Inutilaria

La perplessità è la chiave di lettura prevalente dei miei ultimi giorni.
Quella, e la consapevolezza che per lo più desidero oggetti del desiderio che non mi servono.

Una o-bento box. Una scatola a scomparti, termica, per portarsi il pranzo in ufficio. E’ un oggetto esteticamente delizioso, ce ne sono in legno, con disegni giapponesi incisi a fuoco. Ce ne sono di bambù, leggere come i cestini della merenda di Cappuccetto Rosso. Le apri, e dentro ci sono gli scomparti, per il riso, il pesce crudo, le verdure a vapore. C’è lo spazio per le bacchette o una forchettina. Uno spettacolo.
Il fatto è che io torno a casa, a mangiare, ho tutto il tempo, e quando non lo faccio è per un’emergenza, e dunque non avrò avuto, in quel caso, la previdenza di portarmi il cibo da casa, se no che emergenza sarebbe?

Un casco da moto rivestito di pelle rossa. Ho visto un servizio in tv, li fa una ditta artigianale non lontano da qui. Sono bellissimi, con la pelle cucita a mano, si possono scegliere i colori. Mi sembra di sentire il calore e la consistenza della pelle di vitello sotto le dita, se potessi accarezzarlo, il mio casco.
Io però non ho una moto, nè l’ho mai avuta, se escludiamo il cinquantino della mia adolescenza, che all’epoca si guidava pure senza casco.

Un ASUS EEE, quei mini computer piccoli come un quaderno, bianchi, lucidi, che si infilano in una borsa da donna senza problemi. Fanno tanto manager, o tecnoaddicted smanettona. Poi basterebbe una card per l’accesso ad Internet, e davvero hai il mondo in borsa. Tutte le tue connessioni, la possibilità di scrivere in metropolitana, in autobus, in treno, come una vera scrittrice. Mi ispiro, e scrivo. Chiudo, infilo in borsa, e via.
Si, però, una volta che l’ho infilato in borsa, quando lo uso? A casa ho un pc nuovo, in ufficio ne ho un altro, che funzionano benissimo. In viaggio di lavoro ci vado una volta al mese, se pure, nella mia città non c’è la metropolitana e comunque io uso la macchina, per spostarmi. E ho un blackberry. Sono connessa comunque, per le cose più importanti. Ciononostante, lascio una scia di bava sulla vetrina del Computer Discount del Centro Commerciale  Iperfutura, ogni volta che ci passo davanti.

Perplessa, con tendenza all’acquisto estetico compusivo.
Sto migliorando.

Chiudo messaggi in bottiglie e le lancio dal molo, con ammirevole costanza (o folle accanimento, anche). Rimangono per lo più senza risposta. Altro gesto di cui sono costretta a rilevare l’inutilità. Poi magari una sera  succede che dalle profondità dell’orizzonte la bottiglia ti torna indietro, quasi ti prende in fronte, del tutto inaspettatamente.
E colora timidamente di rosa e azzurro una giornata grigia, ansia e grandine, raffiche di neve e fatica e freddo.

Colonna sonora della serata offerta da Francesco De Gregori, anno 1981 (o 1982?). Le immagini fanno veramente schifo, ma De Gregori ha il pessimo vizio di storpiare e alterare, cantandole dal vivo, le sue canzoni più belle, e io invece amo la versione incisa.