Adoro andare negli Stati Uniti perchè posso mangiare tutte le cucine del mondo, evitando accuratamente quella italiana (che mangio già tutti i giorni) e limitando al massimo quella ammeregana, che per lo più mi resta indigesta.
Quest'anno ho collezionato:
- Thailandia (2 volte)
- Vietnam (un ristorante dal commovente nome di “Piccola Saigon”)
- Grecia
- Turchia
- India
- Giappone (2 volte)
- Stati Uniti (costolette con salsa barbecue / hot dog e patatine fritte / anelli di cipolla fritti / nachos e salsa piccante / donoughts al cioccolato – non tutto nello stesso pasto)
- ok, Italia (una ottima pizza margherita, con tutti i crismi, migliore di molte pizze mangiabili nella mia città)
Lentamente ma inesorabilmente, la via italiana alla prima colazione si sta facendo strada nel moloch dell'eggs and bacon – spremutona d'arancia – pane tostato. Oltre al benemerito Starbucks, che per primo ha aperto la strada a colpi di cah-pou-chee-now e es-preh-ssow, dando agli esuli la possibilità di provare qualcosa di molto più vicino al bar di casa che ai beveroni di acqua sporca – e caffeinosissima – della old America, le città pullulano di Starbucks-emuli, che fanno decorosi, quando non ottimi, cappuccini, espressini, latti macchiati e caffè espressi.
Che da quest'anno possono essere accompagnati addirittura dalla mollezza europea di un croissant. Vuoto, ok, siamo ancora lontani dalla perversione della possibile scelta del ripieno fra crema – cioccolato – marmellata – nutella – cioccolato bianco, ma leggeri e ben lievitati, grossi al punto giusto.
Poi, certo, sempre di esagerati statunitensi si tratta, e quindi il menù del bar americano offre anche frappuccini, frullatoni alla vaniglia, frappè latte / caffè / cocco / granella di nocciole servite nelle tinozze d'ordinanza. Il must di quest'anno erano i Refreshers beverage, al lime o ai mirtilli, ovvero grattachecche con più acqua che ghiaccio, e frutta, fettina e cannuccia.Tutti pazzi per la granita allungata.
E, per chiudere, mi resta da capire la diffidenza statunitense nei confronti dell'umile bicchierino piccolo di plastica, che, pieno a metà di espresso fumante, costituisce per gli impiegati italiani la quintessenza della sosta di metà mattina. Siamo però passati dalla tinozza – nel quale l'espresso si smarriva, laggiù in fondo in fondo, e si sentiva triste come la bollicina di acqua Lete, oltre a raffreddarsi in metà del tempo normale – al bicchierone, però di dimensioni umane: fido nel fatto che forse l'anno prossimo l'espresso double shot di Starbucks possa essere servito in un bicchiere da vino, e poi, forse, un giorno, nel bicchierino piccino picciò.
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La via è aperta.
L’America mi ha sempre attirato, e a meno di imprevisti un giorno ci andrò sicuramente. Però mi ha sempre fatto paura questa cosa del cibo, che mi immagino sempre come un enorme ciambellina glassata che dice “Ti farò diventare obesoooooo”. Sono contento di sapere che -a parte piccolezze tipo l’assenza del bicchierino per l’espresso- puoi mangiare decentemente 🙂
Te lo posso assicurare. E non abbiamo avuto tempo, se no c’era pure messicano, etiope, cubano … poi puoi sempre andare da Whole Food e comprare insalatine biologiche, eh 😉