Mio nonno materno faceva il direttore amministrativo di un ente di beneficenza chiamato Pio Monte della Misericordia, a Napoli. Il Pio Monte aveva una sede a Casamicciola, sull’isola d’Ischia, nella quale era possibile per i napoletani piu’ indigenti fare cure termali a spese dell’Ente, che “riciclava”, per così dire, le profumatissime rette che pagavano, per fare le stesse cure, gli ospiti della I Classe. Mio nonno veniva mandato in missione a Casamicciola nei mesi estivi, e con la missione medesima poteva permettersi di portare in vacanza li’ la sua famiglia, affittando una casetta.
Il Pio Monte a Casamicciola, un gigantesco edificio di tufo, oggi e’ un rudere semi abbandonato di cui si conserva a stento la facciata, e la targa di marmo, imponente: il resto e’ invaso dai rovi, dalle erbacce, semi cadente, sfondato, dimenticato.
Ho passato una mattinata intera a girovagare fra i ruderi che, come e’ noto, sono tra l’altro una mia passione personale. E’ difficile raccontare l’emozione che ho provato a salire le stesse scale, a toccare le stesse porte, a calpestare gli stessi basoli che deve avere calpestato mio nonno, ogni estate per 15 anni, piu’ di 40 anni fa. Ho provato ad immaginare come doveva essere il palazzo quando aveva ancora i suoi stucchi, i suoi intonaci, quando i portoni erano lucidi e incorrotti, come doveva essere camminare per quelle stanze, che dovevano essere strutturate a meta’ fra il sanatorio – ospedale e l’ostello – collegio, visto che i candidati alle cure avevano diritto anche a vitto ed alloggio. Ho provato a sentirmi una di loro, una pensionante, a spasso per quei cortili dopo aver fatto fanghi curativi e inalazioni, a passeggio per quella via la sera, dopo aver messo il vestito buono ed essersi assicurate di avere con se’ un ventaglio.
L’edificio è interamente ricoperto di ponteggi, il che farebbe ben sperare per una qualunque ristrutturazione verso un qualunque riutilizzo, stazione termale, ostello della gioventu’, grande albergo. Ho fermato un indigeno e l’emozione si e’ fatta nodo alla gola quando gli ho spiegato perche’ ero li’ e perche’ chiedevo spiegazioni, e lui – il mondo e’ davvero piccolo – mi ha dichiarato di essere il figlio dell’ex custode del complesso, e di ricordarsi perfettamente di mio nonno. Neppure lui, pero’, ha saputo dirmi cosa vogliono farne, del vecchio e malandato Pio Monte: pare che il Comune avesse avuto fondi sia per Italia 90, sia per il Giubileo, ma non ha saputo o voluto utilizzarli. I ponteggi, non si faccia illusioni, signora, sono li’ da almeno dieci anni.
Mio nonno e’ morto nel 1985 e il suo mito di uomo buono e colto, esperto enigmista, che mi teneva sulle ginocchia insegnandomi i nomi delle cose mentre lui risolveva le sciarade (10 lettere, Mi sembra il Dio bifronte = Parmi Giano), che scriveva lettere su una enorme Olivetti e fogli di carta velina con la carta carbone in mezzo, ha aleggiato su tutta la mia infanzia felice.
E poi mia madre: mia madre in quegli anni e’ stata adolescente. Ho ripercorso la stessa passeggiata che doveva fare lei la sera, quando andava a prendere il gelato da Calise, in Piazza Marina, con quei vestiti stretti stretti in vita e la gonna larga, a campana, i tacchi a spillo, il seno bene in vista (“la Sophia Loren dei poveri” la chiama quella irriverente di mia sorella dopo aver visto le foto di mia mamma a 17 anni), la borsetta col manico corto. Mi saro’ seduta nelle stesse sedie da bar? Avro’ preso il sole sullo stesso pezzetto di spiaggia? Avro’ guardato gli stessi panorami? Il passato mi affascina, mi attira, mi ricorda chi sono e da dove vengo.
E non e’ una fortuna da poco.
Dunque, ritorno da Ischia.
L’Isola Verde, culla vulcanica di acque termali.
La prima cosa che ti colpisce a Ischia sono gli odori. Che sono essenzialmente tre, spesso si mescolano fra loro ma non tanto da non poterli distinguere:
gelsomini. Una nuvola, una valanga di gelsomini avvolge l’isola e fa sì che all’improvviso vi giunga, soprattutto nelle ore serali e notturne, un odore speziato, dolce, antico, che vi avvolge e impedisce di pensare.
fichi, per lo più caduti da alberi incolti, spiaccicati ai bordi delle strade e quindi fermentati. Un odore vinoso, mostoso, dolciastro, ma tutto sommato non sgradevole, se non si pensa alle mosche che banchettano sopra alle poltiglie appiccicose scure semidisciolte
purtroppo, merda, a causa probabilmente di un sistema fognario dalla ventilazione non impeccabile. Ad ogni angolo di strada, è sempre in agguato la zaffata mortale, che guasta fatalmente la poesia dell’angolo di paesino, il muro di tufo a secco, la glicine, gli aranci e i limoni che circondano la chiesetta di campagna.
C’è poi per tutta l’isola un vago sentore di agrumi, una nota secca e amarognola carica di promesse non mantenute, di quello che l’isola potrebbe essere e non è.
Per esempio, potrebbe essere un posto dove puoi fidarti ciecamente di quello che ti viene detto, e affidarti agli isolani che gestiscono i servizi, tutti i servizi ai turisti. Sarebbe bello, ma non è così. Insieme ai microtaxi, sui quali mi dilungherò in seguito, è sempre in agguato la microfregatura, mai troppo grossa tanto da chiamare i Carabinieri, mai tanto piccola da potertene dimenticare.
Un piccolo campionario:
decido, in un impeto di autoerotismo, di voler fare un ciclo di massaggi antistress-riattivatori della circolazione-curativi dei dolori alla cervicale. Chiedo quanto costano, e una gentile signora mi dichiara: 18 euro a massaggio. Quando pagherò, alla stessa gentile signora, scoprirò che c’è un sovrapprezzo “per il consumo della crema canforata”. Perché non mi è stato detto? Oppure perché il prezzo non è di 20 euro, comprensivi della crema canforata?
noleggio uno scooter. Dopo 1 km. si accende la spia dell’olio. Certo, potrei tornare indietro, farlo notare al noleggiatore, chiedere un altro motorino, ma la pigrizia isolana e vacanziera ha il sopravvento: mi fermo ad un distributore, e metto l’olio più economico che c’è, che nonostante questo è migliore di quello che nell’albergo che mi ospita usano per condire l’insalata.
in uno scicchissimo parco termale da sceicchi c’è il guardaroba-spogliatoio, con armadietti dotati di chiave per custodire gli effetti personali. L’armadietto funziona così: per chiuderlo, bisogna mettere nell’apposita fessura 1 euro. Ogni volta che lo si apre, per richiuderlo bisogna mettere 1 euro. Il milanese di turno non ci crede, a tanta esosità, e decide di fare la prova, perdendo subito il primo euro. Conviene quindi avere un’ottima memoria o un’organizzazione ferrea, e non lasciare NIENTE che vi serva, durante la giornata, dentro l’armadietto. Oppure non usarlo.
La vacanza, come la vita, andrebbe fatta due volte, per non ripetere nella seconda gli errori della prima.