Il Natale che non c’è più

Non amo particolarmente il Natale. So di non essere originale, oggi fa fico dire che il Natale fa schifo, ma la mia in realtà è l’insofferenza verso qualcosa che si è molto amato, e che non si sopporta stia cambiando. Dieci o quindici anni fa eravamo una bella famiglia allargata, tre famiglie unite da un comune capostipite, sette cugini, sei genitori, felici di rivedersi e scambiarsi, molto prima che regali, frizzi e lazzi, appassionate discussioni di tutti i generi, confidenze a due, interminabili tornate a mercante in fiera, poker bonario, sette e mezzo, giusto per perderci quelle 10.000 lire e poterci prendere in giro fra consanguinei. E ridere, tanto. Mangiare, tantissimo, cose buonissime di rigorosa tradizione, la gara era appunto riuscire ad essere originali pur nel sacro rispetto del capitone, delle cartellate, dell’insalata di rinforzo.

Qualcosa ha cominciato a distorcersi e ad appannarsi una decina di anni fa, a Novembre uno dei sei genitori, solo 42 anni, si era arresa, stremata, a qualcosa che l’aveva consumata da dentro in una battaglia senza requie. Come corridori dopo il traguardo, abbiamo tutti continuato a vivere e a festeggiare Natale cercando di coprire la ferita con i maglioni rossi, per inerzia, ma piano piano abbiamo capito che la corsa era finita, e abbiamo cominciato a fermarci tutti. Mia sorella, l’unica che ho, è partita per andare a lavorare e vivere in un altro continente, e qualche Natale non ce l’ha fatta a tornare, e anche quando torna è uno stress pazzesco, ha due settimane scarse di vacanza, e ti pare che volino in un soffio, vorresti dirle tante cose e non fai nemmeno in tempo a capire se è sempre la stessa persona o no, ed in cosa è cambiata, che già bisogna riaccompagnarla in un aereoporto, altro luogo che odio con tutte le mie forze. Due cugini su cinque sono andati a vivere al Nord, per lavorare, sempre, adesso sono fanatici berlusconiani e davvero non c’è più molto che possiamo dirci, hanno gli occhi vitrei e sospetto che se gli sbottonassi le camicie comparirebbe lo sportellino per le pile. La loro sorella, terza cugina su cinque, li raggiungerà a Febbraio, e monteranno lo sportellino con le pile anche a lei. Impossibile discutere, ormai.

Fra tutti e sette, età variabile fra i 37 e i 25 anni, abbiamo messo in piedi un solo matrimonio (un altro a Giugno prossimo, ma insomma) e fra tutti e sette, generazione di fottuti sterili e finti evergreen, non ci è riuscito di fare nemmeno un bebè, neppure uno, che avrebbe forse fatto da collante a idee, pensieri, affetti che ormai sono espansi in tutte le direzioni e manco ci pare più di essere una famiglia. Forse dei bambini avrebbero assicurato la continuità, ci avrebbero costretto a concentrarci su pappe, cacche e nanne e quindi a riportare indietro – anche se fittiziamente – l’orologio a quando i protagonisti di pappe, cacche e nanne, regali scintillanti in carta dorata eravamo noi, i sette cugini di sempre, legati come fratelli, un legame che lentamente ma in modo inarrestabile si sta sciogliendo come la neve finta sul presepe. E ci soffro moltissimo.

Poi c’è la mia situazione personale, che questo Natale sarà più difficile che mai, stretta fra un compromesso assurdo e domande legittime di chi mi vuole bene. Ci sono anche tanti progetti, alcuni importanti, vicini, una casa, un lavoro, ma per ora c’è un altro Natale da sola, un altro Capodanno a distanza, altri stress, viaggi, maltempo, minuti rubati, affetti che ti mettono ansia e svaniscono prima di averli potuti dominare.

Odio il Natale. 

2 risposte a “Il Natale che non c’è più”

  1. Eh sì, il post di una generazione. Questa “mancanza di bebè”: è tutto lì. Non c’è tempo per i figli, i figlli ti limitano, meglio farli tadi dopo che si è avviata la carriera, uno basta due sono già troppi e cagate di questo genere. Le feste sono per i bambini, e senza bambini che senso hanno? Gli adulti e i vecchi sono saggi ma noiosi, più adatti ad una sera 8corta) davanti al caminetto che ad una tavola imbandita e all’eccitazione dei regali.
    Noi occidentali (e gli Italiani in testa) abbiamo scelto di vivere innaturalmente, di dedicarci a produrre qualsiasi cazzata inutile, ma non i nostri figli, i continuatori della nostra specie, i tramiti verso il futuro di cui siamo tramite dal passato.

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