L’implacabile scadenzario orario del PLP, ovvero: come si può passare dalla stanchezza alla rabbia alla disperazione al surreale nel giro di nemmeno 24 ore.
19 Agosto, ore 8:00 – Paoletta ha dormito da me, non ce la faceva ieri sera a fare due ore di viaggio e a rifarne due stamattina per essere qui così presto. E’ arrivato il momento di spiegare: Paoletta non lavora nella nostra azienda, ma in un’altra, con la quale abbiamo un accordo per così dire “politico”. L’accordo prevede che noi lavoriamo, e il progetto passerà sotto il nome dell’altra azienda. In cambio, in un’altra area territoriale il progetto potrà essere tutto nostro. La Capa di Paoletta è un altro personaggio da blog, che racconterò un’altra volta. Per ora, basti sapere che è dura, rompipalle, e pignola. Mi offro di ospitare Paoletta anche la notte successiva, l’ultima prima della scadenza. Lei nicchia, si guarda i piedi, poi biascica che lei “vorrebbe partire verso ora di pranzo”. Un lancinante sospetto comincia a farsi strada, ma non indago oltre. Abbiamo troppo da fare.
19 Agosto, ore 11:00 – Comincia lo strazio degli allegati. Gli allegati sono documenti formali, ad esempio – fra gli altri – curricula dei componenti la compagine sociale, che a loro volta sono enti pubblici, o associazioni, o consorzi. Bisogna allegarli, appunto, ma una sintesi del loro contenuto va inserita nel testo. Compito della raccolta degli allegati è dell’altra società. Scopriamo ben presto che finora è stato fatto veramente poco, Paoletta e altre sue colleghe si rimpallano le responsabilità fra loro e con la Capa, non in sua presenza per carità. Dopo stillicidi di telefonate, i curricula cominciano lentamente ad arrivare. Pochissimi via e-mail, la maggior parte via fax. Bisogna TRASCRIVERLI, uno per uno. Abbiamo uno scanner ma funziona male e i refusi che riporta nel testo informatico sono talmente tanti che si fa prima a riscrivere tutto. Lo faccio io, borbottando fra me che la prossima volta ce li possono mandare con i segnali di fumo, visto che nel 2003 ancora la posta elettronica è un tabù. Fra una cosa e l’altra, abbiamo perso tre ore. Paoletta va nel suo ufficio per ripescare altre carte, ma ci saluta come chi è sicura di partire.
Scoppia la rivolta degli schiavi. Andiamo nella stanza del Capo e gli urliamo tutta la nostra rabbia: ma come, il lavoro viene consegnato sotto il LORO nome, e loro SE NE VANNO IN VACANZA??? 24 ore prima della scadenza, non c’è NESSUNO di quella società che controlli? e chi sarà responsabile, se qualcosa va storto? e chi si metterà in moto, se manca un documento? e se ce ne andassimo anche noi oggi, in vacanza, chi consegna? Il Capo è talmente stanco, e ci vede talmente incazzati, che ci dà ragione: prende il telefono, chiama la Capa, la cazzia fieramente per questa debacle dei suoi. Risultato, alle 13:30 Paoletta torna con i documenti, gli occhi gonfi, e furiosa con noi, anche se non può darlo a vedere. Cincischierà ancora inutilmente per un paio d’ore, poi, spalleggiata dalla Capa, se ne andrà comunque. Comincio ad odiare la Capa, che prima di andarsene anche lei in vacanza mi dirà: “A chi mi posso affidare per essere certa che non manchi niente? A chi? A Marta Sofia? Sì, vero? TI ASSUMI TU LA RESPONSABILITA’??” Starei per mettermi a piangere anche io, per la rabbia, ma sono di un’altra tempra, e mi limito ad annuire e a rispondere “Anche perché non c’è nessun altro, dei tuoi” e a sbattere un po’ di cartoleria verso la porta dopo che lei è uscita.
19 Agosto, ore 14:00 – ci interrompiamo per mangiare un boccone, il solito panino con la solita mortadella e la solita mozzarella Posticchia Sabelli, col solito chinotto, passione del Capo, che è andato a fare la spesa. Il bar di fronte ha chiuso prima di Ferragosto e non riaprirà prima del 25, credo. Sono così depressa e l’aria condizionata è talmente a palla che mi si blocca la digestione. Scrivo con la destra e con la sinistra mi massaggio la pancia. Partono le stampe e le copie. Due pagine per ogni copia devono essere stampate a colori. La rete va in tilt, ovviamente, e non si riesce a stampare niente da nessuna parte. Bisogna spegnere tutto e far ripartire. Fatta la prima copia, si fotocopia col fascicolatore. La fotocopiatrice, miracolosamente, non si inceppa neppure una volta. Però surriscalda drammaticamente il corridoio. Passare da lì alla stanza dove stiamo lavorando è come passare da Calcutta a Oslo, con compromissioni serie ai nostri apparati fonatori. Prima di sera, saremo tutti più o meno afoni e con le tonsille gonfie.
19 Agosto, ore 20:30 – una buona notizia: il Consiglio di Amministrazione di una delle società per cui stiamo lavorando ha approvato il progetto “salvo alcune piccolissime modifiche” chiosa l’Architetto, sempre ottimista. Questo vuol dire che il completamento del secondo progetto diventa una faccenda più lunga e più complicata. Telefona uno dei soci della prima società, quella per la quale il PSL è già stampato e fotocopiato, timbrato e firmato, e chiede “se si può fare qualche integrazione”. Approfittando del fatto che lo conosco da anni, lo mando a fare in culo bruscamente.
19 Agosto, ore 23:15 – io e l’Architetto abbiamo finito di inserire le “piccolissime modifiche” e ogni altra integrazione necessaria. Io e la buddista ce ne andiamo, sfinite, l’Architetto, in fase insonne evidentemente, dice che si fermerà ancora un’oretta per inserire nel testo le tabelle con i dati finanziari. A casa mangio una testa di scamorza affogata in tre litri d’acqua, e mi fiondo sul letto quasi senza svestirmi.
20 Agosto, ore 00:15 – squilla il cellulare. Faccio un salto, santiando, e rispondo. E’ l’Architetto. Dal PSL mancano in maniera del tutto misteriosa circa 15 pagine, che avevo inserito io più di un mese fa. Gli dico dove andarle a recuperare, mi riaddormento col telefono in mano.
20 Agosto, ore 7:00 – siamo già in ufficio. Con calma e un po’ di freschezza e lucidità ritrovate – una doccia fa miracoli – facciamo il primo pacco, carta, scotch, ceralacca, timbri, firme. Il secondo progetto viene limato, editato, rivisto, e stampato. Si ripete la trafila del giorno prima per fotocopie e stampe a colori. Anche le macchine sono stanche.
20 Agosto, ore 10:30 – facciamo la check list del secondo progetto e ci rendiamo conto che manca un documento formale, un attestato che è ancora in possesso del Notaio che l’ha redatto. Il Notaio viene rintracciato a telefono, cazziato, uno di noi parte a razzo per andare a prenderlo. Recupera il documento, sta tornando da noi, quando viene raggiunto al cellulare dalla segretaria del Notaio. Gli hanno dato il documento sbagliato, deve tornare indietro e fare il cambio. Si è persa un’ora preziosissima.
20 Agosto, ore 11:45 – non c’è tempo di chiudere anche il secondo pacco, ma il bando prescrive che sia perfettamente sigillato, pena l’inammissibilità. L’Architetto ha un’idea geniale. Mi urla di prendere tutto il necessario per la chiusura del pacco e seguirlo. Chiama al cellulare quello che ha il documento recuperato dal Notaio, del quale occorre una fotocopia, e lo dirotta davanti alla Regione.
20 Agosto, ore 11:55 – Saliamo tutti e tre all’ufficio protocollo. Regna una calma surreale. Entro solo io, con un bottone della camicetta aperto in più e il pacco smembrato sotto il braccio. Piazzo sotto il muso dell’impiegato la lettera di accompagnamento per farla protocollare, e piegandomi un po’ sulla scrivania e sbattendo gli occhioni gli sussurro dolcemente che “ho solo un piccolissimo problema, vede qui il pacco? era stato fatto male, sa, la fretta” sorrido come il pitone quando sta per inghiottire il topolino “e si è rotto, tocca rifarlo, quindi se non le dispiace lo sigillo qui, è questione di un minuto …” Il protocollista basito fa sì con la testa. Intanto l’Architetto si è fiondato in un’altra stanza a fare le fotocopie del documento notarile (18 pagine). Alla 17°, finisce la carta.
Per evitare che si renda conto che non si tratta solo di sigillare, ma di aggiungere un documento, io sto intrattenendo il protocollista con il mio miglior repertorio di smielamenti, approfittando della provvida presenza di un minuscolo acquario piazzato sulla sua scrivania. “Ahhhah ma che carino, è suo?” (e di chi potrebbe essere, visto che è piazzato a dieci centimetri dalla targhetta che porta il suo nome?) “E sopravvivono? voglio dire, l’aria dell’ufficio non li avvelena?? ahahaha!! (rido da sola alle mie battute) “Ahahah, ma vedo anche delle piante! lei è proprio un amante della naturaaa!!” Il protocollista, che si era distratto un attimo alle mie stronzate, si riprende e chiede: “Bè, ma allora ‘sto pacco, lo chiudete o no?” Sto meditando di cominciare a fare la danza del ventre, quando entra il provvido Architetto, con doppia copia di documento in mano. Da allora, tutto sembra svolgersi a ritmo di Charlie Chaplin in Tempi Moderni: integrazione, carta, scotch, timbri, sigilli, ceralacca squagliata con l’accendino del protocollista, che per fortuna è un accanito tabagista, e ustioni di 3° grado del pollice dell’Architetto, che virilmente resiste al dolore, anche se diventa paonazzo.
