Sono un’anima semplice, e quando vado al cinema voglio perdermi nello schermo e dimenticare tutto quello che c’è fuori, e sentirmi all’uscita un pò estranea, toh, che strane le luci, la pioggia, che ci fanno le macchine qui?
Sono un’anima semplice, mi piacciono i Pooh e non entro volentieri in una chiesa, mi infastidiscono gli orpelli, le sovrabbondanze, i riti, e quindi non mi sono posta problemi teologali troppo complicati, non ho fatto sforzi intellettualoidi, confesso di non amare molto né Pasolini nè Fellini, non avevo voglia di scandagliare se ne uscivano peggio gli ebrei o i romani, mi sono lasciata andare al ritmo della narrazione, alla luce, al colore, a quel cielo azzurro di velluto, a quei profili di argilla nel vento e di case scavate nella roccia, che mi è così familiare e al tempo stesso era così nuovo e sorprendente.
Avevo deciso di venire al cinema e ci sarei venuta anche da sola, se non avessi trovato nessuno con cui venirci.
Sono un’anima semplice, fuori moda, poco profonda e quindi ho amato il film di Gibson fin dal primo fotogramma.
Mi sono emozionata, mi sono sorpresa con i muscoli irrigiditi sulla poltroncina ad ogni fustigata, mi sono ritrovata con lo stomaco ridotto ad un nodo dolente, mi sono commossa più volte fino alle lacrime, soprattutto di fronte allo spettacolo del dolore e dell’amore materno, così dolce, scabro, così composto e toccante. Di fronte a quel selciato coperto di sangue, che la Madre pulisce con un panno, inutilmente, per stordire la sofferenza con la fatica fisica, e illudersi che pulire il sangue possa servire a far finta che niente è successo.
Sono andata letteralmente in deliquio davanti all’uso del latino e dell’aramaico, l’aramaico soprattutto, di grandissima forza spettacolare nel suo mistero di assoluta incomprensibilità, se si eccettuano le parole Jeoshua (Gesù), Adonai (Signore) e poco altro. Come dimenticare la guardia che scandisce in latino il numero delle frustate? “Vigintiquater, vigintiquinque … triginti!”
Sono un’anima semplice, e quindi faccio considerazioni banali.
– Se davvero quello era il supplizio romano che toccava ai condannati, centinaia (migliaia?) di esseri umani ci sono passati, e non avevano nemmeno la consolazione di sapere che sarebbero risorti.
– C’è molta differenza fra le torture, le umiliazioni, le derisioni inflitte al Cristo e quelle che tutti gli aguzzini del mondo hanno inflitto alle loro vittime? Se si facesse un film nel quale il Mel Gibson di turno decidesse di mostrare tutta la realtà dei lager, ci sarebbero ben altre crudeltà di fornte alle quali chiudere gli occhi. Che io non ho chiuso, comunque. CSI è molto più crudo, e senza nessun alibi ideo-teologico (e mi piace molto anche quello).
Sono un’anima semplice, e penso che la Passione di Cristo sia un grande film.
P.S. Mentre scrivo, sento Bruno Vespa che porge per l’ennesima volta senza vergogna le terga ad una delle più colossali marchette della sua storia di marchettaro, una puntata di Porta a Porta sul made in Italy che da circa due ore sta mettendo insieme le più balorde ed irritanti banalità sulla moda, la cucina, la Ferrari, il calcio, e che fortuna nascere italiani e tutte le altre stronzate che ci raccontiamo quando non vogliamo aprire gli occhi sulla disastrosa realtà che ci circonda. Va tutto ben, madama la marchesa. Era proprio quello che ci voleva, una bella puntata sugli spaghetti, mentre nel mondo reale si giustiziano civili con un colpo alla nuca. Vespa sì, che meriterebbe di finire ridotto come il Cristo di Gibson.