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Dialogo fra Cambianeve e la sorella americana.

Cambianeve: Questo pacco di farina comprato ieri se quando ce ne andiamo non lo abbiamo svuotato me lo porto
Sorella: Perche’

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mi vuoi privare della potenzialita’ di fare un manicaretto, prima o poi?
Cambianeve: Perche’ il pacco precedente che abbiamo buttato ieri te lo ha comprato tua madre nel 2008, l’ultima volta che e’ stata qui. Ed era praticamente pieno.
Sorella: Non hai le prove che fosse lo stesso
Cambianeve: Tua madre l’ha riconosciuto
Sorella: Ah, vabbe’

Accade nel we

Contro il logorio della vita moderna, niente di meglio che chiudersi per 12 ore in una ben ventilata stanza a depravazione sensoriale. Se ne esce ritemprati nel fisico, con l’ego a pressione come

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le gomme di una bicicletta, e una sana voglia di mettere un pò di i sotto i puntini, come diceva Totò.

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Importanti membri del gotha del PD locale si tengono in forma sudando paonazzi sotto il sole di mezzogiorno, lungo la pista ciclabile del lago Pantano.
Non mi stupisce.
Se non lo sanno loro, che vuol dire soffrire…

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Trentanove anni fa, più o meno a quest’ora, dopo tre anni e tre mesi circa di incontrastata tirannia, smettevo di essere figlia unica e mi veniva regalata una sorellina tutta nuova. Adesso ci divide addirittura un Oceano e mi manchi, come sempre, come tutti i giorni.

Tanti auguri, piccina, buon compleanno 🙂

Una piccola settimana perfetta

Sabato – Un viaggio in macchina fino a Napoli, niente traffico, niente tensione, solo la dolce lustrale pioggia di primavera.

Domenica – Le porte del terminal arrivi di Capodichino che si aprono e la lasciano passare, non la vedo dal 3 gennaio. E’ un pò dimagrita, estranea, ma ridiventa mia sorella in 13 secondi, appena mi abbraccia e mi saluta chiamandomi col nomignolo che conosce solo lei. Un aperitivo a piazzetta Bellini, finalmente il sole, il caldo, un pò di vacanza.

Lunedì – la cuginetta a cui ho dato il biberon e suonato le ninnenanne con il flauto dolce, che ho tenuto stretta quando le è morta la mamma, con la quale ho diviso la stanza quando facevo l’università, vestita da sposa. La più radiosa splendente sposa che io abbia mai visto (se non ci credete, guardate qui. L’emozione di vederla entrare in chiesa, l’emozione di vedere il suo fidanzato prossimo alle lacrime, l’emozione di vederla sorridere serena.

Martedì – in giro per il Vomero a fare shopping, una pizza a Mergellina, ancora sole, caldo, blu, risate e chiacchiere. Poi si torna a casa.

Mercoledì – fare finta che tutto sia ancora come 15 anni fa, in 4 a tavola, in 4 a vedere la TV, lunghe appassionate discussioni, vita, politica, storie cittadine, storie familiari. Il telefono squilla e non chiedono di me. Allungo un piede nel letto e non sono sola. Quando faccio colazione devo stare attenta a lasciare un pò di caffè. Il cielo è sereno, anche oggi.

Giovedì – la via male illuminata dove abbiamo passato tutta la nostra adolescenza. Citofonare in una casa dove si è citofonato 3.500 volte. Aspettare chiacchierando sedute su un muretto tiepido di sole nel profumo di gelsomini, e la certezza di avere ancora 15 anni. Uscire a cena con le amiche di sempre, raccontarsi cosa si è fatto negli ultimi mesi, spettegolare un pò, bere forse un pizzico di troppo, dividersi il conto e ridere senza motivo tornando a casa.

Venerdì – un gelato, una passeggiata in macchina, uscire dal lavoro e viene a prenderti lei anzichè fare tutto da sola. La valigia è già pronta, ma non siamo tristi, sappiamo di essere ancora lì, saldamente ancorate al nostro passato, al nostro specialissimo modo di essere parenti e mancarci e ritrovarci anche a distanza di 6, 12, 15 mesi. Fa caldo, è Giugno.

Sabato – si torna verso la capitale borbonica, il sole ci segue benevolo, alto nel cielo blu. Chiacchieriamo così fitto che il viaggio di solito snervante ci passa in un lampo. Io vorrei che non finisse mai.

Domenica – Un taxi nell’alba grigio perla è la conclusione ormai consolidata della storia. Torno a letto e riesco a non piangere prima di riaddormentarmi. Quando mi sveglio, lei è già quasi a Londra e sta ormai volando sull’oceano, mentre io faccio l’amore.

Oggi, piove.

Impaziente

Ho maturato la convinzione che l’attesa di un evento piacevole ragionevolmente certo è di gran lunga preferibile al verificarsi dell’evento stesso. Che scoperta del cazzo, lo sapeva già pure Leopardi. Ma leggerlo in una poesia è un conto, provarlo sulla propria pelle per poi poter dare ragione a Leopardi è tutt’altra sensazione.

 

Diverso il caso se l’attesa riguarda un evento non certo, quella è straziante, e io, che sono per natura iper impaziente e iper impulsiva, sono fisicamente incapace di aspettare se non so esattamente QUANTO dovrò farlo. Fra i numerosi coccodrilli scritti per la morte di Giovanni Agnelli, ne ricordo uno che sottolineava la sua quasi patologica impazienza: andava a sciare, ma non più di un’ora, andava in vacanza, non più di due giorni, insomma era uno con lo stufamento rapido, quasi ossessivo. Con malcelato orgoglio mi sono riconosciuta nel ritratto 🙂  Infatti sono famosa per portare solo con grande fatica a compimento impegni per i quali mi ero entusiasmata dapprincipio, pessimo difetto dal quale cerco di emendarmi con l’età.

 

Adesso aspetto una partenza, per me piuttosto dolorosa; la persona che parte tornerà a Natale, e già pregusto questi mesi di attesa, molto più leggeri e piacevoli dell’arrivo, e dell’attesa della ripartenza.

 

Ho fatto un casino, sono gli antibiotici, credo ….

Meritocrazia

Ho parlato con mia sorella, in questi giorni, di milioni di cose ma soprattutto di lavoro. Lei è stata assunta da una mulinazionale che si occupa di elaborazione e diffusione di dati finanziari, vive in una non enorme cittadina del MidWest statunitense, guadagna – al cambio di oggi – circa 1.900 euro mensili pagati bisettimanalmente, un venerdì si e uno no, con precisione anglosassone. E già questo mi fa rodere abbastanza i cosiddetti, che purtroppo non ho se non metaforicamente, come qualcuno ha avuto la bontà di riconoscere.
Ma non si tratta solo di questo. Mia sorella ha un’etica calvinista del lavoro, lavorare non le pesa, lavorare negli States era il suo sogno. Però è bello – per lei – vedere come questo sforzo venga riconosciuto. Dopo tre mesi che aveva cominciato, è stata convocata nell’ufficio del capo per ricevere un elogio formale perchè da “rilevazioni statistiche” era risultata l’impiegata con il miglior rapporto tempo/rendimento. Anche in virtù di questo, ha ricevuto il bonus di produttività (trimestrale) più alto del suo gruppo di lavoro. E’ venuto il Capo dei Capi Grand’Uff. Lup. Mann. in visita nella sua filiale e lei è stata scelta su circa 250 impiegati per mostrare i metodi di lavoro, il che significa che il Grande Capo si è seduto proprio vicino a lei per 30 lunghissimi minuti a vedere come lavorava (io ho malignato che non è stata lei ad essere scelta, in realtà tutti gli altri hanno fatto un passo indietro, ma era una malignità affettuosa 🙂
In una parola? Meritocrazia. Chi si fa il mazzo tutti i giorni, onestamente, viene premiato. Chi cerca di svicolare, no. Se mi voglio deprimere, potrei fare il confronto con la mia vita lavorativa quotidiana, nella quale tutto quello che si fa, comprese le notti, gli straordinari, i salti mortali è sempre dovuto, è sempre il minimo indispensabile, per l’immeritato compenso che mi viene corrisposto, che vorrei ricordare, è circa la metà di quello di mia sorella, ed è versato se e quando ci sono congiunzioni astrali favorevoli.

Certo, quella dove lavoro io è una piccolissima azienda, e quella di mia sorella è una multinazionale, ma se questo può giustificare i tempi dei pagamenti, e l’entità, certo non giustifica l’ATTEGGIAMENTO generale nei confronti dei collaboratori, dipendenti, schiavi, chiamateli come volete. Basterebbe poco. Un complimento alla settimana, e un incentivo economico a fronte di sforzi oggettivi e documentati, fatti peraltro nell’interesse dell’azienda.
Quasi quasi mi trasferisco all’estero anche io…