(non avrete mica creduto che in un ufficio con circa 100 anime non ci sia qualche personaggio degno della mia attenzione, vero?)
CERBERO – E’ una donna. Almeno credo. Voci di corridoio alimentano la leggenda che per non meglio precisati e motivati spostamenti interni sia passata da un ruolo marginale (designava le commissioni di valutazione) ad un ruolo dirigenziale per il quale non ha titoli, cultura, esperienza. Altre voci specificano che “ha un problema a trattare con le donne”. L’unica difesa possibile è l’attacco. In un metro e cinquanta scarso di altezza per un metro e cinquanta scarso di larghezza (un cubo, avete capito bene) si concentra quindi tutta l’acidità e la sospettosità dell’universo. Qualunque cosa le si chieda, vi guarderà alzando un sopracciglio fra l’incazzato e il leggermente spaventato, come se le steste chiedendo di scoprire il collo per un’esecuzione – cosa impossibile, peraltro, perchè la testa poggia direttamente sulle spalle senza fastidiose intermediazioni. Invece di salutare, ringhia. Non sorride mai. La sua voce venata di pesanti inflessioni dialettali trapassa il corridoio gradevole come un’unghia su una lavagna, e sta sempre cazziando qualcuno.
Arriva di corsa e passa davanti alla porta del mio loculo. Intravedo con la coda dell’occhio un monolite nero in smanicato trapuntato beige e alzo lo sguardo.
“Tutto bene??” abbaia (pensate un pò, lei è quella che avrebbe dovuto farmi, diciamo così, gli onori di casa).
Mi guardo intorno, guardo la stanza stile interrogatori a Guantanamo, guardo il tavolaccio nudo su cui è poggiato SOLO il MIO portatile, guardo il mobile metallico dentro cui sono blindati e piombati a chiave – che ha lei – una spillatrice, due penne e un mucchietto di elastici, guardo i cassetti vuoti.
“Benissimo” rispondo.
Se ne va ringhiando soddisfatta.
