Tutti segni di vecchiaia

Pomeriggio, tipo le 14.30.

Sono sul divano (copertina, tv, caffè dopo pranzo) e mi suona il cellulare. Numero sconosciuto. Rispondo con un sospiro pensando al solito call center che cerca di truffarmi millantando di chiamare dall’ “Ufficio Generale dell’Energia Elettrica”.

Voce giovane, accento locale. Mi dice di essere un tecnico Italgas, che il mio contatore risulta guasto (non trasmette più i dati dei consumi) e chiede di poter venire a cambiarlo. Gli dico sì, distrattamente, gli spiego dove abito perchè non è banale arrivare a casa mia. Mi dice che arriverà in una mezz’ora.

Chiudo il telefono. Poi ci vado pensando. Vivo sola. Sta per arrivare qualcuno che non conosco, che ha chiamato da un numero sconosciuto, che dovrò far entrare a casa mia perchè il contatore è sul balcone della cucina. Tutte le mille raccomandazioni che facevo ai miei genitori mi si stanno ritorcendo contro. Cerco velocemente il numero dell’Italgas ma figuriamoci se alle 14.45 mi risponde qualcuno. L’ansia sta velocemente degenerando in panico. Certo, potrei non aprirgli, quando busserà, ma se poi invece fosse DAVVERO un innocente tecnico Italgas che cerca di abbushcarsi la pagnotta? Che figura ci faccio?

Ormai nel mood “truffa alle persone anziane” giunto al livello “tratta delle bianche” chiamo il 112. Mi risponde un Carabiniere giovane quanto il presunto tecnico Italgas. Gentile, mi suggerisce di chiamare l’Italgas (eh vabbè). Quando gli spiego che ci ho provato ma senza successo, mi propone di restare a telefono con me – o di richiamarlo appena il giovane arriva e fino a che non capiamo di che si tratta. Riattacco.

Risquilla il telefono, è il tecnico di prima che non trova il portone. Glielo spiego poi però gli dico anche, cercando di sembrare solo una vecchia saggia invece che un pulcino spaventato, che non se la deve prendere, niente di personale, ma io ho bisogno di parlare con qualcuno del suo ufficio per tranquillizzarmi. Non si scompone e mi da un numero fisso. Lo faccio e parlo effettivamente con un ufficio che sa di me cose che solo l’Italgas dovrebbe sapere – almeno spero.

Un filo tranquillizzata (ma manco tanto, poteva essere un complice) apro il portone col cellulare in mano brandito come la spada di re Artù pronta a digitare il 112. Il tecnico ha l’apparente età di 15 anni, mi dice che la mia richiesta non gli ha fatto impressione perchè ormai non si fida più nessuno. Ha una tuta Italgas, un badge Italgas, una borsa Italgas e guardato a vista da me che non lo mollo un attimo – effettivamente sostituisce il contatore.

Mi offro di fargli il caffè per farmi perdonare, rifiuta con un filo di sdegno e se ne va portandosi il mio vecchio contatore e tutte le mia paure. Che palle la vecchiaia.

Così è la vita

Ho passato una bella serata, ieri.
Mi sono offerta – non so quanto consapevolmente – di raccontare la mia storia di stalking ad un uditorio misto, persone molto conosciute, altre molto meno.
L’ho letta, dopo aver passato tre giorni a rimettere insieme gli appunti sparsi in tutti questi anni di spurgo.
Non mi ricordo molto bene come è andata, tranne che cercavo di dominare il tremito delle mani mentre abbassavo il volume delle casse che avevano fatto andare qualche battuta di quel pezzo che odio, e le facce sgomente, i corpi immobili e gli occhi lucidi degli astanti, psicologa compresa. Nessuno osava muoversi, mentre sciorinavo il rosario della mia sofferenza, e i motivi per i quali penso ancora che un pezzo non piccolo del guasto fosse dentro di me, che sono stata in modo impercettibile ma decisivo carnefice di me stessa. E di come alla fine quello che ha prevalso è stato l’istinto primitivo di sopravvivenza, quello sepolto nell’amigdala, la lotta disperata del topo per sgusciare fuori dalla saettella che si riempie d’acqua, non il ragionamento razionale dell’homo sapiens.

Mi ricordo bene però alcuni abbracci stretti, dopo, diversi, di gente che sa tutto di me eppure non mi aveva mai abbracciato così. E i molti complimenti per lo stile della scrittura, che aveva reso bene, credo, quella lotta disperata.

Mi devo decidere a pubblicarlo, quel racconto.

Colonna sonora gentilmente offerta da Mariella Nava.

Paura di volare / 2

Ci deve essere sicuramente un motivo per il quale ho l’impressione che odio viaggiare. 

Ci deve essere qualcosa dietro, o meglio dentro, a questo buco allo stomaco che mi prende quando comincio a fare la valigia, sia pure per un’occasione che dovrebbe essere piacevole, come una vacanza. 

Ci deve essere un perchè per il mio improvviso amore per la routine di tutti i giorni, e un perchè per il pensiero ossessivo che comincia a prendermi che è “l’ultima volta che”
– parcheggio sotto l’ufficio
– pranzo con i miei
– rientro a casa la sera 

perchè c’ho ‘sta caga? 
forse perchè devo prendere un aereo diretto negli Stati Uniti?  

mettendo momentaneamente da parte l’antipatia che alcuni di voi provano nei miei confronti, mi confortereste un pò? (si accettano consgili zen sulla respirazione atta a ridurre stati d’ansia)

no farmaci 

grazie

Mondo, giorno

Ma è solo un momento, appunto.

Poi mi rendo conto che non sono libera di passare la domenica con l’uomo che amo e risprofondo nella depressione. Ho anche paura di volare, e invece fra una settimana prenderò ben due aerei di cui uno intercontinentale per un totale di quasi 12 ore col culo per aria che è una cosa innaturale perchè se Dio avesse voluto farci volare ci avrebbe fatto spuntare le ali, no?  per andare da mia sorella, udite udite, portandomi dietro mamma e papà.

Sarà un disastro da cui non mi riprenderò se non a forza di pillole grigie il cui nome finisce in -tox o -ina.