Whitney Houston è morta nella sua stanza d'albergo, probabilmente strafatta di medicinali vari e alcool. Tutti i giornali che ne parlano raccontano la storia di una personalità più o meno devastata dalla depressione, e dal conseguente abuso di sostanze artificiali di tutti i generi, di tentativi di disintossicazione e di inevitabili ricadute. Ma tutto parte da lì: depressione. Mi concentro su questo tema, evitando di ricordare che il suo periodo di maggior successo ha coinciso con la mia giovinezza, che io l'adoravo, e che una delle sue canzoni è stata incisa su una musicassetta che ho regalato ad una persona meravigliosa a cui tenevo moltissimo, appunto nella mia giovinezza, e io ne avevo un'altra copia, di quella musicassetta, che ho ascoltato e riascoltato e strascoltato fino a consumare il nastro, e che ho riprodotto con i file mp3 per non perderne traccia, e che insomma quella canzone insieme ad alcune altre mi ricorda una delle cose più belle che mi siano capitate e delle persone migliori che io abbia conosciuto nella mia vita.
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Ma torniamo alla depressione.
E' evidente che mai come in questa materia il sazio non crede al digiuno, e per chi non ci passa in mezzo – evidentemente – è impossibile capire che si prova. Lo dico perchè Whitney Houston, se ci penso, mi sembra una persona dotata di tutte, ma proprio tutte le fortune del mondo. Non è nata poverissima. Era bellissima: non bella, proprio bellissima, al di là dei trucchi di scena mi pare difficile negare il fascino che emanava dal quella faccia, da quel sorriso, da quel fisico perfetto, da quella carnagione che era nera ma non tanto, e che splendeva quando si vestiva di bianco, il suo colore preferito. Aveva una voce soprannaturale. Divina. Magica. Non ne capisco di musica, ma quelle variazioni di note, di tono, quella potenza, era inconfodnibile, e a me metteva i brividi. Aveva per zia Dionne Warwick e per madrina Aretha Franklin (scusate, eh). Aveva messo tutto a frutto per tempo, riscuotendo un successo mondiale, e non effimero. Milioni di dischi venduti. Milioni di dollari posseduti, suppongo. E se anche se li fosse giocati tutti a zecchinetta negli ultimi anni, le sarabbe bastato un concerto, o un disco The best of, e il problema di mettere insieme il pranzo con la cena era risolto, direi.
Ma se una così è depressa, che dovrebbe dire la casalinga grassa e pustolosa – e stonata – di Casal Palocco o di Pollenatrocchia? Mi fa rabbia, rabbia che una così possa sentirsi “depressa”. Va bene, non conosco la malattia, non so quanto possa essere subdola. Ma che si possa morire a 48 anni dopo che hai avuto tutto questo culo nella tua vita, io non lo concepisco, ecco.
Chiudo con un video – scelto apposta – nel quale non ha lustrini nè pailletes, solo una tutona informe, non è su un palcoscenico ma in mezzo ad un campo da football, e non canta una roba scritta apposta per lei, ma un inno nazionale, che per definizione musicalmente non è quasi mai il massimo. E ditemi se non vi viene da piangere.
Cazzo, Whitney, ma come hai potuto? 🙁