Game over

Vabbè, scherzavo. E’ che sono stanziale, il nomadismo non è nei miei geni, e le partenze mi mettono sempre un pò di agitazione. In realtà ho volato senza battere ciglio, riuscendo perfino a non urlare al decollo e al ritorno addirittura scegliendo un posto vicino al finestrino, usandolo, perfino, per guardare fuori. Tzè.

Al mio ex amico di vecchissima data dal cellulare del quale sono partiti ieri a freddo due o tre sms assurdi (non trovo altro termine più adatto, atto a rendere il mio sbalordimento) indirizzati alla mia persona, vorrei tanto poter dire che spero avesse bevuto, e molto, anche, che la sorpresa e la delusione sono immense, che a 42 anni forse – ma forse, eh – sarebbe anche arrivato il momento di crescere. O di sorvegliare meglio il cellulare, perchè quei messaggi sono stati così stonati con la sua persona, così diversi da come lo conosco, così diversi da quelli che ci eravamo scambiati negli ultimi anni, così diversi da come credevo di poter definire i suoi rapporti con me, che spero – ma debolmente – che sia stato un altro a scriverli. O un’altra.

Anche in questo caso, comunque, game over.

Ok, no panico

Mi appresto a prendere due aerei nel giro di 48 ore, con due amabili persone di 70 anni circa ognuna, due tonnellate di valigie di cui due partono, una si ferma a Milano, una torna con me, esattamente la sera dopo un mega disastro aereo nella civile Europa non nella lontana Papuasia, l’annullamento dei biglietti RyanAir, tempo incerto, cavallette, fiumi mutati in sangue, Sodoma e Gomorra.
Già mi vedo con la flebo di Lexotan al braccio e i capelli dritti che cerco di convincere il poliziotto al controllo bagagli che una pinzetta per i peli non può essere usata assolutamente come arma di offesa.