Però sono un pò triste.
Non avevo mai scritto una lettera di dimissioni fino ad oggi.
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La risposta è dentro di te, però è SBAGLIATA
Però sono un pò triste.
Non avevo mai scritto una lettera di dimissioni fino ad oggi.
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Ieri sera non ce l’ho fatta. Lui è stato impegnato tutta la giornata, a me mi è venuta una botta di timidezza e, diciamolo pure, di tristezza. Lui pareva così mogio e così ben disposto nei miei confronti che mi sono sentita Giuda prima del bacio. Mi convinco che lo sa già, e che il mio ritardo nel comunicarglielo sia per lui motivo di dispiacere. Ci ho dormito su, ma stamattina non ho più scuse.
Quando lui arriva, io sono arrivata da dieci minuti. Senza darmi il tempo di pensare, se no addio, lo blocco.
“Dottore, devo parlarle un attimo”. Lo seguo lungo tutto il corridoio dalla mia stanza alla sua. Il Miglio Verde. ![]()
“Cose belle o cose brutte?” esordisce lui ancora prima di sedersi
“Dipende da che parte si guardano”. Vigliacca. Si siede e mi incoraggia a parlare con un gesto della testa.
“Abbiamo un problema”. Silenzio. Mette a posto carte, meccanicamente. Mi guarda dritto negli occhi. Mi sento Gulliver nella fase minima.
“L’anno scorso ho partecipato ad una selezione alla Regione per esperti di valutazione e monitoraggio di Programmi Operativi Regionali”.
“E allora?” Lo sapevo, fa finta di non capire. Fetente.
“E allora mi sono utilmente collocata in graduatoria” Oh mamma, e da dove è uscita ‘sta frase da burocrate? Arrossisco, e mi correggo rapidamente:
“Insomma, ce l’ho fatta” prima che mi manchi definitivamente il respiro sotto il suo sguardo indagatore, e prima che possa dire un altro “E allora?” che già gli vedo formarsi in gola, precipito il resto della frase:
“E quindi vorrei modificare i nostri accordi contrattuali in modo da consentire a me di fare quest’esperienza nella pubblica amministrazione e a alla XY Spa di non rimanere di culo per terra, mi scusi la franchezza. So di non essere indispensabile, ma in questo momento il lavoro che sto facendo qui mi piace, e non è mia intenzione andarmene definitivamente. Possiamo trovare un accordo diverso etc. etc. etc.” Mi fermo, senza fiato.
Lui prende la fida stilografica e svita il cappuccio. Buon segno, vuol dire che si predispone a scrivere e quindi che sta riordinando le idee. Fa sempre così quando è messo di fronte ad un problema. Apre un blocco, e schematizza, con inchiostro blu MontBlanc. Mi dice un sacco di belle cose. Che gli dispiace, certo, ma è ben contento ed orgoglioso di me, per questo risultato. Che i nostri rapporti futuri dipendono da me, dai miei progetti di vita, da quello che voglio fare. Che devo essere io a studiare la situazione alla Regione e a proporre a lui il tipo di accordo che dobbiamo raggiungere. Mi dà consigli. Alla fine vorrei abbracciarlo, se la sua rudezza contadina non me lo impedisse.
Insomma, alla fine gliel’ho detto, al Kapo. E mi sento come se fossi dimagrita di dieci chili (vabbè, magari, questo non è successo, purtroppo, ma insomma mi sento più leggera). Un grande Kapo, davvero.