‘O bbattezzo

Domenica, pranzo in un ristorante appartenente alla categoria, diciamo così, “vorrei ma non posso”. Stucchi, marmi, patine dorate, una diabolica porta senza molla che la fa rimanere spalancata, provocando uno spiffero gelido puntato dritto sulla mia faccia. Le famiglie (numerose) che lo occupano mostrano un tasso preoccupante di infanti scatenati, che dopo i primi 15 minuti arrostirei volentieri sulla griglia al posto dei totani. C’è un tavolo ancora vuoto che, si vede, ospiterà un qualche gruppo numeroso e festeggiante una qualche ricorrenza.

E infatti.

Arrivano alla spicciolata. Il sovrappeso, come nota giustamente non so più quale sociologo, che una volta era la prerogativa delle famiglie benestanti, è ora segno distintivo dei ceti medio-bassi, soprattutto dal punto di vista culturale (per favore non mi fucilate, è una generalizzazione, e non è manco la mia, sono sovrappeso pure io). Gli abbigliamenti spaziano dall’urban cowboy (pantaloni rosa borchiati a vita bassa, giacchetta di pelle rosa sul punto di esplodere) al padrino parte III (completo blu con spilla d’oro a forma di cavallo rampante sul risvolto del doppioppetto). C’è anche una versione posto moderna di Maga Magò, con scarpe bianche con tacchi grossi quanto un pilastro della Tangenziale e caschetto raffaelliforme. Le bambine sono tutte piccole veline, magliettine corte, pancine scoperte, stivalettini a punta, capelli mechati e sapientemente spioventi sulle faccine, alcune truccate (10 anni). Ma ad un tratto si apre la porta ed entrano …

– la mamma della battezzanda (perchè di ricevimento di battesimo sembra trattarsi). Il modello che indossa è un incrocio fra lady Macbeth e Crudelia Demon: gonna plissettata con strascico color oro antico, corpino ricamato in oro e argento senza spalline, scialle di tulle dorato. Ed è un battesimo, in pieno giorno. Trucco oro con sfumature ramate, capelli biondi raccolti in cima alla testa e lasciati ricadere in voluttuosi boccoli sulle spalle nude. Un metro e settanta, intorno ai 90 chili. Regge in braccio

– la battezzanda. La povera bimba respira a stento in mezzo al tripudio di trine, volant, tulle e ricami di cui è ricoperta. A completare l’opera, una cuffietta trapunta d’argento. Impossibile distinguere le varie parti del corpo. Solo la faccia fa capolino, ed è una faccia gistamente urlante e piangente.

– la madrina di battesimo. Per non essere da meno della mamma, ha puntato sull’effetto verginale: bianca la lunga gonna di seta con strascico, bianco il corpetto trapuntato, bianca la giacca sportiva, che non ci azzecca nulla con  il resto. Un metro e 50, non più di 35 chili, messa vicino alla mamma della battezzanda sembrano due pezzi della matrioska, e non consecutivi.

– il padre della battezzanda e il padrino di battesimo. Uguali, forse fratelli. Capelli gelatinati e lunghi fino alle spalle, baffetto spiovente alla Gengis Khan, completi blu con i baveri ricamati di paillettes dorate. Camperos di pelle stile camionista de Il Duello di Spielberg.

Sono troppo affascinata per continuare a mangiare

L’inauguraZZione

Madre santa, finalmente ho finito. Non voglio più vedere le 4 operazioni per almeno un mese. Ho passato il fine settimana lontano dai rendiconti, nel tentativo di rilassarmi un pò, ma vi giuro che mi è capitato di svegliarmi di soprassalto nel terrore di avere conteggiato anche i contributi previdenziali e l’IRAP nel calcolo per determinare il costo orario dei dipendenti. Cose così, insomma.

Lunedì sera sono andata all’inaugurazione di un ristorante a Napoli, zona Astroni, dove Ferdinando di Borbone andava a caccia di cinghiali. Bel posticino, in alto, con terrazza panoramica. Vabbè, vista Tangenziale, mica si può avere tutto. Quando arriviamo, ci rendiamo conto che c’è una discreta folla e sono tutti fuori, perchè l’ingresso è sbarrato da parroco regolamentare con ostensorio per benedizioni. Ma lui non si accontenta, no: ci mette anche un bei 20 minuti di sermoncino sul valore del lavoro, paralleli fra mensa corporale e mensa spirituale, e altre amenità del genere. La temperatura esterna, complice il venticello promaverile, si sta rapidamente abbassando. Le signore, alcune francamente esagerate, in abito da sera tutte tempestate ti tiamanti, battono i denti, ma nulla riesce ad arginare la foga oratoria del prelato. Ci pensa il proprietario, che secondo me si è pentito di avere chiesto la benedizione divina, che dichiara chiusi i preliminari, sequestra il batacchio con acqua santa al parroco, taglia il nastro e tutti dentro.

Dopo 15 secondi è già ressa di stampo sovietico, ma con sgomitamenti molto italiani e camorrismi e parolacce molto napoletane. La bagarre è tale da travolgere bambini e camerieri, riuscire a prendere qualcosa non è niente, il problema è uscire dalla calca senza versarlo addosso alla signora ingioiellata e senza uccidere bambini a forchettate. Rinuncio dopo 30 secondi netti, propongo al mio compagno una pizza, possibilmente lontano dagli Astroni.

Ci fermiamo ad Agnano, alla Pizzeria del Fantino (eh, lo so), insieme a militari americani, stallieri albanesi e delinquentelli generici, e tentiamo per tutta la serata di convincere il proprietario che il mio amico non è Oreste Lionello. Quando chiediamo il conto, dichiarando che abbiamo un pò fretta, commenta: “Eh, ‘sta vita di teatro, eh? Mai un momento per fermarsi!” e sospira. Gli firmiamo il menù.