Nel nuovo ufficio le stanze sono in fila. E Stelvio e io abbiamo da una parte la maga dei computer, dall’altra la responsabile del personale dipartimentale.
La signora – uno gnomo tondo con i capelluzzi ricci biondi – ama il caffè. Il caffè con la moka, per il quale disdegna schifata la macchinetta automatica del terzo piano (oddio, magari fa bene). Ma – mi direte voi che abitate a Varese – e come si fa ad avere il caffè della moka in un ufficio, per di più pubblico?
E che problema c’è. Per sciacquare e rimpire d’acqua il serbatoio della moka, c’è il bagno. Poi. La signora ha disposto i mobili della sua stanza in modo tale che vi sia un angolo un pò nascosto dietro il fax e la stampante, non ben visibile dalla porta, dietro il quale ha piazzato un tavolino, una piastra elettrica, e tutto il necessario per fare il caffè: la moka, ovviamente, un barattolo di zucchero, uno di caffè Kimbo, bicchierini di carta, cucchiaini di plastica. E – tocco da maestro – un foglio A4 elaborato in Excel nel quale ci sono i nomi di tutti gli abitanti del piano, i mesi dell’anno, e il contributo versato da ciascuno per le spese di zucchero e caffè. L’abbonamento ha un importo modicissimo: 2,00 Euro al mese. Ma si può contribuire in natura, portando, che so, cioccolatini, cornetti mignon, o una crostata fatta dalla mamma, o una fetta di dolce avanzato dal compleanno. Il trasporto della moka dal bagno alla stanza della collega avviene mediante un innocente sacchettino di carta plastificata rosso, tipo confezione regalo, con scritto fuori “Gioielleria Manzoni”.
Due euro al mese per avere un bicchierino di caffè dalla moka – e magari un cioccolatino, se vi dice culo – ogni volta che la collega lo fa, il caffè. E come si fa a saperlo, direte voi. Per chi lavora – diciamo così – nelle immediate vicinanze, è facilissimo: basta seguire l’odore di caffè. Per chi sta più lontano, funzionano il telefono interno, la voce che si sparge, l’orario (la collega si fa venire la voglia ad orari più o meno fissi).
Le colleghe che prendono il caffè a gruppetti di 4 o 5 ovviamente chiacchierano fra loro. Tutte donne, quasi sempre. Un paio hanno una voce che trapana i muri e Ballarò e Porta a Porta e Amici e L’Arena hanno ormai insegnato che non conta il valore dell’argomentazione, conta chi riesce a urlare più degli altri, riuscendo a mantenere la concentrazione per ripetere sempre la stessa cosa finchè l’altro non si tace.
Stamattina il tema era: è giusto attendere l’assenza di figli adolescenti per frugare nei loro armadi e buttare via tutti gli indumenti che a giudizio della mamma non sono più mettibili? Al momento in cui scrivo, la discussione è ancora aperta.
E’ lecito da parte mia augurare loro una morte lenta, soffocate da un cucchiaino di plastica?