Notte alta

Notte alta e sono sveglio, diceva quella struggente canzone degli anni '80. Non e' proprio notte alta, ma sono sveglia, comunque.

Mettiamo in fila un po' di cose. Forse poi riprendo sonno. Anche se tra un quarto d'ora mi suona la sveglia e ciao.

Ieri sera.

No, meglio: ieri.

Un rifiuto. Ok, non ho elementi sufficienti per comprenderne fino in fondo portata, valore, volontarieta', peso, limiti. E se approfondisco, viene pure fuori che l'ho buttata li' cosi', e che la risposta negativa mi esonera da qualunque responsabilita', con un certo inconfessabile sollievo. E poi 'ste donne che mi spingono avanti: forse perche' hanno figli maschi. O forse perche' a loro tempo si sono buttate, e gli e' andata bene. Io non sono stata cosi' fortunata ('a cajulella 'e chiummo della Cenerentola di De Simone) e adesso scusate ma non rischio. E poi non c'e' pericolo: come vedete, l'articolo, a quanto pare, non interessa.

Il mortifero inestricabile abbraccio con i disturbi nervosi, ansie, paturnie che mi circondano. Per amore, assecondo, modero, lenisco. Ma e' davvero questa, la via giusta? Ieri sera, alla solita pena si e' aggiunta una dose insospettabile e violenta di rabbia. Ma smettila, avrei voluto urlare, e curati, piuttosto. Non ci pensi a che fine fa la mia vita? A che fine faccio io? La tentazione di prenderla a schiaffi, di prenderla per un braccio e metterla di fronte alle sue responsabilita' mi faceva prudere le mani. Faccio letteralmente i salti mortali doppi tripli carpiati Axel per adattare la mia vita alla sua, e non basta mai. E vaffanculo, allora.

Suona la sveglia. Avevo altre cose da mettere in fila, comunque, ma si sono liquefatte. Meglio così.
Buongiorno?

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Roba vecchia

La pioggia sul finire dell'estate quando fa ancora caldo, come oggi, mi richiama all'istante questa canzone.
Un riflesso pavloviano che ha una precisa radice.
Ha a che fare con l'avere 17 anni, la testa il cuore e quasi tutti gli altri organi interni ripieni di uno sprecatissimo ma totalizzante amore (a 17 anni, se non è totalizzante, che si ama a fare?), case di zii in vacanza, caldo e pioggia, e mezzi di locomozione diversi da un'automobile. Un odore che ricordo ancora ora, se ci penso. Non ci penso spesso, per fortuna.
Poi che fosse sprecato l'ho capito solo molti ma molti anni dopo, per cose che sono successe, appunto, molto dopo.

[io ancora non mi capacito: ma perchè non hai voluto salvare niente, neppure il ricordo, neppure la nostalgia? non sarebbe stato bello, adesso, avere qualcosa di cui parlare? non sarebbe stato bello, adesso, essere due che avevano qualcosa di molto speciale da ricordare? qualcosa di irripetibile: eravamo solo io e te, e per quanto tu ci abbia buttato sopra palate di merda, sempre e solo io e te resteremo]

Al momento mi sembrava meritatissimo, era ricambiatissimo

[questo, almeno, non me lo sciupare]

e ci rendeva, semplicemente, insensatamente felici di stare al mondo e felicemente ignari dell'esistenza di qualunque altra cosa al mondo che non fossimo noi.

Fabrizio De Andrè, Hotel Supramonte

 

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Cosa ho capito, oggi

Mai, mai e poi mai nella mia vita farò il politico. Se non mi sono mai presentata alle elezioni del rappresentante di classe, ci sarà un motivo. Mai, mai e poi mai.

Questa roboante dichiarazione d’intenti mi suona nella testa da quando in una sola giornata ho partecipato a ben due incontri con lavoratori in mobilità in deroga. Non sapete cos’è? E’ facile, bambini: sono quelli che lavoravano in un’azienda che ha chiuso, e quindi prendono un sussidio di disoccupazione che per via della crisi è di durata più lunga e concesso ad una platea più ampia del normale.

Ce n’erano centinaia, oggi. Una marea umana minacciosa e incombente, sia nel primo che nel secondo incontro. Troppa gente per lo spazio ristretto a disposizione.

Quello che credo di aver capito oggi è che una parte (un terzo? metà?) di quelli che erano presenti sono veramente alla canna del gas: padri e madri di famiglia, bollette, mutui da pagare, figli etc.  Si leggeva negli occhi di alcuni di loro la vergogna, per essere lì a capire cosa potevano fare per mettere insieme pranzo e cena. E la tristezza mi legava lo stomaco, mi vergognavo anche io, di essere dall’altra parte di un tavolo e non avere risposte realistiche, solo un tentativo, un abbozzo di aiuto, quello che la normativa ci consente. Un aiuto all’assunzione, un aiuto all’autoimpiego.

Ma ce n’erano altri, molti altri (due terzi? metà?) che mi rivoltavano lo stomaco per la rabbia. Una popolazione drogata da decenni di sussidi, da aiuti passivi, da elemosine di basso valore ma sicure, che non chiedevano altro che continuare a percepirle. Oppure, in alternativa, di poter essere assunti in enti pubblici, per poter continuare a godere, ancora e ancora, di una sinecura che non hanno cercato, nè si sono meritati. Gente che aspetta, passiva e inerte, che qualcosa caschi dall’alto, e che si arrabbia se non casca. E si arrabbia talmente tanto da sobillare tutti gli altri, e trasformare un incontro di promozione di un bando in una aggressione fisica all’interlocutore. Per fortuna una donna, cosa che ha evitato la violenza fisica vera (ma ci è mancato un soffio). Oggi credo di aver visto, per la prima volta con chiarezza, le radici del malessere e della arretratezza di cui sempre siamo stati vittime, come regione e come pezzo di Italia. Meglio pochi spiccioli (pochissimi, fra poco forse niente) ma sicuri + un bel lavoro in nero, che provare a farsi assumere da privati, o provare a mettersi in proprio, rischiando sulla propria pelle. Finchè questo ragionamento lo fanno i sessantenni, alle soglie della pensione, una vita di sussidi, potrei ancora comprendere. Ma i trentenni, mio Dio i trentenni!  Giovani convinti – in buona o mala fede, non ne sono più sicura – che l’Ente pubblico può tutto, che è onnipotente, che può “fare le leggi” solo che lo voglia, e può volere qualunque cosa. Un Ente pubblico che può creare posti di lavoro per tutti dal nulla, oppure può far rientrare tutti fra le sue ampie braccia, solo che lo voglia. E non si capisce perchè non debba volere, e quindi è il caso di arrabbiarsi, e tanto, anche. A che serve il welfare to work? gli stessi soldi, potevate dividerli per il numero dei lavoratori in mobilità, e continuare a dare a tutti X euro al mese, per un altro anno.

Sulla via del ritorno, lo stomaco sottosopra per la rabbia, la sofferenza e anche un filo di paura, ripenso a me. Io non ce l’ho un sussidio di disoccupazione. Quando il mio contratto finisce,  e avviene in media ogni paio di anni, se non mi do da fare in prima persona, non ci sono ammortizzatori sociali, per me. Non ho tredicesima, nè premi di produzione, nè indennità di rischio, nè permesso per la maternità, nè buoni pasto. Ok, sono pagata bene. E’ solo per questo, che non mi lamento? Che non aggredisco l’assessore di turno? che non tiro in ballo genitori anziani, fitti da pagare, spesa da fare?

O è perchè sono geneticamente diversa?
Ho capito un sacco di cose, oggi, in ritardo, come sempre.
Ho capito un sacco di cose.
Tutte brutte.

E ho vomitato la cena.

Fotoricetta 1: LA PAELLA

Esperimento di comunicazione multimediale notturno, per sublimare la voglia di andare lì e fracassargli le dita con una pressa da fonderia.

PAELLA ALLA VALENCIANA
Ingredienti:
– pollo, salsiccia
– carciofi, peperoni, piselli, fagioli
– cozze, frutti di mare, gamberoni
– olio, brodo
– aglio, peperoncino, alloro, zafferano
– riso

Procedimento:
In una paellera o una capace padella soffriggete olio, aglio tritato, alloro e peperoncino. Aggiungete la carne di pollo a pezzi e la salsiccia a rondelle.

Aggiungete le verdure, in ordine di consistenza: prima i peperoni, poi i carciofi, poi i piselli e infine i fagioli. Io uso piselli surgelati e fagioli in scatola, ma se avete pazienza potete usare prodotti freschi, che in questo caso però vanno precotti (bolliti o a vapore). Fate insaporire e coprite con brodo. Aggiungete lo zafferano. Fate cuocere lentamente fino a che il brodo sia quasi completamente asciugato.

In una padella a parte con un filo di olio fate tostare il riso per un paio di minuti. Aggiungete il riso nella paellera, mescolate bene, aggiungete un paio di mestoli di acqua o brodo e mettete in forno ben caldo per 15-20 minuti. IMPORTANTE: nella paella, il riso è un ingrediente al pari degli altri, non stiamo facendo un risotto. Quindi, mentre per le quantità di tutto il resto regolatevi come vi pare, nel riso calcolate non più di 30-40 grammi a persona.

Mentre il tutto cuoce in forno, pensiamo al pesce: fate aprire cozze e vongole con un filo d’olio e tenetele in caldo; saltate i gamberi con olio, aglio tritato e, se vi piace, un dito di vino bianco.

Quando il riso sarà cotto e tutta la paella avrà fatto anche una sottile crosticina dorata, toglietela dal forno, disponete con garbo sul tutti frutti di mare e gamberi, ripassate un minuto in forno per uniformare il calore, e servite.

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Da accompagnare con vino bianco secco molto freddo o prosecco.

Belli, sono belli, però

Entrare in una merceria e farsi solare da una ragazzina analfabeta euro 8,40 (diconsi euro otto

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e centesimi quaranta) per un paio di collant mi lascia veramente moltissimi dubbi sulla lucidità mentale della sottoscritta in bel giorno di fine Ottobre. Sarà meglio che questi collant reggano fino al giorno del giudizio universale, altrimenti vedrete la foto della ragazzina nella pagina di nera dei quotidiani locali con sotto scritto “la vittima”.

La colonna sonora di oggi è gentilmente (si fa per dire) offerta dai guerrieri Maori e dagli All Blacks della Nuova Zelanda. Spot di uno sport che adoro (forse avrei potuto praticarlo, ad essere solo 15 cm. più alta, il fisico adatto ce l’avevo)

Morning rage

STRESS… e siccome per lo più non dormo, macino e rimacino sempre sulle stesse cose e mi accorgo che monta la rabbia. Un gigantesco VAFFANCULO compare come fumetto sulla mia testa ogni volta che qualcuno degli uomini che ho amato e poi mi hanno preferito un’altra, meno problematica probabilmente, mi parla per raccontarmi di quanto sia insoddisfatto della sua donna attuale, cercando comprensione e una spalla sui cui piangere. E chi se ne fotte, penso io – e glielo dico pure. Vi è piaciuta la bicicletta? e mò pedalate. Trovo giustissimo che anche loro vivano male, mi pare un equo prezzo da pagare per la infelicità inflitta a me, anche se superata, anche se sono storie lontane. Poi mi odio, per questi pensieri meschini.

La precarietà mi aggredisce da tutte le parti. Il lavoro è precario, non solo nel senso del contratto, ma anche nel senso della sostanza del mio lavoro, mi piace sempre meno e non so come fare ad uscire da questo stallo. La casa è precaria, ho un contratto dei puffi, scaduto, in teoria posso barricarmi dentro e non voler uscire mai più ma anche essere buttata fuori senza preavviso. I rapporti personali non ne parliamo. Niente e nessuno mi si concede come io vorrei, pienamente, liberamente, ampiamente, devo sempre lottare come un cane arrabbiato per aggiudicarmi una fettina di qualcosa, o di qualcuno, e la sensazione predominante che vivo per lo più è quella del rifiuto.

Ma la rabbia fa male. Gonfia la pancia, che poi diventa un ulteriore elemento di rabbia contro me stessa, per non essere capace di controllarmi, e perdere 5 chili, che adesso forse sono diventati 10. Mi guardo allo specchio e mi odio. Forse dovrei montarmi un sacco da pugilato a casa.

Il celebre vigile

Nella classifica delle cose che mi fanno indignare svetta luminoso al primo posto da qualche giorno il Comandate dei Vigili Urbani di Roma. E non, badate bene, per il già vergognoso episodio del parcheggio in sosta vietata con esposizione di permesso disabili, bensì per i tentativi successivi di GIUSTIFICARSI e POLEMIZZARE  –  “Esplode la polemica sul caso del Comandante ComeCavoloSiChiama“, dicevano i titoli il giorno dopo: ne vogliamo parlare, SirDrake?  😉

Ma che cazzo polemizzi, demente?
“Ho sbagliato ad esporre il permesso, quello valido era di mia suocera”. 
Gesù, se ci penso mi prude la pianta dei piedi.

E ALLORA??? E DOV’ERA, TUA SUOCERA, QUELLA SERA?? MA TI RENDI CONTO CHE SEI STATO FO-TO-GRA-FA-TO CHE ANDAVI A CENA CON QUELL’ALTRA GRAN DONNA DI TUA MOGLIE?
RIESCE A PENETRARE LA MUNNEZZA CHE HAI AL POSTO DEL CERVELLO, COMANDANTE DI QUESTA CEPPA, IL CONCETTO CHE UN “PERMESSO DISABILI” SERVE AD UNO IN CARROZZELLA A PARCHEGGIARE PIU’ VICINO AL PORTONE DI CASA PROPRIA, E NON A TE PER PARCHEGGIARE PIU’ VICINO AL RISTORANTE?
CHE NON ESISTE GIUSTIFICAZIONE AL MONDO PER UTILIZZARE UN PERMESSO DISABILI PER FARE IL PORCO COMODO TUO IN SOSTA VIETATA IN PIENO CENTRO CITTA’? MA CAZZO, GUADAGNERAI MILLEMILA MILIONI AL MESE: ERA TANTO DIFFICILE PRENDERE UN TAXI?
E ADESSO CHE TI HANNO SGAMATO PER QUELL’IMBECILLE CHE SEI, E’ TANTO DIFFICILE STARE ZITTO, AMMETTERE IL TORTO, POI METTERSI LA LINGUA NEL CULO – come diceva il mio prof. di filosofia al Liceo – E CERCARE DI SPARIRE SU UN’ISOLA DESERTA?

Ok, mi sono sfogata.

Zio Ualter, se lo riabiliti e lo rimetti al suo posto, ‘sto deficiente, vengo lì e ti appiccio la collezione di film di Babak Payami.

Burro e zucchero

E va bene, ragazzi, non ce l’ho fatta. La lavoratrice atipica, tanto tosta e spietata sul lavoro, nel privato ha un cuoricino di burro e zucchero che ha retto 13 ore alla prova della singletudine. Semplicemente non ce l’ho fatta. Avevo ignorato con quella che credevo ammirevole nonchalance le mail accorate, i sms di scuse, le suppliche di una mia parola live, invece della lunga fredda razionale dura mail che avevo mandato per comunicare che non intendevo più considerarmi una coppia.
Ma per la miseria questo benedetto uomo mi è proprio entrato nel sangue, senza che io me ne accorgessi minimamente, e per circa 13 ore mi sono guardata ingrigirmi e smettere di respirare progressivamente. Quando sono stata praticamente in apnea, senza che il cervello lo ordinasse proprio esplicitamente, mi sono guardata prendere in mano il cellulare e fare il solito numero. L’ho sentito squillare facendo finta di niente, ho sentito la voce dall’altra parte che rispondeva, e non mi è parsa mai così bella come in quel momento.
Ho chiesto come se niente fosse se aveva qualche impegno nella serata del giorno dopo o se per caso non potessimo prenderci un aperitivo insieme, solito posto, solita ora, sì, passo io con la macchina, va bene. Ho contato le circa 24 ore che mancavano all’appuntamento come un condannato a morte, perchè non era escluso che anche lui concordasse sul farla finita, e perchè comunque sentivo che qualcosa si era rotto, e perchè chi dice una bugietta non troppo grossa potrebbe poi avere mentito, a valanga, su cose medie, poi su cose enormi, e insomma potevo anche trovarmi di fronte un uomo che mi aveva mentito su TUTTO, negli ultimi due anni. La sindrome Calisto Tanzi, diciamo.
All’ora prestabilita ero lì, parcheggio sghembo multabile, fuori dalla macchina, a (cercare di) respirare l’aria della sera della Riviera di Chiaia e guardare i ragazzini sfilare zuccherosi appiccicati trascinando scatole di Baci Perugina, cuori rossi gonfiabili, orsacchiotti e altre amenità del genere. E’ dura essere adulti e infelici la sera di San Valentino.
Poi l’ho visto arrivare, col solito passo di carica, e ho notato che si sforzava di sorridere. Sono crollata totalmente e senza ritegno. Due minuti dopo singhiozzavo inumidendo in maniera considerevole la spalla destra del suo giaccone imbottito, raccontandogli per quanto la voce me lo consentiva tutta l’atrocità delle 13 + 24 ore passate da quella mail a quel momento, e sentendo nell’orecchio rimasto scoperto tutte le formule di scusa e di richiesta di perdono che la disperazione sa attivare, in momenti così delicati.
E’ finita a champagne nel solito bar   

Apprendista stregona

Va bene, come mio solito ho sbagliato modi e tempi. Ho messo il cappello e preso la bacchetta dello stregone potente, credendo di poterla usare anche se sono una povera apprendista. La scopa con la quale credevo di potermi semplificare la vita, sfogandomi un pò, sta portando secchi di acqua da ieri sera, non si ferma, si è moltiplicata, come nel cartone animato con Topolino, e adesso la mia caverna è invasa da in torrente in piena che non riesco più ad arginare con nessuna bacchetta magica.

Mi dispiace.

Scusa.

Non ne posso piùùùùù

Non so, uno squilibrio ormonale, una congiunzione astrale negativa, uno ZOT partito dalle Alpi che ha deciso di scaricarsi sulle fertili (??) montagne meridionali, certo è che oggi il mondo sembra essersi messo d’accordo per farmi venire i nervi.

Il mio uomo mi ha trionfalmente annunciato che l’ipotesi di non passare le vacanze insieme è diventata certezza. Per una serie di motivi che non vi sto a dire, questa lampante verità non può essere resa nota al grande pubblico, quindi mi tocca FARE FINTA di partire con lui, in realtà organizzandomi la vacanza da sola, sfoggiando una gioia di vivere falsa come una banconota da 25 euro.  Tempo fa un’amica mi aveva invitato ad andare da lei in Scozia. Cerco di capire che aereo potrei prendere e scopro che sarebbe più facile arrivare in Papuasia in monopattino che da Napoli ad Edimburgo in aereo; per soprappiù l’amica è irreperibile a tutti i suoi numeri da stamattina, segno che giudico sommamente negativo per una possibile ospitalità. Comincio ad accarezzare l’ipotesi di una pensioncina familiare nelle isole del Golfo di Napoli, e lancio lì senza convinzione un paio di prenotazioni on line. Mi richiama l’uomo tutto contento e mi dice che mi ha trovato posto su un aereo per Edimburgo che parte da ROMA. Però bisogna confermare entro domani.  Comincio a gonfiarmi e a diventare bordeaux, soffiando fumo dalle narici  come il toro dei cartoni animati. NON HO VOGLIA di confermare domani un volo, senza sapere se B. può ospitarmi, e senza sapere se ho veramente voglia di andare in Scozia. E ammesso anche che riesca a parlare con B., NON HO VOGLIA di elemosinare un invito che non mi è stato rinnovato nell’ultimo mese! Lui “sarebbe molto più tranquillo a sapermi in Scozia con B.” che da qualunque altra parte da sola. Il colore da bordeaux diventa paonazzo, vorrei scoppiare e urlargli che lo so di che ha paura, che incontri un altro con meno pippe familiari da scontare, ma riesco miracolosamente a trattenermi.

Quando chiudo il telefono mi metterei a piangere per la rabbia e la frustrazione.

Il telefono risquilla e un assicuratore che deve farci una fideiussione per un finanziamento pubblico mi dice che ha bisogno di un atto che ha il notaio. Chiamare il notaio e farglielo spedire per fax. Chiamo il notaio e la segretaria mi dice che l’atto non può essere spedito perchè “è troppo lungo, è fronte retro, bisognerebbe fare le fotocopie e poi spedirlo e si perde troppo tempo”. Le faccio notare, tentando di sbriciolare la cornetta, che questo è appunto il suo lavoro, ma la ragazzina è irremovibile. Bisogna andare lì (in centro, ovviamente), prendere il documento e portarlo all’assicuratore. Vado. Quando arrivo lì, l’atto non si trova. Quindi la segretaria NON POTEVA SAPERE quanto era lungo, visto che non l’aveva davanti (infatti, è lungo 4,5 pagine. Tempo di fotocopiatura e spedizione via fax: 3,5 minuti). Ergo, mi ha preso per il culo solo perchè non aveva voglia di lavorare.

La buddista e l’Architetto mi hanno rotto i coglioni oggi con domande, richieste di correzioni,  menate varie e 50.000 dettagli inutili, confondendo i file e stampando i file sbagliati. Un gruppo di collaboratrici esterne con le quali ho perso circa 3 ore di tempo a spiegare come andava fatto il lavoro mi hanno trionfalmente mandato una mail dalla quale si evince che non hanno capito un cazzo, e anche loro hanno fatto confusione fra due file diversi. Mettiti e rispiegagli tutto daccapo, per telefono. Mi ha telefonato stamattina una funzionaria che vuole da me una lettera che doveva volere tre mesi fa, o non volere più, e invece no, la vuole per lunedì. Ho aperto 16 volte un file per lavorarci su, perchè serve per domani, e sono stata interrotta 17 volte. Alla 18°, il pc è andato in blocco, ovviamente. Il Capo chiede alla segretaria di terminare un lavoro che ho iniziato a seguire io; perdo un’ora per poter dare alla segretaria le coordinate giuste. Sono già le 19:31 e non so quando potrò finire.

Per strada mi pareva che tutti mi guardassero, anche con un filo di ammirazione, anche un pò più che un filo, e già il morale mi si stava rialzando quando mi sono accorta che avevo due bottoni della camicetta di cotone thailandese sbottonati, e quindi praticamente giravo in stile pornosoft, con reggiseno Triumph rinforzato in bella vista.

Maiali.