Questi studi mi faranno ricca, lo sento

Il mio impegno dei prossimi mesi: mettere a punto un algoritmo che mi consenta di mantenere un perfetto equilibrio fra (socievolezza + necessità di mantenimento di relazioni) vs. (sfrantamento di maroni dovuto alle richieste non pertinenti altrui).

Mi spiego meglio.

Sono una persona naturalmente socievole e disponibile verso il prossimo. Faccio amicizia facilmente, sorrido quasi sempre, sono generosa e perlopiù altruista. Inoltre, per una serie di motivazioni legate al mio lavoro (due soprattutto: 1. è un lavoro di relazione, comunque, e 2. è un lavoro precario, che potrei perdere abbastanza facilmente) è mio interesse mantenere viva e vitale una rete di contatti più o meno amichevoli, si sa mai in futuro. Come dice un mio amico, “noi consulenti” (ahah) viviamo di visibilità, ovvero di far capire a quanto più mondo è possibile che siamo bravi, affidabili, leali, onesti, bravi (l’ho già detto?).

Le due cose insieme in sè sono tanto buone: ma accoppiate, come può succedere anche nella procreazione, generano un mostro che si nutre di tempo. Il mio.

Ci sono giorni nei quali a fine giornata mi rendo conto di avere speso più ore a risolvere problemi altrui, a fare piccoli o anche piccolissimi favori, a offrire spalle su cui piangere (e fazzolettini per soffiarsi il naso) che non a farmi gli stracazzacci miei. A fare il mio lavoro. Intendiamoci, è colpa mia: basterebbe dire NO di fronte all’ennesimo “Per favore, potresti?..”. Anzi, vi dirò di più: talvolta mi caccio nei guai da sola, offrendomi di fare cose che non è necessario che io faccia, per poi scoprire che ci voleva molto più tempo di quello che avevo immaginato. E a quel punto è tardi per tornare indietro.

Siccome non voglio soccombere di fronte alle richieste MA voglio mantenenere intatta la mia aura di persona affidabile und disponibile (perchè poi diciamocelo, è bello quando trovi il documento che nessuno sapeva dov’era, scovi l’informazione che nessuno era stato in grado di dare, vedi la luce della consolazione negli occhi dell’amica che ti ha intrattenuto due ore con le sue traversie semtimentali, congedi con pacca sulla spalla il collega che nessuno riesce ad ascoltare più di 3 minuti – tu nemmeno, ma hai avuto pazienza), mi serve un algoritmo, che mi misuri ogni giorno con esattezza quanti minuti posso dedicare ai cazzi altrui, e quanti invece devo lasciare per i miei, in modo che tutti continuino a pensare che sono gentile e disponibile e generosa e garbata ma non mi prendano per il culo, però.

Un algoritmo del perfetto equilibrio fra me e il mondo.
Un algoritmo che preveda delle priorità, che per esempio fra la mamma e il collega di cui sopra faccia prevalere la mamma, che tra la mamma e il moroso faccia prevalere il moroso, che tra George Clooney e chiunque altro al mondo faccia prevalere Geroge Clooney (questo magari ce la faccio da sola, a capirlo), e che tenga quel collega di prima comunque sempre in coda alla classifica.

Questa formula mi farò ricca, lo sento.
Poi la minutazione dovrei rispettarla, comiunciando a dire appunto un po’ di no, ma vabbè, ci porremo questo problema più avanti, miei piccoli fans.
Vado a studiare l’algoritmo.

Holding back the years

Nevica, sottile e vischioso.

Le nuvole bassissime e gonfie di qualcosa hanno cancellato metà panorama: scomparso il massiccio della Sellata, scomparsa Pignola, scomparso il crinale del centro storico.

Una indefinita malinconia mi pesa addosso, sono metereopatica e do la colpa al tempo.  Atmosferico, meglio specificare, che pure quello cronologico non è che c'entri poco. Conto in avanti e conto alla rovescia: due conti diversi che si incrociano e mi spingono a praticare con urgenza forme artificiali ma efficaci di divertimento, a seppellirmi di amici e chiasso e telefonate e giri di carte e risate.  Mi distraggo. Anestetizzo.

Dio è morto e occorre elaborare il lutto, attività nella quale sono professionista affermata.

Perchè poi alla fine arriva la stanchezza.
E insieme alla stanchezza arriva la consapevolezza che comunque una simile gelida abissale anaffettività non avrei potuto modificarla nemmeno di un soffio, perchè ci sarebbe voluta una volontà di ferro per fare il primo passo, per tendere una mano, il che a sua volta avrebbe presupposto il riconoscimento della necessità di un cambiamento, e la ferma volontà di avviarlo.

Fantascienza. Roba che manco a Lourdes.
E comunque io miracoli non voglio più provare a farne.

La colonna sonora di oggi è gentilmente offerta da Mike Hucknall & Simply Red.

 

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Teachers

Un tavolo da riunione, io, Stelvio, un Preside ganzissimo nel suo ruolo da School ManaGGer, dei professori di una scuola superiore di provincia. Sono le 16:00, abbiamo mezz’ora abbondante di ritardo. Esaminiano nel merito dei progetti.
Io, che ho avuto una mamma insegnante, so già cosa sta per succedere: a breve il fattore tempo diverrà un fattore incombente ed ineludibile, i professori sono l’unica categoria di interlocutori che ho avuto finora che non hanno il benchè minimo interesse, nè motivazione, a tirare tardi. E magari hanno ragione.

E infatti, già all’analisi del quarto progetto su sei tutti sono inspiegabilmente e concordemente d’accordo su qualunque cosa gli si illustri. Per puro prisho, sarei tentata di descrivergli un progetto dal titolo “Gulag Style” nel quale gli alunni vengono fatti marciare nella neve e poi privati di cibo acqua e sonno in celle dove possono stare solo in ginocchio, solo per sentirmi dire che è perfetto, andiamo avanti?

L’analisi del piani finanziari, che di solito rende la gente cavillosa e rompicoglioni, li vede sempre più concordi e privi di obiezioni, ormai sono sei teste che senza guardarsi viaggiano all’unisono sul ticchettio dell’orologio da parete, capaci solo di annuire. Al termine della disamina, raggiunta con un sospiro di sollievo più concorde che mai, il Preside si dichiara soddisfatto, ci alziamo tutti in piedi, lui ci stringe la mano e poi con sguardo da vero ManaGGer e voce dura dichiara: “I colleghi del gruppo di lavoro, per favore, fermatevi, dobbiamo discutere ancora di qualche cosetta”.

Cala il gelo intorno al tavolo.
Io e Stelvio ce ne andiamo ridendo come i pazzi e lasciandoci alle spalle un tavolo da riunione, uno School ManaGGer, e sei statue di cera prossime alle lacrime.