Freedom!

Andare in bici a Giugno nell’area ciclabile del Pantano è un’esperienza psichedelica. L’aria è satura di odori e colori che stordiscono. L’odore marcio dei fiori dell’edera, l’acuto dolciastro del caprifoglio, il pungente leggero del finocchietto, e il mio preferito, il fresco stordente delle ginestre.

Tutto è blu di un blu intenso, o giallo carico. Il lago spicca in mezzo agli alberi come se fosse dipinto, e la tentazione di fare finta di non avere visto cartelli e divieti ed andarsi a stendere sul molo, come facevamo da ragazzi, per prendere

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il sole o pescare, è fortissima.

Già, i divieti. Come è possibile che “protetto” significho “vietato”? non c’è un controsenso, in tutto questo? 25 anni fa non esistevano barriere di cemento, al lago Pantano: si arrivava

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con i motorini fino sulla riva, in quelle mattine di festa regalata che erano gli “scioperi”, di cui nessuno conosceva il perchè. Si mettevano i piedi nell’acqua, si giocava, si rideva, si mangiava, si faceva l’amore e non ricordo che quando andavamo via il lago fosse più sporco, o meno “protetto” di quanto sia ora.

Faccio bikeschool con un amico semi professionista, e realizzo che sbagliavo tutto coi rapporti del cambio. Forte di rinnovato vigore quadricipite, mi lancio in corsa e quando prendo una discesa, quando posso rilassare la pedalata e alzarmi sul sellino, mi sento padrona del mondo, con il vento che mi fischia addosso senza potermi fermare.

Provavo la stessa sensazione a 15 anni, quando andavo a sciare: dopo l’infame scaletta dei principianti, dopo l’emozionante skilift della prima pista, quella dei semi principianti, il terrorizzante skilift della seconda pista, quella dei quasi professionisti, potevi concederti un minuto di discesa semilibera su una pista larga affiancata dal bosco (le misure di sicurezza sarebbero venute dopo, molto dopo). Il vento in faccia, il cielo azzurrissimo, gli sci che correvano, l’odore di neve e resina di pino, insomma la libertà.

Totale ed incondizionata.

Una domenica come tante

Innazitutto, è arrivata l’estate. Fa caldo. In genere non amo il caldo, però ho le ossa talmente intrise d’acqua da quasi sei mesi di ininterrotta pioggia mista a neve e tanto freddo, che mi prendo pure i 30° senza fiatare.

Vado in bicicletta sul lago munita di cardiofrequenzimetro, voglio proprio vedere dove vado a parare. Con mia enorme sopresa, le pulsazioni, anche sotto lo sforzo di brevi salite o di gare di velocità coi semiprofessionisti che popolano il lago di domenica, non va oltre i 75-80 battiti al minuto. Possibili ipotesi:
1. non faccio abbastanza fatica, nonostante a me sembra che mi stiano per esplodere i polpacci;
2. il cardiofrequenzimetro è posizionato male, oppure non funziona (questa tesi è avvalorata dalla circostanza che mi fermo per riempire di acqua la borraccia ad una fontanella, e quando risalgo in bici il quadrante segna 160. Cioè secondo lui quando mi spolmono in bici il cuore batte piano e quando mi fermo il cuore sta per esplodere)
3. ho un cuore da atleta, dopo tutti questi mesi e anni di attività aereobiche pressochè ininterrotte anche se non maniacali.

Non so perchè, ma la prima e la seconda tesi mi sembrano leggermente prevalenti sulla terza.

Altre domande domenicali:
– perchè le lucertole aspettano sempre che io stia per passare, per attraversare la strada? ho mozzato almeno un paio di code con le ruote della bici
– perchè i bambini e  i loro genitori si fermano sempre a metà della salita, occupando tutto lo spazio disponibile, in modo che io non possa prendere la rincorsa senza rischiare di arrotare infanti e travolgere biciclettine rosa con le rotelline?
– è davvero così difficile comprendere il concetto di “tenere la destra”?

In realtà sto rimuginando da ore su una cosa successa la mattina. Presto. Sono le 8:30 e io sono ancora a letto, intontita dalle libagioni e bagordi della sera precedente. Bussano alla porta, che è già un avvenimento che ha dell’incredibile, mai nessuno viene a trovarmi a sorpresa. Mi alzo, mi rendo vagamente civilmente presentabile, guardo dalla spioncino.
E’ il ragazzo che abita al piano di sotto. Un ragazzo “figlio della Madonna” come avrebbe detto mia nonna, ovvero con qualche leggero problema mentale, intuibile dal fatto che ride sempre di una risata stridula e forzata, dal tono di voce infantile, dal fatto che ripete spesso due volte le frasi. Io non so nemmeno come si chiami di nome: so che viveva nell’appartamento sotto al mio con la mamma e la nonna, che sono morte entrambe nel giro di qualche mese. Esisterebbe un padre, che però vive altrove. Poche informazioni che mi sono state fornite, senza che le chiedessi, dalla sua padrona di casa, e dopo che tutto era accaduto. Io lo vedo solo una volta ogni due mesi quando sale a portarmi la quota condominiale, e io ogni volta gli dico “Salutami mamma”. L’ho fatto anche l’ultima volta, senza sapere che era già orfano, tanto per dire quanto il farsi i fatti propri può portare a devastanti gaffe condominiali.

E’ presto per portarmi i soldi del condominio, però penso che possa avere bisogno di aiuto, e, anche se un filo inquieta, apro. Il surreale dialogo che ne segue viene trascritto testuale:

IO: “Ciao”
LUI: “Ciao. Senti, siccome non ho nessuno con cui mangiare a pranzo, mangiamo insieme?”
IO: ” …… ”
IO: “Mi spiace, ho già un impegno, a pranzo. Scusami”
LUI: “Vabbè. Ciao”
IO: “Ciao”

Richiudo la porta (a chiave) e torno a letto. Inizia subito un vorticoso dialogo fra me e la mia coscienza, che mi morde a sangue, bastarda.

Ma poveraccio, che pena. Si vede che il padre e tutti i suoi amici se ne sono andati al mare, e gli hanno detto: arrangiati. E forse per scherzo hanno aggiunto: perchè non inviti la signora del piano di sopra? Dovevo dirgli di sì, e trovare una soluzione. Ma sei pazza? Non so manco come si chiama: e se fosse pericoloso? e se anche non lo è, e se poi ti si attacca? potrebbe venire a chiedere di mangiare con te tutti i giorni.  Non mi posso permettere di fare da balia al mezzo scemo, non ci pensa il padre, ci devo pensare io? ma almeno fosse venuto il padre, a chiedermelo! sai che potrei fare? comprargli o preparargli qualcosa da mangiare e portargliela. Ma dai, non ci credo che lo hanno lasciato col frigo vuoto, è proprio che non voleva mangiare da solo! e così mi sento ancora più merda e liquame di fogna. “Tutto quello che farete ad uno di questi miei fratelli sfortunati, lo avrete fatto a me ..” Ma minchia, proprio ora mi deve tornare in mente il Vangelo? Mettiamola sul laico, allora: dove sono i servizi sociali che dovrebbero consentire a ‘sto poveraccio di non andare a fare richieste del genere? Io adesso chiamo la sua padrona di casa, se non mi sbaglio sono mezzi parenti, è per questo che gli ha fittato l’appartamento. Non sono manco le nove, non è ora di chiamare la gente di domenica mattina. E poi ricordati: i gionali sono pieni di gente che voleva fare la caritatevole, ed è finita sgozzata o stuprata. Io vivo sola, non mi posso permettere troppa confidenza con gente che non conosco, e per di più un pò strana. Balle: sei solo una stronza egoista razzista prevenuta, voglio vedere se veniva George Clooney, a farti la stessa proposta, se dicevi di avere un altro impegno. E te ne fotti del tuo prossimo. Te ne lavi le mani. Non è vero: ho solo paura, ecco. “Siccome non ho nessuno con cui mangiare.. ” … Terribile. Nessuno dovrebbe essere costretto a dire una cosa del genere.  Ma infatti nessuno la direbbe, se fosse normale: a riprova del fatto che ‘sto tizio è strano, in effetti. E se tutto questo buonismo fosse inutile? Se il mezzo scemo in realtà fosse un marpione che vuole chiuderti dentro casa sua e seviziarti per tre giorni? Magari con la complicità di altri? Dietro quella facciona inoffensiva, quella vocetta da castrato, potrebbe nascondersi il mostro di Milwakee? E che fai, la leghista, adesso? la nazista? la spartana? lo vogliamo buttare giù dalla rupe, il giovanotto, perchè è praticamente solo al mondo?”

Vi risparmio le tre ore successive di elucubrazioni, tutte sullo stesso tono, e sicura di deludervi enormemente confesso che alla fine non ho fatto assolutamente niente: non gli ho portato roba da mangiare, non ho telefonato alla sua padrona di casa. Ho vissuto la mia domenica come tutte le altre. 

Ma non ho smesso di sentirmi una chiavica.