Una breve rassegna di tipi da isola napoletana.
1. la coppia da concerto: Lei, proveniente dalla periferia del capoluogo (Sant’Antimo, Casavatore, Pollenatrocchia o giù di lì) 40 anni e forse qualcosa in più, arriva caracollando su tacchi alti venti centimetri, sottili come la perfidia, attaccati a scarpe celeste marezzato con onde argentate. Seguono, dal basso verso l’alto, un paio di pantaloni di lino bianco, un top dello stesso materiale cangiante delle scarpe, annodato sul davanti con un gigantesco fioccone che le impedisce parzialmente la visuale, argenti strass brillanti e brillocchi appesi su tutte le superfici corporee appendibili, capelli biondo chimico tirati su in un nodo che vorrebbe imitare quello del top, faccia color cuoio del tutto incongrua con i capelli biondi, rossetto dato con la cazzuola. Lui, coetaneo della moglie, dieci chili di sovrappeso, porta jeans bianchi con due enormi toppe che vanno dalla caviglia all’inguine, una a stelle e l’altra a striscie. Giubbino di tela bianca come i jeans con enormi toppe ai gomiti, una a quadri bianchi e neri, l’altra bianchi e rossi. Completa il capolavoro un cappellino da baseball rosso fuoco di due misure più piccolo che lo fa somigliare a Ciccio di Nonna Papera. Si siedono alle mie spalle, sono habituè dei concerti estivi del Negombo, stasera c’è Massimo Ranieri e non si può mancare. Lei canta a squarciagola tutte le canzoni, spostandomi in modo indicibile la nervatura, visto che ce l’ho a dieci centimetri dai padiglioni auricolari. Durante l’intervallo, discute col marito della presenza scenica del cantante, facendo il suo sfoggio culturale: “Hai visto come si muove sul palcoscenico? E per forza, quello ha fatto la scuola di Streller”.
2. il milanese medio – Di estrazione culturale impiegatizia, piomba nell’isola convinto che trovandosi essa nel meridione d’Italia, sia un luogo selvaggio da colonizzare, dove la vita costa un cazzo, si mangia, si beve e si scopa alla faccia degli indigeni, che portano un anello al naso e notoriamente accettano specchietti in cambio di oro. Prende la prima fregatura appena sceso dall’aliscafo, sotto forma di vecchietto sdentato che guida un’Ape tre ruote scrostato decorato con i ponpon e attrezzato per il trasporto umano, che si offre di accompagnarlo in albergo; lui sale tutto giulivo, credendola una forma di ospitalità isolana e all’arrivo (in genere 500 mt. più in là) viene depredato di una cifra variabile fra i 25 e i 30 euro. Da quel momento guarderà con sospetto anche le cozze nel piatto, temendo che riprendano vita e gli si avventino sul portafogli, e naturalmente diventerà lamentosissimo riguardo al rapporto qualità/prezzo di qualunque cosa gli venga venduta/fornita/erogata. Questo non gli impedirà di continuare ad essere turpulinato e rapinato fino alla fine della vacanza, al termine della quale non avrà nemmeno scopato.
3. l’anziana tedesca che viene a fare le cure termali – Un metro e 50, capelli candidi con sfumature viola, leggermente grinzosa, occhiali da vista con montatura metallica, sembrerebbe una innocua vecchietta come tutte le altre ma appena apre bocca la Gestapo si materializza in lei e comincia ad abbaiare ordini a destra e a manca. Si placa, con un mugolio soddisfatto, solo quando arriva nei giardini termali, perché lì la sua vocazione teutonica alla disciplina e alla tortura possono sfogarsi in pieno. Infatti, munita di costumino ascellare e cuffia di gomma con i fiori viola tremolanti, percorre tutto il circuito termale senza battere ciglio, immergendosi alternativamente in acque bollenti che ustionerebbero una salamandra e poi in acqua gelide, camminando sui sassi, arrampicandosi nelle grotte, lasciandosi a bagnomaria per svariate ore, e scuotendo il capino sdegnata di fronte a quei chiassosi di giovani italiani per i quali dentro di sé, ne sono sicura, invoca i campi di sterminio.
4. l’autista di pullman della SEPSA – Da Aprile a Ottobre guida pullmann larghi due metri su strade larghe un metro e ottanta, con pendenze del 70% e turni di 18 ore, 7 giorni alla settimana. Deve guidare scansando i motorini, i microtaxi, i pedoni, gli spigoli delle case. Deve rispondere a tutte le domande che gli vengono poste, dalle più banali e scontate (“Questo pullmann va a Ischia Porto?” “Devo arrivare a Forio, dove devo scendere?” “Scusi, per l’Hotel Margazzi va bene questo autobus?”) alle più insidiose (“Ma lei è lo stesso di ieri?” “Dove possiamo andare a mangiare una pizza?” “Scusi, ma non sta sbagliando strada?” “Secondo lei non è troppo pieno, questo autobus?” “Devo pagare il biglietto?”). Il tutto sotto 35 gradi e l’80% di umidità. Questo forse giustifica le perenni gore di sudore sotto le ascelle della camicia azzurra della divisa, il pallore da infartuati e lo sguardo allucinato.
Ecco un tipico dialogo agostano:
Utente (con accento emiliano): “Questo pullman va a Lacco Ameno?”
Autista: “Sì”. L’utente sale, il pullmann parte.
Utente: “Io devo andare all’Hotel Maria”
Autista: “Allora avete sbagliato pullman. Dovete scendere e prendere il 4 alla fermata all’altro lato della strada”.
Utente: “Ma questo pullman non va a Lacco Ameno?”
Autista: “Si, però ..”
Utente (deciso): “Allora va bene, scusi! Perché devo prenderne un altro?”
Autista (stringendo il volante fra le mani per controllarsi): “Io vado..”
Utente (sempre più deciso, sventolando un opuscolo): “Guardi c’è scritto anche qui: Hotel Maria, Lacco Ameno! Eh!?”
Autista (perdendo definitivamente le staffe): “Sentite, giuvinò: io vivo a Ischia da 40 anni. Lacco Ameno è fatto ‘è COSTA (gesto orizzontale) e ‘e MUNTAGNA (gesto verticale). L’albergo vuosto sta in MONTAGNA, e stù pullmann nun c’arriva. Vui vulite andà a Lacco Ameno? E io ve ce porto! Però in albergo nun c’arrivate!!”
Utente: “Però come siete sgarbati, voi napoletani!”