In un sottotetto della stessa Chiesa dove era stata vista l’ultima volta da viva, il 12 settembre del 1993. Un secolo fa.
L’hanno trovata lì dove tutti hanno pensato prima o poi che potesse essere, lì dove nessuno però l’ha cercata, o dove l’hanno cercata, ma evidentemente molto male. Nessuno riesce capacitarsi di quanto ci siamo passati vicino tutti, a quel sottotetto, di quante volte siamo entrati in quella chiesa, di quante volte amici e parenti, proprio lì, in quella chiesa, hanno pregato per lei.
Alla scomparsa di Elisa, per una serie di giri impietosi che fa il caso, devo un pezzettino di un altro incubo, che mi ha riguardato molto da vicino, un incubo al quale ho rischiato di soccombere. Come se una volontà che non voglio pensare divina avesse deciso che la sofferenza di una sola famiglia non era abbastanza, era necessario attaccarci un’appendice di dolore.
E adesso che l’hanno trovata, non riesco a non provare un sottile disagio, che si materializza in un indefinito senso di colpa. Colpa, sì. Come se non avessi fatto abbastanza per cercarla, per trovarla, per partecipare, per spingere, per sostenere. Mi sento colpevole di aver vissuto la mia vita dal 1993 ad oggi, mentre lei ammuffiva in un sottottetto umido e sporco, proprio sopra le nostre teste.
Dedico questo post a Elisa, morta lottando – credo, spero che sia così – a soli 16 anni, ai suoi fratelli, con i quali ho condiviso un pezzo di sofferenza, alla mamma, che non ha mai smesso di lottare e adesso può piangere in pace, o arrendersi, lasciarsi andare e provare a morire anche lei, di fuori, visto che di dentro è già morta da tanto. Dal 12 settembre del 1993.
Ho freddo, è ancora inverno.
La colonna sonora di stasera è offerta da Franco Battiato e Fabrizio De Andrè
