La grande rivoluzione.
La penZata geniale.
La panacea che avrebbe risolto tutti i problemi della Pubblica Aministrazione.
LA SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA. Ahhhhh.
Dimenticate i cittadini affannati a reperire documenti da allegare alle domande per poter ottenere un beneficio.
Ora c'è la semplificazione.
Quello che segue è il racconto (molto semplificato) di una ordinaria procedura amministrativa, come saranno da oggi in poi, anzi, come sono già da qualche tempo.
Rassegnatevi.
Le imprese fanno domanda ad un Ente Pubblico per ottenere un beneficio (nel caso specifico, uno sconto sulle imposte, se assumono un soggetto svantaggiato o molto svantaggiato. Ricordatevi questa dicitura, perchè la troveremo più avanti). Siccome c'è la semplificazione, la domanda viene fatta con una procedura interamente on line (bello, eh? senza muoversi dall'ufficio! il progresso! la modernità!) e quindi tutto quello che viene dichiarato è solo autocertificato. Perchè si può fare, lo prevede la legge. Che bello. Peccato però che la legge preveda anche che la Pubblica Aministrazione che concede il beneficio faccia dei controlli sulle autocertificazioni, a campione. Un campione pari a circa il 15%. Se arrivano all'incirca 600 domande di beneficio, significa fare controlli a campione su circa 100 domande.
Quindi, sfatiamo il primo mito: “semplificare” non significa produrre meno carte. Significa che quelle carte le deve produrre qualcun altro. Nella fattispecie, la PA concessionaria del beneficio.
E cosa hanno dichiarato in autocertificazione le imprese?
Per esempio, hanno dichiarato di avere sede legale in un certo luogo, di essere aziende attive, di lavorare in un certo settore economico, di non avere pendenze con la mafia, di non essere sull'orlo del fallimento. Come si verifica tutto questo? con un certificato di iscrizione alla Camera di Commercio, che diamine. E quindi: scriviamo alle Camere di Commercio (due, perchè hanno competenza provinciale, almeno per il momento) e chiediamo i certificati. Inviamo un lungo elenco di aziende via posta certificata. Ci tornano due terzi di certificati, che bisogna accoppiare alle imprese. E gli altri? Eh, gli altri non si trovano. Perchè? Perchè è sufficiente aver sbagliato la ragione sociale (un punto, un trattino, uno spazio che ci doveva essere e non c'è, o viceversa, un numero della partita Iva) e l'azienda non si trova. Quindi ci mettiamo a telefono con i colleghi delle CCIAA competenti per territorio, e facciamo gli investigatori.
Le imprese poi hanno dichiarato di essere in regola con i versamenti dei contributi.
A chi lo chiediamo, questo? La CCIAA non lo sa. Lo sa l'INPS, però, che è destinatario dei contributi di cui sopra. Ed è quindi all'INPS che fiduciosi ci si rivolge per avere – parola che fa tremare le vene ai polsi di qualunque stagista della PA – il mitico DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). Il Moloch. Lo scoglio contro cui si infrange qualunque pretesa di sempificazione. Bisogna accreditarsi con una psecifica procedura. Fare la domanda per via telematica. Non mettere nella domanda elenchi di aziende troppo lunghi. Essere precisissimi nella trascrizione della ragione sociale e/o della partita Iva (vabbè, qui facciamo tesoro di quanto è accaduto con le CCIAA). Aspettare una risposta. Per apprendere, dopo una settimana di spasmodica attesa, che l'INPS richiede un tempo massimo di 30 giorni, per esaudire le richieste di rilascio DURC. Trenta giorni. Se sei fortunata, o se hai intavolato contrattazioni a sfondo sessuale con lo stagista maschio che sta dall'altra parte della cornetta e che sovrintende ai tempi di concessione del DURC, o se singhiozzi in modo sufficientemente convincente, forse ne basteranno venti, o venticinque. Salvo imprevisti.
Le imprese hanno poi dichiarato di aver assunto uno o più soggetti svantaggiati o molto svantaggiati, residenti nella Regione che ha emanato il bando.
Siete cittadini svantaggiati se ricadete in almeno una delle seguenti categorie:
- siete disoccupati o inoccupati da almeno sei mesi
- siete una donna
- siete una persona che ha compiuto 50 anni
- siete un cittadino extracomunitario
- siete una persona che vive sola con un familiare a carico
Come si attesta che siete davvero residenti in Regione? che siete una donna? che avete 50 anni o più? cavolo, basta una copia di un documento d'identità! E a chi la si chiede? Ai Comuni! Quindi: estraete dalle domande gli elenchi dei lavoratori assunti dalle imprese, e divideteli per Comuni (dichiarati) di residenza. Mandate per posta elettronica la richiesta di copie dei doc di identità a TUTTI i Comuni coinvolti (una cinquantina, in media, dei quali circa 30 vi chiederanno l'invio VIA FAX) ognuno col suo bravo elenchino di cittadini per cui si richiedono le informazioni, e attendete fiduciosi le risposte. Con le stesse incognite e ansie già verificate per la CCIAA: basta uno spazio fra DE e ROSSI che doveva esserci e non c'è, e l'Ufficio Anagrafe del minuscolo Comune di Capazzuoppolo (300 abitanti, 2 impiegati comunali, di cui uno è anche Vigile Urbano) non lo trova, il cittadino. O, peggio, vi manda la certificazione per il cittadino sbagliato. Quindi ricominciano le investigazioni, in stretto dialetto locale. Meglio se si riesce a sapere, attivando i famosi sei gradi di conoscenza, il soprannome con cui è conosciuto il cittadino o la sua famiglia, per distinguerlo da quello omonimo.
Se poi l'assunto è un cittadino extracomunitario in possesso di regolare permesso di soggiorno, l'interlocutore è l'Uffico Immigrazione della Questura (sempre competente per territorio). E qui vi risparmio la descrizione della trafila necessaria. Per fortuna, erano pochissimi.
Riassumendo: una volta, quando non eravamo ancora così fortunati da avere una legge sulla semplificazione amministrativa, l'impresa faceva la domanda, e allegava TUTTO: certificati, copie di doc di identità, copie di stati di famiglia, copie di situazione occupazionale dell'assunto nei sei o nei 12 mesi precedenti, DURC, noccioline, caramelle, e tutto quanto riteneva utile alla bisogna. La PA riceveva il malloppetto di carte, se lo gaurdava, verificava che i dati corrispondessero alle dichiarazioni, finanziava.
Per 100 domande siffatte sarebbero bastati 10 giorni lavorativi, forse meno.
Da quando c'è la semplificazione, ne servono 50, e forse non bastano.
Dimenticate i cittadini affannati a reperire documenti da allegare alle domande per poter ottenere un beneficio. Ora, affannati sono i dipendenti della PA. E ci metteranno il quintuplo del tempo che ci avrebbero messo i singoli cittadini da soli, a raccogliere carte ognuno per sè. Intanto le imprese (i cittadini) aspettano. E questo, non ha il coraggio di dirlo nessuno: la semplificazione amministrativa ha abbondantemente peggiorato, almeno in termini di tempi di risposta, il servizio che viene reso al cittadino. Almeno in casi come quello che ho descritto.
Una semplificazione siffatta avrà un senso quando le banche dati di tutti gli uffici pubblici avranno lo stesso formato, le stesse procedure di accesso, e soprattutto saranno accessibili ed interrogabili on line da uffici pubblici diversi da quelli che ne sono proprietarie. Io mi siedo alla mia postazione e interrogo DA SOLA l'Anagrafe di Capazzuoppolo (PZ) per sapere se Pasquale Derossi abita davvero lì, ha davvero più di 50 anni, vive davvero da solo con una persona a carico. Senza disturbare l'impiegato / Vigile Urbano.
Poi, forse, verrà un giorno che ci si potrà fidare dei cittadini tanto da non dover, nemmeno a campione, certificare alcunchè. Ma su questo, non so se basterà arrivare al quarto millennio.
Grazie al coordinamento fra questi enti è stato possibile avviare, nel rapporto tra imprese e Pubblica Amministrazione, processi di semplificazione amministrativa che sfruttano i benefici offerti dalla telematica. Con la Comunicazione Unica, infatti, tutti gli adempimenti possono essere assolti rivolgendosi ad un solo polo telematico, il Registro delle Imprese, che è l’unico soggetto a cui inviare la pratica digitale contenente le informazioni per tutti gli enti.