Agriterapia

Il modo migliore per farsi passare tristezze e paturnie assortite è passare un pomeriggio a fare giardinaggio sul terrazzo di mia madre. L’amatissima anziana signora, infatti, non appena si ritrova nel suo elemento naturale – che non è, come si potrebbe pensare, il consesso umano, ma il mondo vegetale – si anima di un ampio sorriso MA sfodera anche, se ha qualcuno a tiro con cui farlo, il tono autoritario terrore di due generazioni di studenti.

E inizia la tirannia.

L’operazione clou del giorno è trapiantare la yucca (Euphyta Angiospermae). Attualmente la pianta di cui parlo è una bestia più alta di me con un tronco di trenta centimetri di diametro, e temibili foglie allungate dai bordi taglienti come rasoi. Ma quando è stata regalata, circa 30 anni fa, era un’innocua pianticella beneaugurante nota anche col nome di “tronchetto della felicità”. Non so come diavolo ha fatto, considerato che è una pianta tropicale, a sopravvivere a trent’anni di neve, gelo, il terremoto, traslochi, sfighe assortite di varia natura: sta di fatto che ora è un vero albero, e sta in un vaso minuscolo, per cui l’inflessibile mamma ha deciso che è il caso di trapiantarla. Per l’occasione ha acquistato un vaso, un mastello di plastica enorme nel quale potrei comodamente fare il bagno, e 3 sacchi di terriccio che tanto per cominciare il riscaldamento ho portato su io in terrazza a spalle.

Ve la faccio breve: per poter togliere il vaso vecchio, una volta constatato che era praticamente diventato tutt’uno con le radici, e quindi era necessario tagliarlo, siamo ricorsi nell’ordine a:

  1. trincetto (sseeehhhh, vabbè)
  2. forbice (spaccata)
  3. cesoia da giardino (bene, ma si procedeva alla velocità di un millimetro ogni quarto d’ora circa)
  4. coltello da macellaio seghettato (rischio annesso: squartamento umano, abbandonato)
  5. coltello elettrico (schiantato)

Quando finalmente a furia di sbuffare spaccarsi le mani i piedi le ginocchia siamo riusciti a fare a pezzi il vecchio vaso, per mettere quello nuovo e per alzare il tutto in piedi mi sono partite un paio di ernie del disco. E non è finita qui. Operazione collaterale: aggrapparsi come una scimmia alla yucca per tenerla dritta, mentre la mamma versava vezzose palatine di terra nel vaso dall’altra parte.

Vi tralascio per pietà il dettaglio di tutte le altre operazioni di puro facchinaggio che al grido di “una volta tanto che sei qui, e disposta ad aiutarmi”  la cara ma sempre arzilla genitrice è riuscita ad impormi: mettere nastro isolante sui tubicini dell’irrigazione, che perdono; alzare barriere contenitive nelle fioriere, se no perdono acqua dal bordo; spruzzare insetticida anti vespe (questo l’ho fatto con somma gioia, avvelenarne una per punirne cento); caricare e scaricare vasi, sottovasi, sacchi di terriccio; innaffiare lottando con una pompa che ha la tendenza a strozzarsi nei punti dove io non posso vederla, però la vede mia mamma e libera la strozzatura senza che io me ne accorga, in modo che l’acqua trovi il modo di schizzarmi in faccia mentre guardo il tubo per capire perchè l’acqua non arriva, proprio come nelle comiche di Stanlio e Ollio; spostare piante (“questa la mettiamo qui”, e dopo mezz’ora “mah forse però stava meglio lì” e dopo un’ora “alla fine la rimetterei dov’era, tu che ne pensi?”)

Io non penso più, ormai: sono schizzata di fango e terra fino agli occhi, bagnata fino alle mutande e ho graffi di rose e yucca e di ogni forma verde del pianeta dovunque. La dolce genitrice finalmente ne ha abbastanza, si siede a contemplare il suo regno e sospira: “Ahhhhhh ABBIAMO fatto un bellissimo lavoro, vero?”

2 risposte a “Agriterapia”

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