ogni scuotimento di testa copre maliziosamente metà faccia, trucco abbondante, e hai visto mai che fra i mille candidati c’è un agente in incognito o un miliardario matto, quando devono attraversare la sala per andare a fare rifornimento di matite copiative mettono i piedi uno davanti all’altro scuotendo tutto lo scuotibile, come in passerella. Ci sono quelli che indossano il cartellino di riconoscimento con la stessa fierezza di un pass della stampa alle Olimpiadi, attaccato al collo, quelli più fighetti alla cintura dei pantaloni. Ci sono quelli che parlano nel walkie talkie facendo finta di essere il commissario Pettenella. C’è quello con la faccia da studente universitario che palesemente vorrebbe essere dovunque tranne che qui, e sbuffa con regolarità. Ci sono le due signore sulla cinquantina – queste però mi sa che non sono interinali, devono essere impiegate dell’ente pubblico che bandisce il concorso, punite da un sorteggio sfigato ad essere qui – che si siedono in un angolo e si raccontano per tutto il tempo i cazzi loro, i mariti, i figli, la pensione e così via.

Ci sono i Carabinieri, numerosi armati ed in tenuta antisommossa, hai visto mai qualche nucleo di precari combattenti volesse fare un blitz armato di matite copiative.

Poi la selezione parte, e finisce in tempo rapidi, gli interinali sono ben addestrati e nessuno cerca di copiare, siamo troppo vecchi e troppo depressi.
Non sono entrata in graduatoria utile, sono appena sotto.

Contenti, invidiosi?