Tipi di Ischia / 2

Altra rapida carrellata di tipi da spiaggia isolana.

1.  Il microtassista – Il nome non è riferito alla statura fisica del personaggio, ma al fatto che è l’autista di un microtaxi, ovvero di un mezzo semovente a 3 o 4 ruote che serve essenzialmente a spennare gli incauti turisti. Esistono due categorie di microtassisti: quelli giovani, fra i 30 e 50 anni, che guidano mezzi nuovi, piccoli van con una curiosa punta a rostro forse per speronare meglio gli scooter; e quelli vecchi, oltre i 65 anni, che guidano vecchi ApeCar riverniciati con il vano di carico sventrato con un apriscatole sulla fiancata per consentire la salita, riempito con sedili di sky e chiuso da tendine di plastica sporca per quando piove. Giovani o vecchi non conta: comunque sono esosi e con una inguaribile tendenza al raggiro, incentivata dalla circostanza che essi microtassisti sono TUTTI abusivi, e quindi è loro espressamente proibito rilasciare fatture ricevute o quasivoglia documento che attesti un passaggio di denaro dalle vostre alle sue tasche. Per affrontare questi personaggi sono necessarie alcune regole di base: a. mercanteggiate SEMPRE il costo della corsa, e PRIMA di mettere piede sul mezzo; b. durante il mercanteggiamento, non fate MAI capire che non avete altri mezzi per arrivare a destinazione; c. se avete abbastanza faccia tosta, millantate la conoscenza delle distanze e delle strade; d. ricordate che i pullman sono in giro fino alle due del mattino, che uno scooter costa 20 euro al giorno, che l’isola in fondo non è gigantesca e due passi a piedi, in una bella notte d’estate, non hanno mai ammazzato nessuno.

2.  Le fighette di Posillipo – Anche se andare in vacanza è Ischia è irrimediabilmente out per le vere fighette, che prediligono mete oceaniche ed equatoriali, c’è pur sempre la villona di mammà e papà, e a Settembre può andare bene per rifinire la tintarella. Le fighette hanno tra i 14 e i 16 anni, corpi anoressici privi di forme a malapena coperti da uno straccio indiano negligentemente annodato sull’osso pubico, lunghi capelli biondi spesso tinti, e parlano italiano con un inconfondibile accento partenopeo “bene”, che strascica le vocali e accentua i suoni nasali. Tale tutto sommato attrattività dell’hardware si accompagna quasi sempre ad una deficienza totale del software, per cui è lecito dire che la vera fighetta è scema come una cocuzza, ed è capace di parlare quasi esclusivamente di calorie e diete, in genere mentre si scofana un gelato al bar del parco termale insieme alle amichette, e quando paga lascia la mancia alla cameriera, che ha circa 18 anni più di lei e la guarda nauseata mentre lei si allontana scuotendo la chioma.

3.  Le sovrappeso che vogliono seguire la moda – Le sovrappeso semplici, categoria alla quale mi onoro di appartenere, e che ho scoperto con vera gioia comporre almeno il 50% della fauna da spiaggia ischitana, mantengono un certo sano realismo, e mimetizzanano le proprie sovrabbondanze dentro caffettani arabi,  T-shirt oversize, costumi più o meno castigati e della giusta misura. Le sovrappeso che vogliono seguire  la moda, invece, hanno completamente perso il lume della ragione nonché il senso dell’umorismo, e vanno conciate più o meno così. In spiaggia: costume a due pezzi giallo che tenta disperatamente di arginare i rotoli superiori ed inferiori e di trattenere le cuciture sul punto di schiantarsi; mini pareo con le frange e le perline, di velo bianco, negligentemente annodato subito sotto un ombelico grosso come un raviolo, e attraverso la cui trasparenza si intravede la cellulite del fondoschiena; zatteroni di sughero che gemono ad ogni passo.  A passeggio di sera: miniabito arancione stretch con effetto omino Michelin e sandali altissimi alla schiava con effetto culatello o salama da sugo sui polpacci. Spesso queste signore sono over 40, il che toglie anche quell’ultimo barlume di scusante allo spettacolo offerto alle masse.

Tipi di Ischia / 1

Una breve rassegna di tipi da isola napoletana.

1.    la coppia da concerto: Lei, proveniente dalla periferia del capoluogo (Sant’Antimo, Casavatore, Pollenatrocchia o giù di lì) 40 anni e forse qualcosa in più, arriva caracollando su tacchi alti venti centimetri, sottili come la perfidia, attaccati a scarpe celeste marezzato con onde argentate. Seguono, dal basso verso l’alto, un paio di pantaloni di lino bianco, un top dello stesso materiale cangiante delle scarpe, annodato sul davanti con un gigantesco fioccone che le impedisce parzialmente la visuale, argenti strass brillanti e brillocchi appesi su tutte le superfici corporee appendibili, capelli biondo chimico tirati su in un nodo che vorrebbe imitare quello del top, faccia color cuoio del tutto incongrua con i capelli biondi, rossetto dato con la cazzuola. Lui, coetaneo della moglie, dieci chili di sovrappeso, porta jeans bianchi con due enormi toppe che vanno dalla caviglia all’inguine, una a stelle e l’altra a striscie. Giubbino di tela bianca come i jeans con enormi toppe ai gomiti, una a quadri bianchi e neri, l’altra bianchi e rossi. Completa il capolavoro un cappellino da baseball rosso fuoco di due misure più piccolo che lo fa somigliare a Ciccio di Nonna Papera. Si siedono alle mie spalle, sono habituè dei concerti estivi del Negombo, stasera c’è Massimo Ranieri e non si può mancare. Lei canta a squarciagola tutte le canzoni, spostandomi in modo indicibile la nervatura, visto che ce l’ho a dieci centimetri dai padiglioni auricolari. Durante l’intervallo, discute col marito della presenza scenica del cantante, facendo il suo sfoggio culturale: “Hai visto come si muove sul palcoscenico? E per forza, quello ha fatto la scuola di Streller”.

2.    il milanese medio – Di estrazione culturale impiegatizia, piomba nell’isola convinto che trovandosi essa nel meridione d’Italia, sia un luogo selvaggio da colonizzare, dove la vita costa un cazzo, si mangia, si beve e si scopa alla faccia degli indigeni, che portano un anello al naso e notoriamente accettano specchietti in cambio di oro. Prende la prima fregatura appena sceso dall’aliscafo, sotto forma di vecchietto sdentato che guida un’Ape tre ruote scrostato decorato con i ponpon e attrezzato per il trasporto umano, che si offre di accompagnarlo in albergo; lui sale tutto giulivo, credendola una forma di ospitalità isolana e all’arrivo (in genere 500 mt. più in là) viene depredato di una cifra variabile fra i 25 e i 30 euro. Da quel momento guarderà con sospetto anche le cozze nel piatto, temendo che riprendano vita e gli si avventino sul portafogli, e naturalmente diventerà lamentosissimo riguardo al rapporto qualità/prezzo di qualunque cosa gli venga venduta/fornita/erogata. Questo non gli impedirà di continuare ad essere turpulinato e rapinato fino alla fine della vacanza, al termine della quale non avrà nemmeno scopato.

3.    l’anziana tedesca che viene a fare le cure termali – Un metro e 50, capelli candidi con sfumature viola, leggermente grinzosa, occhiali da vista con montatura metallica, sembrerebbe una innocua vecchietta come tutte le altre ma appena apre bocca la Gestapo si materializza in lei e comincia ad abbaiare ordini a destra e a manca. Si placa, con un mugolio soddisfatto, solo quando arriva nei giardini termali, perché lì la sua vocazione teutonica alla disciplina e alla tortura possono sfogarsi in pieno. Infatti, munita di costumino ascellare e cuffia di gomma con i fiori viola tremolanti, percorre tutto il circuito termale senza battere ciglio, immergendosi alternativamente in acque bollenti che ustionerebbero una salamandra e poi in acqua gelide, camminando sui sassi, arrampicandosi nelle grotte, lasciandosi a bagnomaria per svariate ore, e scuotendo il capino sdegnata di fronte a quei chiassosi di giovani italiani per i quali dentro di sé, ne sono sicura, invoca i campi di sterminio.

4.    l’autista di pullman della SEPSA – Da Aprile a Ottobre guida pullmann larghi due metri su strade larghe un metro e ottanta, con pendenze del 70% e turni di 18 ore, 7 giorni alla settimana. Deve guidare scansando i motorini, i microtaxi, i pedoni, gli spigoli delle case. Deve rispondere a tutte le domande che gli vengono poste, dalle più banali e scontate (“Questo pullmann va a Ischia Porto?” “Devo arrivare a Forio, dove devo scendere?” “Scusi, per l’Hotel Margazzi va bene questo autobus?”) alle più insidiose (“Ma lei è lo stesso di ieri?” “Dove possiamo andare a mangiare una pizza?” “Scusi, ma non sta sbagliando strada?” “Secondo lei non è troppo pieno, questo autobus?” “Devo pagare il biglietto?”). Il tutto sotto 35 gradi e l’80% di umidità. Questo forse giustifica  le perenni gore di sudore sotto le ascelle della camicia azzurra della divisa, il pallore da infartuati e lo sguardo allucinato.

Ecco un tipico dialogo agostano:

Utente (con accento emiliano): “Questo pullman va a Lacco Ameno?”

Autista: “Sì”.  L’utente sale, il pullmann parte.

Utente: “Io devo andare all’Hotel Maria”

Autista: “Allora avete sbagliato pullman. Dovete scendere e prendere il 4 alla fermata all’altro lato della strada”.

Utente: “Ma questo pullman non va a Lacco Ameno?”

Autista: “Si, però ..”

Utente (deciso): “Allora va bene, scusi! Perché devo prenderne un altro?”

Autista (stringendo il volante fra le mani per controllarsi): “Io vado..”

Utente (sempre più deciso, sventolando un opuscolo): “Guardi c’è scritto anche qui: Hotel Maria, Lacco Ameno! Eh!?”

Autista (perdendo definitivamente le staffe): “Sentite, giuvinò: io vivo a Ischia da 40 anni. Lacco Ameno è fatto ‘è COSTA (gesto orizzontale) e ‘e MUNTAGNA (gesto verticale). L’albergo vuosto sta in MONTAGNA, e stù pullmann nun c’arriva. Vui vulite andà a Lacco Ameno? E io ve ce porto! Però in albergo nun c’arrivate!!”

Utente: “Però come siete sgarbati, voi napoletani!”

Ischia portrait

Mio nonno materno faceva il direttore amministrativo di un ente di beneficenza chiamato Pio Monte della Misericordia, a Napoli. Il Pio Monte aveva una sede a Casamicciola, sull’isola d’Ischia, nella quale era possibile per i napoletani piu’ indigenti fare cure termali a spese dell’Ente, che “riciclava”, per così dire, le profumatissime rette che pagavano, per fare le stesse cure, gli ospiti della I Classe. Mio nonno veniva mandato in missione a Casamicciola nei mesi estivi, e con la missione medesima poteva permettersi di portare in vacanza li’ la sua famiglia, affittando una casetta.

Il Pio Monte a Casamicciola, un gigantesco edificio di tufo, oggi e’ un rudere semi abbandonato di cui si conserva a stento la facciata, e la targa di marmo, imponente: il resto e’ invaso dai rovi, dalle erbacce, semi cadente, sfondato, dimenticato.

 
Ho passato una mattinata intera a girovagare fra i ruderi che, come e’ noto, sono tra l’altro una mia passione personale. E’ difficile raccontare l’emozione che ho provato a salire le stesse scale, a toccare le stesse porte, a calpestare gli stessi basoli che deve avere calpestato mio nonno, ogni estate per 15 anni, piu’ di 40 anni fa. Ho provato ad immaginare come doveva essere il palazzo quando aveva ancora i suoi stucchi, i suoi intonaci, quando i portoni erano lucidi e incorrotti, come doveva essere camminare per quelle stanze, che dovevano essere strutturate a meta’ fra il sanatorio – ospedale e l’ostello – collegio, visto che i candidati alle cure avevano diritto anche a vitto ed alloggio. Ho provato a sentirmi una di loro, una pensionante, a spasso per quei cortili dopo aver fatto fanghi curativi e inalazioni, a passeggio per quella via la sera, dopo aver messo il vestito buono ed essersi assicurate di avere con se’ un ventaglio.

L’edificio è interamente ricoperto di ponteggi, il che farebbe ben sperare per una qualunque ristrutturazione verso un qualunque riutilizzo, stazione termale, ostello della gioventu’, grande albergo. Ho fermato un indigeno e l’emozione si e’ fatta nodo alla gola quando gli ho spiegato perche’ ero li’ e perche’ chiedevo spiegazioni, e lui – il mondo e’ davvero piccolo – mi ha dichiarato di essere il figlio dell’ex custode del complesso, e di ricordarsi perfettamente di mio nonno. Neppure lui, pero’, ha saputo dirmi cosa vogliono farne, del vecchio e malandato Pio Monte: pare che il Comune avesse avuto fondi sia per Italia 90, sia per il Giubileo, ma non ha saputo o voluto utilizzarli. I ponteggi, non si faccia illusioni, signora, sono li’ da almeno dieci anni.

Mio nonno e’ morto nel 1985 e il suo mito di uomo buono e colto, esperto enigmista, che mi teneva sulle ginocchia insegnandomi i nomi delle cose mentre lui risolveva le sciarade (10 lettere, Mi sembra il Dio bifronte = Parmi Giano), che scriveva lettere su una enorme Olivetti e fogli di carta velina con la carta carbone in mezzo, ha aleggiato su tutta la mia infanzia felice.

E poi mia madre: mia madre in quegli anni e’ stata adolescente. Ho ripercorso la stessa passeggiata che doveva fare lei la sera, quando andava a prendere il gelato da Calise, in Piazza Marina, con quei vestiti stretti stretti in vita e la gonna larga, a campana, i tacchi a spillo, il seno bene in vista (“la Sophia Loren dei poveri” la chiama quella irriverente di mia sorella dopo aver visto le foto di mia mamma a 17 anni), la borsetta col manico corto. Mi saro’ seduta nelle stesse sedie da bar? Avro’ preso il sole sullo stesso pezzetto di spiaggia? Avro’ guardato gli stessi panorami? Il passato mi affascina, mi attira, mi ricorda chi sono e da dove vengo.

E non e’ una fortuna da poco.
Dunque, ritorno da Ischia.

L’Isola Verde, culla vulcanica di acque termali.

La prima cosa che ti colpisce a Ischia sono gli odori. Che sono essenzialmente tre, spesso si mescolano fra loro ma non tanto da non poterli distinguere:

 gelsomini. Una nuvola, una valanga di gelsomini avvolge l’isola e fa sì che all’improvviso vi giunga, soprattutto nelle ore serali e notturne, un odore speziato, dolce, antico, che vi avvolge e impedisce di pensare.
 fichi, per lo più caduti da alberi incolti, spiaccicati ai bordi delle strade e quindi fermentati. Un odore vinoso, mostoso, dolciastro, ma tutto sommato non sgradevole, se non si pensa alle mosche che banchettano sopra alle poltiglie appiccicose scure semidisciolte
 purtroppo, merda, a causa probabilmente di un sistema fognario dalla ventilazione non impeccabile. Ad ogni angolo di strada, è sempre in agguato la zaffata mortale, che guasta fatalmente la poesia dell’angolo di paesino, il muro di tufo a secco, la glicine, gli aranci e i limoni che circondano la chiesetta di campagna.
C’è poi per tutta l’isola un vago sentore di agrumi, una nota secca e amarognola carica di promesse non mantenute, di quello che l’isola potrebbe essere e non è.

Per esempio, potrebbe essere un posto dove puoi fidarti ciecamente di quello che ti viene detto, e affidarti agli isolani che gestiscono i servizi, tutti i servizi ai turisti. Sarebbe bello, ma non è così. Insieme ai microtaxi, sui quali mi dilungherò in seguito, è sempre in agguato la microfregatura, mai troppo grossa tanto da chiamare i Carabinieri, mai tanto piccola da potertene dimenticare.

Un piccolo campionario:

 decido, in un impeto di autoerotismo, di voler fare un ciclo di massaggi antistress-riattivatori della circolazione-curativi dei dolori alla cervicale. Chiedo quanto costano, e una gentile signora mi dichiara: 18 euro a massaggio. Quando pagherò, alla stessa gentile signora, scoprirò che c’è un sovrapprezzo “per il consumo della crema canforata”. Perché non mi è stato detto? Oppure perché il prezzo non è di 20 euro, comprensivi della crema canforata?
 noleggio uno scooter. Dopo 1 km. si accende la spia dell’olio. Certo, potrei tornare indietro, farlo notare al noleggiatore, chiedere un altro motorino, ma la pigrizia isolana e vacanziera ha il sopravvento: mi fermo ad un distributore, e metto l’olio più economico che c’è, che nonostante questo è migliore di quello che nell’albergo che mi ospita usano per condire l’insalata.
 in uno scicchissimo parco termale da sceicchi c’è il guardaroba-spogliatoio, con armadietti dotati di chiave per custodire gli effetti personali. L’armadietto funziona così: per chiuderlo, bisogna mettere nell’apposita fessura 1 euro. Ogni volta che lo si apre, per richiuderlo bisogna mettere 1 euro. Il milanese di turno non ci crede, a tanta esosità, e decide di fare la prova, perdendo subito il primo euro. Conviene quindi avere un’ottima memoria o un’organizzazione ferrea, e non lasciare NIENTE che vi serva, durante la giornata, dentro l’armadietto. Oppure non usarlo.
La vacanza, come la vita, andrebbe fatta due volte, per non ripetere nella seconda gli errori della prima.

Saluti dal mare

Si, lo so, avevo detto che in queste due settimane volevo solo mare, sole, gabbiani e silenzio, ma il destino cinico e baro, complice la noia (nel mio albergo i simpatici – diciamo così – se ne sono andati e sono arrivati solo famigliuole di carabinieri e tedeschi) mi si è parato davanti sotto forma di Internet Cafè con ventilatore perfettamente funzionanti (sia il ventilatore che la postazione pc), il che a Casamicciola Terme (Ischia) è da Guinness dei primati.

Potevo resistere? Ho letto le novità, e mando un bacino a tutti accompagnato dalla minacciosa dichiarazione che il mio quaderno di Emergency si sta lentamente ma inesorabilmente riempiendo, e ce n’è per tutti i gusti … e trascriverò, sì, trascriverò, anche perchè sto prendendo solo appunti sparsi.

F.to: la lavoratrice atipica in vacanza tipicissima