Mai, mai e poi mai nella mia vita farò il politico. Se non mi sono mai presentata alle elezioni del rappresentante di classe, ci sarà un motivo. Mai, mai e poi mai.
Questa roboante dichiarazione d’intenti mi suona nella testa da quando in una sola giornata ho partecipato a ben due incontri con lavoratori in mobilità in deroga. Non sapete cos’è? E’ facile, bambini: sono quelli che lavoravano in un’azienda che ha chiuso, e quindi prendono un sussidio di disoccupazione che per via della crisi è di durata più lunga e concesso ad una platea più ampia del normale.
Ce n’erano centinaia, oggi. Una marea umana minacciosa e incombente, sia nel primo che nel secondo incontro. Troppa gente per lo spazio ristretto a disposizione.
Quello che credo di aver capito oggi è che una parte (un terzo? metà?) di quelli che erano presenti sono veramente alla canna del gas: padri e madri di famiglia, bollette, mutui da pagare, figli etc. Si leggeva negli occhi di alcuni di loro la vergogna, per essere lì a capire cosa potevano fare per mettere insieme pranzo e cena. E la tristezza mi legava lo stomaco, mi vergognavo anche io, di essere dall’altra parte di un tavolo e non avere risposte realistiche, solo un tentativo, un abbozzo di aiuto, quello che la normativa ci consente. Un aiuto all’assunzione, un aiuto all’autoimpiego.
Ma ce n’erano altri, molti altri (due terzi? metà?) che mi rivoltavano lo stomaco per la rabbia. Una popolazione drogata da decenni di sussidi, da aiuti passivi, da elemosine di basso valore ma sicure, che non chiedevano altro che continuare a percepirle. Oppure, in alternativa, di poter essere assunti in enti pubblici, per poter continuare a godere, ancora e ancora, di una sinecura che non hanno cercato, nè si sono meritati. Gente che aspetta, passiva e inerte, che qualcosa caschi dall’alto, e che si arrabbia se non casca. E si arrabbia talmente tanto da sobillare tutti gli altri, e trasformare un incontro di promozione di un bando in una aggressione fisica all’interlocutore. Per fortuna una donna, cosa che ha evitato la violenza fisica vera (ma ci è mancato un soffio). Oggi credo di aver visto, per la prima volta con chiarezza, le radici del malessere e della arretratezza di cui sempre siamo stati vittime, come regione e come pezzo di Italia. Meglio pochi spiccioli (pochissimi, fra poco forse niente) ma sicuri + un bel lavoro in nero, che provare a farsi assumere da privati, o provare a mettersi in proprio, rischiando sulla propria pelle. Finchè questo ragionamento lo fanno i sessantenni, alle soglie della pensione, una vita di sussidi, potrei ancora comprendere. Ma i trentenni, mio Dio i trentenni! Giovani convinti – in buona o mala fede, non ne sono più sicura – che l’Ente pubblico può tutto, che è onnipotente, che può “fare le leggi” solo che lo voglia, e può volere qualunque cosa. Un Ente pubblico che può creare posti di lavoro per tutti dal nulla, oppure può far rientrare tutti fra le sue ampie braccia, solo che lo voglia. E non si capisce perchè non debba volere, e quindi è il caso di arrabbiarsi, e tanto, anche. A che serve il welfare to work? gli stessi soldi, potevate dividerli per il numero dei lavoratori in mobilità, e continuare a dare a tutti X euro al mese, per un altro anno.
Sulla via del ritorno, lo stomaco sottosopra per la rabbia, la sofferenza e anche un filo di paura, ripenso a me. Io non ce l’ho un sussidio di disoccupazione. Quando il mio contratto finisce, e avviene in media ogni paio di anni, se non mi do da fare in prima persona, non ci sono ammortizzatori sociali, per me. Non ho tredicesima, nè premi di produzione, nè indennità di rischio, nè permesso per la maternità, nè buoni pasto. Ok, sono pagata bene. E’ solo per questo, che non mi lamento? Che non aggredisco l’assessore di turno? che non tiro in ballo genitori anziani, fitti da pagare, spesa da fare?
O è perchè sono geneticamente diversa?
Ho capito un sacco di cose, oggi, in ritardo, come sempre.
Ho capito un sacco di cose.
Tutte brutte.
E ho vomitato la cena.