Memphis (TN) è una città decadente. O almeno, questa è la sensazione che si ha se si alloggia in centro, a due passi dalla storica Beale Street, dove impazzava BB King. La quale Beale Street sembra appunto una classica trappola acchiappa – turisti: i locali di legno antico e scricchiolante e i sedili di pelle scurita dall'uso dove si mangiano le bbq ribs con i fagioli e l'insalata di cavolo con la panna acida, e intanto in un angolo (scuro e fumoso) il gruppetto blues suona gli evergreen alternati a brani scritti dal più geniale del gruppo, sperando che fra i molti intenti a bere birre dai nomi strani ci sia il talent scout giusto. Anche il parco ha uno spazio nel quale gruppi improbabili e scalcagnati (anche se bravissimi) di blues tengono i loro concerti quotidiani, con richiesta di regolari tips. Però si annusa la fatica di vivere, la marginalità, in alcuni casi la disperazione.
L'intera strada è illuminata da neon multicolori, che riproducono lampeggiando maialini, e altri animali, e le onnipresenti parole “blues” “soul” e “King”. Però tutto sembra vecchio, e non antico, come abbandonato di corsa da profughi fuggiti in fretta, e riattato dai superstiti per avere una bolla di sopravvivenza. Mi sento però longanime e voglio sperare che sia invece così per mantenere intatto lo spirito dei luoghi, con il quale certo una bella ripulita e infissi nuovi stonerebbero. Leggo che Memphis, in piena espansione quando il Mississippi era una delle principali vie di comunicazione e di trasporto commerciale del paese, è ora una città impoverita dal trasporto su gomma e che si regge quasi
esclusivamente sul turismo musicale: il country, il blues e tutte le forme intermedie, e ovviamente, il rock esplosivo e totalmente innovativo e spiazzante – negli anni '50 – di The King Elvis Presley.
Qusta cosa appare subito chiara dal prezzo – 36 dollari tondi – che si paga per fare il giro (corto, quello lungo costa il doppio) a Graceland, la casa-tenuta di Elvis. A cui vanno aggiunti i 10 dollari per la navetta che ti porta fin là, e però include nel prezzo la visita alla Sun Records, tre stanzette anonime nelle quali un Elvis diciottenne vinse la sua timidezza aprendo la porta e chiedendo di poter incidere un disco per il compleanno della mamma, approfittando di un'offerta promozionale: 4 dollari e avrai un vinile con la tua voce. La canzone che incise, una vecchia ballata del Sud degli Stati Uniti, era questa:
Niente di straordinario, forse: ma ascoltarla dentro quella stanzetta screpolata dagli anni (anche lì, tutto è rimasto com'era, anche se la guida assicura che in realtà lo studio funziona ancora) è stata un bel rizzamento dei peli delle braccia.
La magione in sè invece non mi ha emozionato più di tanto, è troppo “museo”, e per privacy è impossibile accedere al piano superiore, dove ci sono le camere la letto e il bagno, dove ingloriosamente The King è spirato. Con una sola eccezione: l'angolo del seminterrato con alcuni divani in pelle e un pianoforte verticale. La voce dell'audioguida si fa ispirata e attoriale e recita: “…a quel pianoforte Elvis suonò e cantò, insieme alla moglie e ai suoi più fidati collaboratori, per buona parte della notte [pausa] qualche ora prima di morire, il 16 Agosto del 1977″. Ecco, io davanti a quel pianoforte mi sono commossa (con lacrimuccia annessa).
In quel pezzo di seminterrato, The King is still alive, a 35 anni di distanza.