Per almeno due motivi.
Perchè era l’inverno ’84/’85 e io e Ross lasciavamo il caldo sicuro rifugio della provincia e della famiglia e delle sicurezze per tuffarci nella metropoli tentacolare, nella vita adulta, nelle prove da affrontare da sole, senza il paravento del liceo con il busto amico di Quinto Orazio Flacco, del banco, degli amici, della famiglia. Stare attente a non farsi scippare, a non arrivare tardi, a farsi bastare i (pochi) soldi, a studiare, a non farsi male. Alzarsi al buio il lunedì mattina, uscire nel gelo, prendere il pullmann, e all’arrivo il caffè da Mexico, borsoni in spalla, e via andare. E non può non rimanerti impresso, un inverno così.
Perchè era la prima volta che si faceva una cosa del genere, e restammo tutti incantati di fronte a voci così diverse e personalità artistiche così imponenti e multiformi che si fondevano con tanta eleganza. Poi c’era la beneficenza, l’Africa, ammazza ‘sti americani se sò forti.
E mi dispiace per la buonanima, ma a me continuano a rizzarsi i peli sulle braccia quando entrano Bruce Springsteen, o Cindi Lauper, o Bob Dylan o Ray Charles, e non quando entra lui.
Rest in peace, Michael. Sono sempre i peggiori che se ne vanno per primi.
