Facciamo subito piazza pulita: non credo al complotto. Non credo e non ho mai creduto che un governo di un paese civile possa deliberatamente decidere di uccidere 3.000 suoi cittadini solo per poter dichiarare guerra all’Iraq e all’Afghanistan. Non ci credo e non ci credero’ mai, anche se resto affascinata dai dubbi, soprattutto quando ad esprimerli (indirettamente) e’ Giovanni Minoli. Ma non ci credo, al complotto.
Quando ci penso, quando penso all’11 Settembre, ci sono due cose che ricordo e a cui penso, sempre, quando vedo le Torri Gemelle trapassate come giocattoli, poi in fiamme, poi accartocciarsi su se stesse implose e sbriciolate.
Quel pomeriggio dormivo, un pisolino pomeridiano come milioni di altri, sul letto dei miei genitori, mia madre affianco a me. Mio padre apri’ la porta di botto, la voce alterata: “Venite a vedere che sta succedendo”. In tv, una delle due Twin Towers bruciava nella parte alta, fumo nero che si alzava da quell’edificio alto e snello, sembrava una sigaretta accesa. Non sono in grado di dire quando ho capito cosa stava succedendo, quando lo abbiamo capito tutti. Forse quando ho assistito, impietrita e del tutto incredula, al secondo schianto, e poi ai crolli, inevitabili eppure cosi’ irreali. Ecco, in quel momento un’ondata di paura, rapida e paralizzante, mi e’ salita addosso con un rumore sordo. Ho avuto paura, una paura totale. Perche’ ho pensato: non si fermeranno. Un aereo contro le Twin Towers. No, due. No, anche uno contro il Pentagono. No, ce ne sono quattro. Chi potra’ mai fermare l’escalation? ho pensato, mentre mi bagnavo in un attimo di sudore dalla testa ai piedi. Ho atteso terrorizzata che arrivasse la notizia che altri tre, cinque, dieci aerei stessero colpendo altrettanti monumenti in altrettante grandi citta’ americane. Washington, Dallas, Los Angeles, Las Vegas.
Chicago.
La citta’ dove viveva mia sorella.
Il terrore mi impediva di muovermi e pensare. Ci sono volute alcune ore perche’ realizzassi che era – si fa per dire – finita li’. Mia sorella aveva anche chiamato, pochi minuti dopo il secondo impatto, quando le linee ancora funzionavano, per tranquillizzarci e dirci che stava bene. Ma quando poi ho provato a richiamarla, ore dopo, non c’e’ stato verso. Andai in ufficio e chiesi, con le lacrime agli occhi, il permesso al mio capo di continuare a provare. Riuscii solo a lasciare un accorato tremante messaggio sulla segreteria di casa sua, pregandola di richiamarci. Cosa che poi fece, molte ore più tardi, quando avevo gia’ comunque più o meno ripreso l’uso delle gambe e della parola.
Ero tornata dagli Stati Uniti manco 10 giorni prima. Avevo passato da mia sorella le vacanze, tutto il mese di Agosto 2001. Quindi – ed e’
la seconda cosa a cui penso sempre – in quella vacanza ho vissuto e salutato, salendo sull’aereo, un’America scomparsa: l’America pre 11 Settembre.
Potrei raccontarla, com’era, quell’America?
Ho cercato di non dimenticare nulla, di quel mese, ma comunque a parte le foto e i miei ricordi non ho altre tracce visibili, solide, e ho paura che tutto prima o poi svanisca, e l’unica America che io riconosca e’ quella ferita a morte dall’odio estremista.